Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27001 del 05/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14440-2020 proposto da:

C.P., M.M., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DI TRASONE 8, presso lo studio dell’avvocato ERCOLE FORGIONE, che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati PIETRO ROMANO, ANTONIO ROMANO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SERVIZI ALLA PERSONA “GOLGI – REDAELLI”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MICHELANGELO PINTO, 22, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO CAPARROTTA, rappresentata e difesa dall’avvocato FABIO FEDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 394/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 06/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 06/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DELL’UTRI MARCO.

RILEVATO

che:

con sentenza resa in data 6/2/2020, la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da C.P., M.M. e M.A.M., per la condanna dell’Azienda di Servizi alla Persona “Golgi-Redaelli” al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del suicidio del congiunto, M.G., asseritamente verificatosi per non avere il personale della struttura convenuta adeguatamente provveduto al controllo e al contenimento personale del proprio congiunto, da tempo affetto da problemi di natura psichiatrica;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha confermato la correttezza della decisione del primo giudice, nella parte in cui aveva escluso la prevedibilità dell’evento suicidario dedotto in giudizio, non essendo mai obiettivamente emersa la volontà di M.G. di porre volontariamente fine alla propria vita;

avverso la sentenza d’appello, C.P. e M.M. propongono ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo di impugnazione, illustrato da successiva memoria;

l’Azienda di Servizi alla Persona “Golgi-Redaelli” resiste con controricorso;

a seguito della fissazione della Camera di Consiglio, la causa è stata trattenuta in decisione all’odierna adunanza camerale, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo l’impugnazione proposto, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale erroneamente escluso la prevedibilità dell’evento suicidario dedotto in giudizio in conseguenza della mancata manifestazione, da parte del M., del proprio intento di togliersi volontariamente la vita, trascurando di tener conto dei contenuti della cartella clinica n. ***** prodotta agli atti del giudizio, attestante il ricorso di un pregresso tentativo di suicidio del M., gettatosi sotto un treno;

il motivo è inammissibile;

sul punto, osserva il Collegio come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (quale risultante dalla formulazione del D.L n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sé (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);

ciò posto (al di là dell’aspetto concernente il rilievo dell’inammissibilità del ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 348-ter c.p.c.), varrà considerare come la corte territoriale abbia espressamente affrontato l’esame delle cartelle cliniche depositate in giudizio, sottolineando come le stesse documentassero “tutt’al più uno stato di apatia e disinteresse a livello sociale, ma nulla che suggerisse uno stato di pericolo tale da dover apprestare misure ad hoc” (cfr. pag. 15 della sentenza impugnata);

tale passaggio della motivazione (espressamente dedicato all’interpretazione del contenuto della documentazione presente nelle cartelle cliniche depositata in giudizio), mentre esclude l’effettivo ricorso di alcun omesso esame, da parte del giudice d’appello, del fatto consistente nell’esame delle cartelle cliniche, induce a considerare l’odierna doglianza delle ricorrenti alla stregua di una proposta rilettura nel merito della documentazione dedotta, come tale inammissibile in sede di legittimità, se non propriamente alla stregua di uno specifico vizio revocatorio della sentenza;

varrà sul punto richiamare il consolidato insegnamento nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale il vizio denunziabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, postula che il giudice di merito abbia formulato un apprezzamento, nel senso che, dopo aver percepito un fatto di causa negli esatti termini materiali in cui è stato prospettato dalla parte, abbia omesso di valutarlo in modo che l’omissione venga a risolversi in un implicito apprezzamento negativo sulla rilevanza del fatto stesso, ovvero lo abbia valutato in modo insufficiente o illogico;

al contrario, qualora l’omessa valutazione dipenda da una falsa percezione della realtà, nel senso che il giudice ritiene per una svista, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, inesistente o esistente un fatto o un documento, la cui esistenza o inesistenza risultino incontestabilmente accertate dagli stessi atti di causa, è configurabile un errore di fatto deducibile esclusivamente con l’impugnazione per revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 15672 del 27/07/2005, Rv. 583395 – 01, e successive conformi);

in ogni caso, tanto nella prospettiva della richiesta rivalutazione nel merito del fatto probatorio dedotto, quanto in quella del preteso vizio revocatorio della sentenza impugnata, l’odierno ricorso deve ritenersi inammissibile;

quanto, infine, alla pretesa rilevanza del c.d. travisamento della prova – a cui le odierne ricorrenti intendono riferire la propria censura (anche nella memoria da ultimo depositata) – è appena il caso di rilevare come, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il travisamento della prova, che presuppone la constatazione di un errore di percezione o ricezione della prova da parte del giudice di merito, ritenuto valutabile in sede di legittimità qualora dia luogo ad un vizio logico di insufficienza della motivazione, non è più deducibile a seguito della novella apportata all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. dalla L. n. 134 del 2012, che ha reso inammissibile la censura per insufficienza o contraddittorietà della motivazione, sicché a fortiori se ne deve escludere la denunciabilità in caso di c.d. “doppia conforme”, stante la preclusione di cui all’art. 348-ter c.p.c., u.c. (Sez. L, Sentenza n. 24395 del 03/11/2020, Rv. 659540 – 01);

alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso segue la condanna delle ricorrenti al rimborso, in favore dell’azienda controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;

dev’essere, infine, attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma degli stessi artt. 1-bis e 13.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna le ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00 (cinquemila), oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma degli stessi artt. 1-bis e 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 6 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2021

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