Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27071 del 06/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 7596 del ruolo generale dell’anno 2019, proposto da:

P.F. (C.F.: *****) D.M.S. (C.F.:

*****) rappresentati e difesi dall’avvocato Prestigiacomo Mario (C.F.: *****);

– ricorrenti –

nei confronti di PO.Gi. (C.F.: *****) rappresentato e difeso dall’avvocato Rispoli Mario (C.F.: *****);

– controricorrente –

e BANCO DI CREDITO SICILIANO S.p.A., ORA BANCO POPOLARE Soc. Coop.

(C.F.: *****), in persona del legale rappresentante pro tempore BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.p.A., ORA BNL GRUPPO BNP PARIBAS (C.F.:

*****), in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimati –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Palermo n. 3771/2018, pubblicata in data 30 agosto 2018 (e che si assume notificata in data 22 gennaio 2019);

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in data 6 maggio 2021 dal consigliere Tatangelo Augusto.

FATTI DI CAUSA

Nel corso di un procedimento esecutivo per espropriazione immobiliare promosso nei confronti dei coniugi P.F. e D.M.S., aggiudicato l’immobile pignorato in favore di Po.Gi., i debitori esecutati hanno chiesto al giudice dell’esecuzione di esercitare i poteri di cui all’art. 586 c.p.c. e di non emettere quindi il decreto di trasferimento, sostenendo che il prezzo di aggiudicazione fosse notevolmente inferiore a quello giusto. Il giudice dell’esecuzione ha dichiarato non luogo a provvedere su tale istanza, avendo già sottoscritto il decreto di trasferimento, benché lo stesso non fosse ancora depositato in cancelleria.

I coniugi P. e D.M. hanno quindi proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., congiuntamente, sia avverso il provvedimento di non luogo a provvedere sulla loro istanza, sia avverso il decreto di trasferimento frattanto depositato.

L’opposizione è stata dichiarata in parte inammissibile ed in parte infondata dal Tribunale di Palermo, ma tale decisione è stata oggetto di parziale cassazione, con la sentenza n. 10251 del 20/05/2015 della Terza Sezione Civile di questa Corte, con riguardo alla dichiarazione di inammissibilità dell’opposizione avverso il decreto di trasferimento ed al mancato esame dell’istanza di revoca dell’aggiudicazione ai sensi dell’art. 586 c.p.c..

All’esito del giudizio di rinvio, il Tribunale di Palermo ha rigettato nel merito l’opposizione, in relazione ai suddetti profili. Ricorrono i coniugi P. e D.M., sulla base di cinque motivi.

Resiste con controricorso il Pollara.

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile/manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “art. 360 c.p.c., n 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 101 Cost., comma 2 e art. 111 Cost., comma 1”.

Con il secondo motivo si denunzia “Art. 360 c.p.c., n 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 586 c.p.c.”.

I primi due motivi sono logicamente connessi e possono quindi essere esaminati congiuntamente.

Essi sono inammissibili ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1.

I ricorrenti criticano l’indirizzo di questa Corte, fatto proprio dal giudice del merito in sede di rinvio, in ordine ai presupposti necessari per la sospensione della vendita di cui all’art. 586 c.p.c., secondo cui “il potere di sospendere la vendita, attribuito dall’art. 586 c.p.c. (nel testo novellato dalla L. n. 203 del 1991, art. 19-bis) al giudice dell’esecuzione dopo l’aggiudicazione perché il prezzo offerto è notevolmente inferiore a quello giusto, può essere esercitato allorquando: a) si verifichino fatti nuovi successivi all’aggiudicazione; b) emerga che nel procedimento di vendita si siano verificate interferenze illecite di natura criminale che abbiano influenzato il procedimento, ivi compresa la stima stessa; c) il prezzo fissato nella stima posta a base della vendita sia stato frutto di dolo scoperto dopo l’aggiudicazione; d) vengano prospettati, da una parte del processo esecutivo, fatti o elementi che essa sola conosceva anteriormente all’aggiudicazione, non conosciuti né conoscibili dalle altre parti prima di essa, purché costoro li facciano propri, adducendo tale tardiva acquisizione di conoscenza come sola ragione giustificativa per l’esercizio del potere del giudice dell’esecuzione”. Sostengono che si tratterebbe di una interpretazione “creativa del diritto” non consentita alla Corte di Cassazione e, comunque, contrastante con la lettera e con la stessa ratio (anche desumibile dai lavori parlamentari) del testo normativo. Assumono, quindi, che anche la sola sproporzione tra il prezzo di stima indicato dal perito e/o il valore di mercato del bene pignorato ed il relativo prezzo di aggiudicazione sarebbe sufficiente perché il giudice dell’esecuzione revochi l’aggiudicazione stessa.

Il suddetto indirizzo interpretativo risulta sancito specificamente per la prima volta da questa Corte nel 2015 (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18451 del 21/09/2015, Rv. 636807 – 01). Esso è stato successivamente sempre ribadito e mai contraddetto (cfr. ad es., Cass., Sez. 3, Sentenza n. 13014 del 23/06/2016; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 25324 del 12/12/2016; Sez. 3, Sentenza n. 268 del 10/01/2017; Sez. 3, Sentenza n. 3791 del 14/02/2017; Sez. 3, Sentenza n. 11116 del 10/06/2020, Rv. 658146 – 03).

