LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul sul ricorso 17020-2020 proposto da:
D.I., P.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 30, presso lo studio dell’avvocato PLACIDI, rappresentati e difesi dall’avvocato PAOLO PIERRI;
– ricorrente –
contro
MARATHON SPV SRL, e per essa HOIST ITALIA SRL, quale mandataria con rappresentanza di SECURITASATION SERVICES SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 12 presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CAPUTO che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO CHRISTIAN FAGGELLA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1449/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 21/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO DELL’UTRI.
RILEVATO
Che:
con sentenza resa in data 21/10/2019, la Corte d’appello di Salerno, per quel che ancora rileva in questa sede, ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha dichiarato l’inopponibilità, nei confronti della Banca Carime (ora Ubi Banca s.p.a.), ai sensi dell’art. 2901 c.c., degli atti con i quali P.A. e D.I. (debitori della banca attrice) avevano costituito due fondi patrimoniali;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha sottolineato la correttezza della decisione del primo giudice, nella parte in cui ha rilevato la sussistenza di tutti i presupposti di carattere soggettivo e oggettivo posti a sostegno dell’azione revocatoria promossa dalla banca attrice;
avverso la sentenza d’appello, P.A. e D.I. propongono ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione;
la Marathon SPV s.r.l. e, per essa, la Hoist Italia s.r.l., quale mandataria con rappresentanza di Securisation Services s.p.a. (cessionaria di Marte SPV s.r.l., già Ubi Banca s.p.a.) resiste con controricorso;
a seguito della fissazione della camera di consiglio, la causa è stata trattenuta in decisione all’odierna adunanza camerale, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; della L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 100, lett. a); della L. n. 266 del 1997, art. 15, comma 3; nonché del D.M. 23 settembre 2005, punto n. 4.4, parte II dell’allegato; della L. n. 892 del 1982, art. 8 (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto sussistenti i crediti azionati dalla banca originaria attrice nei confronti degli odierni ricorrenti, trattandosi di crediti (quanto meno per la maggior parte) contestati e, in ogni caso, fondati su elementi di prova insussistenti;
il motivo è inammissibile;
al riguardo, osserva il Collegio come, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, il ricorso è inammissibile quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;
in particolare, in tema di giudizio di legittimità, anche un solo precedente, se univoco, chiaro e condivisibile, integra l’orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di cui all’art. 360-bis c.p.c., n. 1, con conseguente dichiarazione di inammissibilità del relativo ricorso per cassazione che non ne contenga valide critiche (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4366 del 22/02/2018, Rv. 648036 – 02);
nel caso di specie, il giudice a quo ha rilevato la sussistenza dei presupposti di legittimazione all’esercizio dell’azione revocatoria, in capo alla banca originaria attrice (sotto il profilo della propria qualità di creditrice degli odierni ricorrenti), uniformandosi al consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, in tema di azione revocatoria, rileva una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con la conseguenza che anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore abilitato all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto dispositivo compiuto dal debitore, a nulla rilevando che sia di fonte contrattuale o derivi da fatto illecito e senza che vi sia necessità della preventiva introduzione di un giudizio di accertamento del medesimo credito o della certezza del fondamento dei relativi fatti costitutivi, in coerenza con la funzione di tale azione, che non persegue fini restitutori (cfr., da ultimo, ex plurimis, Sez. 6 3, Ordinanza n. 4212 del 19/02/2020, Rv. 657295 – 01);
rispetto a tale consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, gli odierni ricorrenti hanno sostanzialmente omesso di confrontarsi in termini diretti, limitandosi a esprimere unicamente il proprio dissenso attraverso il richiamo ad aspetti argomentativi da ritenersi non decisivi o pertinenti;
con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché per violazione delle norme che regolano il fondo patrimoniale (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere il giudice d’appello erroneamente ritenuto assoggettabile il fondo patrimoniale all’azione esecutiva della banca avversaria; azione nella specie motivata da ragioni estranee agli interessi della famiglia ai cui bisogni i fondi patrimoniali oggetto di causa erano stati costituiti;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come il ricorrente abbia prospettato il vizio in esame senza cogliere in modo specifico la ratio individuata dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta;
