LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28088/2016 proposto da:
D.P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIA 88, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA CORSINI, rappresentato e difeso dall’avvocato GANDOLFO MOCCIARO;
– ricorrente –
contro
F.C., CONDOMINIO *****, G.A., N.V.D., GI.VA., B.F., D.P.M., COMUNE PALERMO;
– intimati –
e contro
C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL FANTE 2, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PALMERI, rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE ZIINO;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
e contro
D.P.G., GI.VA., B.F., D.P.M., N.V.D., G.A., F.C., COMUNE PALERMO, CONDOMINIO *****;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1905/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 18/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/03/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.
FATTI DI CAUSA
1. D.P.G. citava dinanzi il Tribunale di Palermo il Condominio dell’edificio sito in *****, sulla premessa di essere proprietario di un’unità immobiliare del medesimo edificio, e che, in data 25 marzo 2002, l’assemblea dei condomini aveva deliberato di eseguire delle opere di sistemazione del tratto della via ***** antistante lo stabile condominiale, impugnava tale Delibera assumendo che quel tratto di strada, benché per ragioni di sicurezza separato con un cancello dalla restante via pubblica, apparteneva al Comune di Palermo, sicché l’atto dell’assemblea dei condomini era invalido. L’attore domandava, quindi, che il Tribunale dichiarasse la nullità della Delibera ovvero la annullasse limitatamente a quell’oggetto e dichiarasse la non appartenenza al condominio del tratto della via ***** antistante l’edificio condominiale.
1.1 Si costituiva in giudizio il Condominio e, preliminarmente, deduceva la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini e l’opportunità di chiamare in causa il Comune di Palermo ed eccepiva il difetto di interesse ad agire del D.P. rispetto all’accertamento della “non condominialità” dell’area; nel merito, assumeva la titolarità condominiale dello spazio controverso e stante la sopravvenuta revoca della Delibera nella parte contestata, la cessazione della materia del contendere.
1.2 Il giudice disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini e, ai sensi dell’art. 107 c.p.c., la chiamata in causa del Comune di Palermo; adempimenti ai quali procedeva l’attore.
1.3 Si costituivano in giudizio i condomini G.A., C.M. N.V.D., D.P.M., Gi.Va. e B.F., i quali, oltre a propone eccezioni e difese analoghe a quelle spiegate dal Condominio, domandavano in via riconvenzionale che fosse dichiarata l’avvenuta usucapione, in favore del condominio dello spazio antistante l’edificio condominiale.
1.4 Si costituiva anche il comune di Palermo chiedendo l’accertamento della natura di demanio stradale comunale dell’area contestata.
2. Il Tribunale dichiarava cessata la materia del contendere sulle domande attoree e rigettava ogni altra domanda, con compensazione delle spese di lite.
3. C.M. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
4. Si costituivano in appello D.P.G. e il Comune di Palermo, i quali proponevano anche appello incidentale, nonché G.A. che chiedeva l’estromissione dal processo unitamente a F.C..
5. La Corte d’Appello di Palermo accoglieva l’appello principale di C.M. e dichiarava l’usucapione da parte del condominio dell’area antistante l’edificio condominiale.
5.1 Il giudice del gravame evidenziava che la domanda di usucapione proposta dai condomini doveva intendersi senz’altro estesa al Comune di Palermo, parte costituita, e, in ogni caso, che tale domanda era proponibile anche soltanto nei confronti dell’attore che aveva contestato la titolarità dell’area in capo al condominio. In particolare, la domanda per l’accertamento dell’usucapione doveva ritenersi estesa al Comune essendo speculare all’accertamento negativo richiesto dall’attore che, ai sensi dell’art. 107 c.p.c., aveva chiesto di chiamare in causa il Comune medesimo. Sicché la domanda riconvenzionale dei condomini doveva ritenersi automaticamente estesa al terzo chiamato in causa stante l’identità dell’oggetto dell’accertamento quanto al rapporto controverso.