Il collegio ritiene del resto che ad esso debba essere data piena continuità, non sussistendo, né essendo offerti con il ricorso (ovvero con la successiva memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2), motivi che possano ritenersi realmente idonei ad indurre ad una sua eventuale rime-ditazione.

2. Con il terzo motivo si denunzia “Art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 586 c.p.c.”.

Con il quarto motivo si denunzia “Art. 360 n 5 c.p.c. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione”.

I ricorrenti sostengono che, anche a volere seguire l’indirizzo criticato con i primi due motivi, sussistevano comunque elementi sufficienti per disporre la sospensione della vendita ai sensi dell’art. 586 c.p.c., erroneamente non considerati in sede di rinvio (con riguardo all’identificazione catastale dell’immobile da parte dell’esperto stimatore ed alla indicazione dell’effettiva superficie dello stesso).

I motivi in esame sono logicamente connessi e possono, quindi, essere esaminati congiuntamente.

Essi sono inammissibili.

La questione di fatto relativa alla corretta identificazione catastale dell’immobile trasferito al Pollara, avanzata dai ricorrenti in relazione alla legittimità del decreto di trasferimento, è stata già ritenuta inammissibile da questa Corte, con la decisione che ha disposto il giudizio di rinvio, in quanto “profilo mai in precedenza proposto all’attenzione del giudice di merito”: come tale, dunque, tale questione di fatto non può comunque essere presa in considerazione nella presente fase processuale, sotto nessun aspetto, neanche quello della corretta determinazione del prezzo di vendita dell’immobile.

D’altra parte, gli stessi ricorrenti sostengono, nel ricorso, che detta questione era stata sollevata con l’atto di citazione introduttivo della fase di merito a cognizione piena dell’opposizione, ma non allegano in alcun modo che la stessa fosse stata posta a base dell’originaria istanza di revoca dell’aggiudicazione e neanche che fosse tra i motivi dell’originario ricorso introduttivo dell’opposizione agli atti esecutivi proposto al giudice dell’esecuzione, il che conferma che si tratta di una questione di fatto non scrutinabile – in alcun modo e sotto alcun profilo – nella presente sede.

Altrettanto è a dirsi con riguardo alla questione della effettiva superficie dell’immobile aggiudicato, in relazione alla quale nel ricorso non risulta adeguatamente chiarito, tanto meno con il richiamo del preciso contenuto dei relativi atti processuali, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, se ed in che termini essa fosse stata specificamente posta al giudice dell’esecuzione in sede di istanza di revoca dell’aggiudicazione e, soprattutto, nell’originario ricorso introduttivo dell’opposizione agli atti esecutivi. E’ poi appena il caso di osservare, in proposito, che a tal fine non può attribuirsi rilievo decisivo al generico richiamo al contenuto della consulenza di stima di parte, nell’istanza proposta ai sensi dell’art. 586 c.p.c. al giudice dell’esecuzione (cui si fa cenno nel ricorso a pag. 35), in mancanza di un chiaro ed esplicito riferimento agli elementi di perturbazione del procedimento di determinazione del prezzo di vendita nel ricorso in opposizione, di cui non si dà invece conto in alcun modo nel ricorso.

3. Con il quinto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.”.

I ricorrenti sostengono che le spese del giudizio avrebbero dovuto essere poste a carico dell’opposto e/o, al più, integralmente compensate. Sarebbe erronea, dunque, la decisione impugnata nella parte in cui ha sancito la compensazione delle spese dell’intero giudizio, ponendo a carico degli opponenti quelle relative alla consulenza tecnica di ufficio.

Il motivo è in parte manifestamente infondato, in parte inammissibile.

Manifestamente infondata e’, in particolare, la pretesa di condanna dell’opposto, integralmente vittorioso, al pagamento integrale delle spese di lite, in palese contrasto con il principio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c..

Il Tribunale ha del resto correttamente applicato il disposto dell’art. 92 c.p.c., comma 2, ritenendo, nonostante l’integrale soccombenza della parte opponente, di compensare parzialmente le spese del giudizio e di lasciare a carico della parte soccombente esclusivamente quelle relative alla consulenza tecnica di ufficio.

In proposito è sufficiente osservare che la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese (a maggior ragione se solo parziale, come nella specie), anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 – 01; conf., in precedenza: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 851 del 01/03/1977, Rv. 384463 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1898 del 11/02/2002, Rv. 552178 – 01; Sez. L, Sentenza n. 10861 del 24/07/2002, Rv. 556171 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 17692 del 28/11/2003, Rv. 572524 – 01; successivamente: Sez. 3, Sentenza n. 22541 del 20/10/2006, Rv. 592581 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 28492 del 22/12/2005, Rv. 585748 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7607 del 31/03/2006, Rv. 590664 – 01).

4. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 7.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

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