sul punto, varrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4, (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 – 01);
nella specie, avendo la corte territoriale rilevato come, nel caso in esame, diversamente da quanto argomentato dagli odierni ricorrenti (allora appellanti), non si controvertesse in tema di legittimità della costituzione di un fondo patrimoniale, né degli effetti di questo sull’estinzione dei debiti, facendosi piuttosto questione dell’assoggettabilità del fondo patrimoniale all’azione revocatoria (assoggettabilità pacifica nella giurisprudenza di legittimità, come da ultimo confermato da Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 29298 del 06/12/2017, Rv. 646785 – 01), l’odierna censura dei ricorrenti, nel riproporre la questione della non assoggettabilità del fondo patrimoniale all’azione esecutiva della banca avversaria (siccome motivata da ragioni estranee agli interessi della famiglia), dimostra di non essersi punto confrontati con la decisione impugnata, con la conseguente inammissibilità della censura per le specifiche ragioni in precedenza indicate;
con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché dell’art. 2901 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere il giudice d’appello erroneamente ritenuto sussistenti i requisiti della scientia damni e dell’eventus damni a fondamento dell’azione revocatoria oggetto di causa, in contrasto con le risultanze desumibili dal complesso degli elementi di prova allegati in giudizio dagli odierni ricorrenti;
il motivo è inammissibile;
al riguardo, osserva il Collegio come, attraverso le censure indicate (sotto entrambi i profili di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), i ricorrenti si siano sostanzialmente spinti a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;
in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, i ricorrenti risultano aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica dei ricorrenti, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente gli stessi nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;
nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dagli odierni ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti ritenuti rilevanti tra le parti;
si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
a tale ultimo riguardo, è appena il caso di evidenziare come il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 cp.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);
pertanto, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianza dei ricorrenti devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360 cit., n. 5, bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;
con il quarto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 115,116,61 ss. e 191 c.p.c., nonché per vizio di motivazione e omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di disporre la consulenza tecnica d’ufficio diretta a valutare l’effettiva consistenza del patrimonio degli odierni ricorrenti;
il motivo è inammissibile;
al riguardo, osserva il Collegio come, secondo il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti (rifiuto che il giudice di merito non è tenuto a formalizzare in modo espresso e motivato, qualora l’inconcludenza dei mezzi istruttori invocati dalle parti possa implicitamente dedursi dal complesso della motivazione adottata: cfr. Sez. L, Sentenza n. 5742 del 25/05/1995, Rv. 492429 – 01), il ricorrente ha l’onere di dimostrare che con l’assunzione delle prove richieste la decisione sarebbe stata diversa, in base a un giudizio di certezza e non di mera probabilità, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23194 del 04/10/2017, Rv. 645753 – 01);
nel caso di specie, varrà sottolineare la totale congruità logico-giuridica della valutazione fatta propria dal giudice a quo circa la totale irrilevanza dell’ammissione di una consulenza tecnica di ufficio diretto a valutare l’entità del patrimonio degli odierni ricorrenti, tenuto conto del consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità ai sensi del quale il presupposto oggettivo dell’eventus damni ricorre, non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l’onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16221 del 18/06/2019, Rv. 654318 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 19207 del 19/07/2018 Rv. 649739 – 01): prova, nella specie, del tutto mancata;
si tratta di considerazioni che il giudice a quo ha elaborato, nell’esercizio della discrezionalità valutativa ad esso spettante, nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica dell’interpretazione e di congruità dell’argomentazione, immuni da vizi d’indole logica o giuridica e, come tali, del tutto idonee a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dai ricorrenti;
sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;
dev’essere, infine, attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 7.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 6 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021
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