5.2 Nel merito la domanda riconvenzionale era anche fondata, dovendosi escludere la natura demaniale del suolo e dovendosi affermare la proprietà dell’area in capo al condominio in forza di usucapione. Nella specie, infatti, mancavano i presupposti di gravità precisione e concordanza per ritenere la strada appartenente all’ente pubblico territoriale non potendo rinvenirsi tali presupposti nei seguenti elementi tutti compatibili con la natura privata dell’area: il fatto che il marciapiede s’interrompesse in corrispondenza dei civici *****; l’iscrizione nell’elenco delle strade comunali; l’inserimento dell’area nella tabella toponomastica.
La Corte d’Appello, pertanto, sulla base degli elementi acquisiti nell’istruttoria qualificava il suolo come privato, superando anche la presunzione di demanialità di cui alla L. n. 2248 del 1865, art. 22; non era rinvenibile, infatti, alcuna strumentalità rispetto alla funzione viaria della rete stradale, trattandosi di uno spazio esiguo a fondo cieco che non costituiva parte integrante della strada pubblica e non era destinato in modo permanente ed esclusivo al servizio di questa e dei suoi utenti.
Ciò premessola Corte d’Appello in applicazione dell’art. 1158 c.c., riteneva comprovato l’acquisto per usucapione dell’area in base alle testimonianze assunte in primo grado. Vi era conferma, infatti, dell’esercizio ultraventennale pubblico continuo ed ininterrotto da parte del condominio di un potere di fatto corrispondente al contenuto del diritto dominicale, potere estrinsecatosi nella chiusura a terzi mediante l’apposizione di un cancello di accesso.
6. D.P.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di cinque motivi.
7. C.M. ha resistito con controricorso proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato e, in prossimità dell’udienza, ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 2 e degli artt. 99,101,107 e 2169 c.p.c..
La censura attiene al fatto che la domanda riconvenzionale dei condomini chiamati in giudizio dall’attore per ordine del giudice non era stata proposta nei confronti del Comune, che era stato chiamato in giudizio soltanto dall’attore oggi ricorrente. Dunque, la domanda riconvenzionale proposta non avrebbe potuto essere estesa automaticamente ad un soggetto nei confronti del quale non era stata avanzata. Dal tenore letterale della domanda emergerebbe che l’attore aveva chiesto l’accertamento della non titolarità dell’area ma non l’accertamento della stessa in capo al Comune di Palermo. Anche i condomini si erano limitati a contestare le sue domande e dunque la domanda riconvenzionale era stata proposta solo nei confronti dell’attore.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione degli artt. 100 e 101 c.p.c..
La censura attiene alla parte della sentenza che ha ritenuto che la domanda di usucapione potesse essere proposta anche nei confronti del solo attore. L’ingegner D.P. non ha mai vantato un suo diritto sull’area contestazione e mancherebbe della legittimazione passiva alla domanda di usucapione che avrebbe dovuto essere rivolta nei confronti del proprietario.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c..
Secondo il ricorrente i condomini non potevano proporre domanda di usucapione in favore del condominio né potevano proporla pro quota in favore dei singoli condomini. Tale questione era stata oggetto di motivo di appello incidentale condizionato e il giudice non aveva in alcun modo pronunciato sulla stessa. Il che renderebbe nulla la sentenza a prescindere dalla fondatezza della stessa.
3.1 I primi tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
Il processo è stato introdotto dal D.P. che, nell’impugnare una Delibera condominiale, ha dedotto l’appartenenza al Comune di Palermo del tratto di strada della via ***** antistante l’edificio condominiale. Il Giudice di primo grado ha disposto la chiamata in causa iussu iudicis ex art. 107 c.p.c., del Comune e l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini. Il Comune costituitosi in giudizio ha domandato l’accertamento della proprietà dell’area in capo all’ente e della sua demanialità. I condomini, viceversa, con la domanda riconvenzionale hanno chiesto di dichiarare l’acquisto a titolo originario in capo al condominio per usucapione nei confronti del D.P..
La sentenza impugnata, pertanto, correttamente ha ritenuto l’unicità del rapporto controverso come risulta evidente dalla specularità della domanda di accertamento della proprietà dell’area fatta dal Comune e di quella di usucapione da parte dei condomini.
