LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 37923-2019 proposto da:
INPS, – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore speciale della Società di Cartolarizzazione dei Crediti Inps (SCCI) elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELE DE ROSE, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO;
– ricorrente –
contro
O.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAVOIA 31, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO CESARO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1445/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 04/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’11/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA PONTERIO.
RILEVATO
che:
1. 1. La Corte d’appello di Bari ha respinto l’appello dell’INPS, confermando la pronuncia di primo grado con cui era stata accolta la domanda dell’avv. O.R. e dichiarata l’insussistenza dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, in relazione all’attività libero professionale svolta nell’anno 2009 quale avvocato iscritto all’Albo Forense ma non alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense, in ragione del mancato conseguimento del reddito nella misura utile per l’insorgenza del relativo obbligo.
2. La Corte territoriale ha ritenuto che il dato contabile della percezione, nell’anno oggetto di causa, di redditi di importo inferiore ai 5.000,00 Euro costituisse “un chiaro indice della natura occasionale (rectius, non abituale) dell’attività, tanto più che l’INPS, su cui incombeva l’onere di provare il fondamento della domanda di pagamento, non (aveva) offerto alcun concreto elemento di prova a supporto della natura abituale dell’attività”.
3. Avverso tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, illustrato da memoria; l’avv. O. ha resistito con controricorso.
4. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..
CONSIDERATO
che:
5. Con l’unico motivo di ricorso l’INPS ha dedotto violazione e/o falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 2, commi 26-31, del D.L. n. 98 del 2011, art. 18, commi 1 e 2, conv. con mod. dalla L. n. 111 del 2011, della L. n. 247 del 2012, art. 21, comma 8, del D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 2, conv. con mod. dalla L. n. 326 del 2003, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
6. Ha ribadito l’obbligo di iscrizione alla gestione separata per gli avvocati (per i quali non sorga l’obbligo di iscrizione alla cassa forense) che svolgono in modo abituale l’attività professionale, in base al disposto della L. n. 335 del 1995 cit., art. 2, comma 26, come interpretato autenticamente dal D.L. n. 98 del 2011 cit., art. 18, comma 12, non venendo in considerazione il D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 2, cit., che disciplina la diversa ipotesi del lavoro occasionale.
7. Ha censurato la sentenza d’appello per aver trascurato due circostanze incontestate: il mancato inserimento del reddito da lavoro autonomo tra i redditi diversi nel modello Unico e la titolarità della partita IVA che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 1, si applica alle operazioni effettuate nell’esercizio di arti e professioni da intendere, in base all’art. 5 del citato decreto come “esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo”.
8. Il ricorso non può trovare accoglimento.
9. Questa Corte ha affermato che l’obbligatorietà dell’iscrizione alla Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco è collegata all’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contribuzione da parte della cassa di riferimento; la produzione di un reddito superiore alla soglia di Euro 5.000,00 costituisce invece il presupposto affinché anche un’attività di lavoro autonomo occasionale possa mettere capo all’iscrizione presso la medesima Gestione, restando invece normativamente irrilevante qualora ci si trovi in presenza di un’attività lavorativa svolta con i caratteri dell’abitualità (Cass. n. 4419 del 2021; n. 12419 del 2021; n. 12358 del 2021).
10. Dirimente, ai fini dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata, deve considerarsi, secondo le sentenze richiamate, il modo in cui è svolta l’attività libero-professionale, se in forma abituale o meno; con la precisazione che nell’accertamento in fatto del requisito di abitualità possono rilevare “le presunzioni ricavabili, ad es., dall’iscrizione all’albo, dall’accensione della partita IVA o dall’organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività” oppure, in senso contrario, “la percezione da parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore ad Euro 5.000,00”, senza che nessuno di tali elementi possa di per sé imporsi all’interprete come univocamente significativo.
11. Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha valorizzato, quale indice negativo di abitualità, la percezione da parte dell’avvocato nell’anno in contestazione di un reddito inferiore al limite dei 5.000,00 Euro, nonché l’assenza di elementi probatori di segno diverso della cui deduzione era onerato l’INPS.
12. Il motivo di ricorso dell’INPS è inammissibile perché denuncia un errore di diritto, con specifico riferimento alle disposizioni che disciplinano l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata, là dove l’accertamento della abitualità pone una questione di fatto, veicolabile nei ristretti limiti tracciati da questa S.C. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., S.U. n. 5083 del 2014); le censure mosse investono invece la valutazione degli indici di abitualità come eseguita dalla Corte di merito e così come formulate non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità.
13. Le considerazioni esposte conducono alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.
14. La novità della questione oggetto di causa, affrontata solo di recente dalla giurisprudenza di legittimità, giustifica la compensazione delle spese di lite.
15. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021