LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25046/2015 R.G. proposto da:
C.G., rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso introduttivo, dagli Avv.ti Vittorio Supino e Lorenzina Iezzi, e con gli stessi elettivamente domiciliato in Roma, via Germanico n. 99, presso lo studio dell’Avv. Massimiliano Panetta;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 1814/6/14 della Commissione tributaria regionale della Puglia, depositata il 16 settembre 2014.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 13 luglio 2021 dal Consigliere Raffaele Rossi.
RILEVATO
che:
1. All’esito di una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza nei confronti di C.G., esercente la professione di odontoiatra, l’Agenzia delle Entrate, sul rilievo della omessa contabilizzazione di compensi per prestazioni professionali, determinava, con metodo analitico – induttivo ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), il maggior reddito imponibile ai fini IRPEF per l’anno 1993 e recuperava a tassazione le imposte non versate, in uno a sanzioni ed accessori.
2. L’impugnativa del relativo avviso di accertamento spiegata dal contribuente, disattesa in prime cure, veniva accolta, a seguito di gravame, dalla Commissione tributaria regionale della Puglia, la quale, anche sulla scorta dell’esito assolutorio del procedimento penale promosso a carico del contribuente, qualificava gli elementi indiziari addotti nell’atto impositivo a suffragio della omessa fatturazione di compensi come “mere e labili presunzioni”, non connotate dai caratteri della gravità, precisione e concordanza e, pertanto, annullava l’atto impositivo.
3. A seguito di ricorso ex art. 360 c.p.c., proposto dall’A.F., questa Corte, con la sentenza n. 3777/2013 del 15 febbraio 2013, cassava con rinvio la pronuncia di seconde cure, ritenuta inficiata dal vizio di insufficiente motivazione sulla presunzione di maggiori ricavi desunta dalla documentazione di acquisto di protesi dentarie, circostanza invece potenzialmente rilevante per essere legittima la ricostruzione induttiva di ricavi “ove la cessione o l’impiego in prestazioni d’opera di beni possa desumersi dalla esistenza di documentazione di acquisto”.
4. Tempestivamente riassunta la controversia, la C.T.R. della Puglia, con la sentenza in epigrafe indicata, ha rigettato l’impugnativa del contribuente e dichiarato legittimo l’atto impositivo.
5. Avverso quest’ultima pronuncia ricorre per cassazione C.G., affidandosi a tre motivi; resiste, con controricorso, l’Agenzia delle Entrate.
CONSIDERATO
che:
4. Con il primo motivo di ricorso, si eccepisce nullità della sentenza “D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex artt. 36, comma 2, art. 132 c.p.c., e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.
Si deduce, in sintesi, una omessa motivazione, meramente “fittizia” e contrastante con il modello prefigurato dalle evocate disposizioni, per avere il giudice territoriale mancato di esaminare una serie di elementi risultanti dagli atti di causa.
4.1. La doglianza è infondata.
Dopo aver individuato (in parte narrativa) il thema decidendum della lite e la tipologia (analitico-induttiva) dell’accertamento oggetto di controversia, l’impugnata pronuncia ha considerato la (pacifica e riscontrata dalle emergenze contabili) differenza quantitativa tra le protesi dentarie acquistate e quelle fatturate con le prestazioni professionali rese come una “obiettiva e reale circostanza”, idonea a giustificare, in quanto integrante elemento presuntivo grave, preciso e concordante, “i maggiori compensi non contabilizzati”, rilevando altresì il mancato assolvimento ad opera del contribuente dell’onere della prova contraria.
Un percorso argomentativo del genere, oltremodo coerente nella sequenzialità tra premesse e conclusioni, rende chiari ed intellegibili il modo di formazione e gli strumenti asseverativi del convincimento espresso con la statuizione dispositiva: si è ben lungi dall’integrare una “motivazione apparente” (la quale ricorre quando il giudice ometta di esporre i motivi, in fatto ed in diritto, della decisione: Cass., Sez. U., 21/06/2016, n. 16599; Cass. 25/09/2018, n. 22598) o altra anomalia motivazionale (quale, ad esempio, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” oppure la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”) sindacabile in sede di legittimità alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis alla vicenda (sul punto, basti il richiamo a Cass., Sez. U, 22/09/2014, n. 19881 e a Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
5. Con il secondo motivo, denunciando omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente lamenta l’omesso esame dell’eccezione con cui aveva dedotto il difetto di motivazione dell’atto impositivo (siccome mancante dell’allegazione degli atti indicati nel p.v.c.) nonché la carenza di prove ex art. 2697 c.c., non avendo l’A.F. depositato il richiamato p.v.c. in fase contenziosa.
5.1. La doglianza non merita accoglimento.
Essa va, in primis, correttamente sussunta (senza che l’erronea intestazione del motivo sortisca effetti invalidanti: Cass., Sez. U., 24/07/2013, n. 17931; Cass. 20/02/2014, n. 4036) nella ragione di impugnazione prevista dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: il mancato esame di una domanda o di un’eccezione rileva infatti come vizio di omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.).
Come è noto, siffatto vizio è tuttavia escluso in ipotesi di rigetto implicito, ovvero quando il provvedimento accolga una tesi incompatibile con la domanda o l’eccezione proposta oppure emetta una decisione che implichi, per logica incompatibilità, il rigetto della domanda o eccezione.
Tanto si è verificato nella vicenda in esame.
Il positivo apprezzamento del giudice di prossimità in ordine alla idoneità delle ragioni esposte nell’atto impositivo a fondare la ripresa a tassazione importa, quale ineludibile presupposto, la valutazione di compiutezza motivazionale del contenuto dell’avviso opposto; la ritenuta fondatezza della pretesa erariale si fonda poi sulla sufficienza delle prove fornite all’uopo dall’Amministrazione finanziaria.
6. Con il terzo motivo, ancora per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente censura l’omessa disamina dell’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 42, per difetto di sottoscrizione ad opera del capo dell’ufficio o di funzionario direttivo da lui delegato.
6.1. Il motivo è inammissibile per novità della censura.
Parte ricorrente ha omesso di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ed altresì di indicare in quale atto dei precedenti gradi lo abbia eventualmente fatto, onde dar modo alla Corte di controllare la veridicità di tale asserzione, prima di vagliarne la fondatezza nel merito (Cass. 21/06/2018, n. 16347; Cass. 21/11/2017, n. 27568; Cass. Sez. U., 06/05/2016, n. 9138; Cass. 19/04/2012, n. 6118; Cass. 27/05/2010, n. 12992; da ultimo, Cass. 23/09/2020, n. 19929, affermando che nel giudizio tributario, in conseguenza della sua struttura impugnatoria, l’invalidità dell’atto impugnato non può essere rilevata di ufficio né fatta valere per la prima volta in sede di legittimità).
7. Rigettato il ricorso, le spese di lite seguono la soccombenza.
PQM
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Quinta Sezione Civile, il 13 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021