Sul punto, questa Corte ha avuto anche modo di affermare che: “Qualora il terzo spieghi volontariamente intervento litisconsortile assumendo esser lui – e non il convenuto – il soggetto nei cui confronti si rivolge la pretesa dell’attore, la domanda originaria, anche in mancanza di espressa istanza, si intende automaticamente estesa al terzo, nei confronti del quale il giudice può, pertanto, assumere le consequenziali statuizioni” (Sez. 2, Sentenza n. 743 del 2012, Sez. 1, Sent. n. 17954 del 2008).
In senso analogo nel caso di specie il Comune, una volta intervenuto nel processo ed una volta spiegata domanda, è divenuto parte egli stesso nel processo medesimo al pari delle altre e nei confronti delle stesse, sicché la domanda riconvenzionale dei condomini, anche in difetto di espressa istanza deve intendersi automaticamente estesa anche nei suoi confronti. Il giudizio, infatti, nel contraddittorio di tutte le parti si è svolto su tali domande contrapposte rispetto alle quali tutte le parti hanno contraddetto.
A riprova di ciò deve richiamarsi l’orientamento di questa Corte che si è affermato sin dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 4247 del 1978, secondo il quale l’intervento in causa per ordine del giudice (art. 107 c.p.c.) ha lo scopo di estendere gli effetti sostanziali del giudicato al terzo cui il rapporto sostanziale controverso sia comune, ovvero sia connesso per il titolo o per l’oggetto con l’altro rapporto in cui il medesimo si trovi con l’attore o con il convenuto.
Dunque, il Comune, chiamato in causa nel giudizio di primo grado per ordine del giudice, era legittimato a proporre impugnazione incidentale adesiva a quella principale od incidentale della parte (attore o convenuto), per evitare che il giudicato sul detto rapporto potesse produrre effetti pregiudizievoli su quello ad esso connesso, e poteva anche, impugnare la sentenza, in via principale nella parte in cui era soccombente rispetto alle proprie conclusioni formulate in modo autonomo, ovvero alle pretese fatte valere direttamente contro di lui (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20124 del 2014).
Quanto alla legittimazione attiva del singolo condomino costituisce orientamento consolidato di recente confermato anche dalle Sezioni Unite di questa Corte quello secondo il quale: “Nelle controversie condominiali che investono i diritti dei singoli condomini sulle parti comuni, ciascun condomino ha, in considerazione della natura dei diritti contesi, un autonomo potere individuale – concorrente, in mancanza di personalità giuridica del condominio, con quello dell’amministratore di agire e resistere a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota”, sicché è ammissibile il ricorso incidentale tardivo del condomino che, pur non avendo svolto difese nei precedenti gradi di merito, intenda evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio senza risentire dell’analoga difesa già svolta dallo stesso” (Sez. U., Sent. n. 10934 del 2019).
In altri termini, il condominio si configura come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini e l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa degli interessi, esclusivi e comuni, inerenti all’edificio condominiale, tanto più in caso di azioni reali nei confronti dei singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali su cose o parti dell’edificio condominiale (in tal senso ex plurimis Sez. 3, Sent. n. 10717 del 2011; Sez. 6-2, Ord. n. 177 del 2012; Sez. 2, Sent. n. 26557 del 2017).
Nella specie, pertanto, non può negarsi la legittimazione ad agire in capo ai singoli condomini che avevano proposto la domanda riconvenzionale di usucapione in favore del condominio, così come quella di C.M., unica condomina a proporre appello avverso la sentenza di primo grado.
Quanto alla legittimazione passiva del D.P. vale quanto detto con riferimento all’intervento spiegato dal Comune. Peraltro, la censura di violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia è del tutto infondata, avendo la Corte d’Appello espressamente motivato sulla sussistenza della legittimazione passiva del D.P. avendo egli contestato la titolarità dell’area in capo al condominio (la Corte d’Appello a pag. 10 cita, in tal senso, la sentenza di questa Corte n. 4907 del 1990). Inoltre a pag. 17 la Corte d’Appello rigetta espressamente l’appello incidentale tanto del D.P. quanto del Comune.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 822,823,824 e 2729 c.c., nonché della L. n. 2248 1865, art. 22, all. F), e dell’art. 116 c.p.c..
La censura attiene alla demanialità dell’area negata dalla Corte d’Appello perché mancavano elementi rivestenti carattere di gravità per dichiarare l’appartenenza della strada al Comune.
A parere del ricorrente, invece, tali elementi sarebbero sufficienti. Inoltre, sarebbe stato violato anche della citata L. n. 2248 del 1865, art. 22, sussistendo una presunzione di appartenenza al demanio stradale comunale di tutti gli spiazzi ed i vicoli adiacenti alle strade comunali ed aperti sul suolo pubblico.
4.1 Il quarto motivo è inammissibile.
La Corte d’Appello ha ampiamente motivato le ragioni per le quali ha ritenuto che l’area controversa non fosse comunale e non rientrasse nella presunzione di demanialità. In particolare, quanto al primo aspetto, la Corte d’Appello ha evidenziato l’assenza dei presupposti di gravità precisione e concordanza per ritenere la strada appartenente all’ente pubblico territoriale non potendo rinvenirsi tali presupposti nei seguenti elementi tutti compatibili con la natura privata dell’area: il fatto che il marciapiede s’interrompesse in corrispondenza dei civici *****; l’iscrizione nell’elenco delle strade comunali; l’inserimento dell’area nella tabella toponomastica.
Quanto alla presunzione di demanialità, secondo il giudice del gravame, non era rinvenibile alcuna strumentalità rispetto alla funzione viaria della rete stradale, trattandosi di uno spazio esiguo a fondo cieco che non costituiva parte integrante della strada pubblica e non era destinato in modo permanente ed esclusivo al servizio di questa e dei suoi utenti.
La censura pertanto è inammissibile perché tende ad una non consentita rivalutazione degli elementi di fatto esaminati dalla Corte d’Appello, la quale ha individuato le fonti del proprio convincimento e valutato le risultanze probatorie dando conto dell’iter logico e deduttivo seguito. Il ricorrente, d’altra parte, non evidenzia deficienze intrinseche delle argomentazioni che sorreggono il decisum al fine di conseguire una diversa lettura delle emergenze processuali nel senso da lui auspicato.
5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 822,823,824,1158 c.c. e art. 116 c.p.c..
A parere del ricorrente la Corte d’Appello non avrebbe potuto dichiarare l’usucapione dell’area in contestazione non avendo preventivamente accertato la natura privata del bene. La Corte avrebbe escluso detta natura ritenendo non applicabile l’art. 1117 c.c., costituente l’unico presunto titolo sulla base del quale i condomini avevano sostenuto la natura condominiale quindi privata del bene. In ogni caso sarebbe stato falsamente applicato l’art. 1158 c.c., non ricorrendone i presupposti.
5.1 Il quinto motivo è inammissibile.
Da un lato la censura è inammissibile perché il ricorrente non coglie la ratio decidendi della Corte d’Appello che, al contrario di quanto egli afferma nel motivo, ha accertato la natura privata dell’area occupata dal condominio, rigettando la domanda del Comune che chiedeva accertarsi la sua titolarità sul bene. Quanto alla violazione dell’art. 1158 c.c., la Corte d’Appello ha ritenuto, sulla base delle risultanze istruttorie, che sussistessero i presupposti del possesso utile ad usucapire, ovvero l’esercizio ultraventennale, pubblico, continuo ed ininterrotto da parte del condominio di un potere di fatto corrispondente al contenuto del diritto dominicale, potere estrinsecatosi nella chiusura a terzi mediante l’apposizione di un cancello di accesso sull’area in contestazione. Anche in questo caso il ricorrente apparentemente lamenta la violazione di legge (art. 1158 c.c.) ma in realtà tende ad una non consentita rivalutazione in fatto dei medesimi elementi esaminati dalla Corte d’Appello.
6. L’unico motivo di ricorso incidentale condizionato di violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., è assorbito dal rigetto del ricorso principale.
7. La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.
8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3000 più Euro 200 per esborsi;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 24 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021
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