LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4921/2017 proposto da:
IPER AQUILA SRL, IN PERSONA DELL’AMM.RE UNICO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 14, presso lo studio dell’avvocato MARCO BARBERA, rappresentata e difesa dall’avvocato SILVIO MAROZZI;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** SPA, IN LIQUIDAZIONE IN PERSONA DEL CURATORE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CIPRO 46, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI NOSCHESE, che la rappresenta e difende;
– controricorrente
contro
MERIDIONALE INERTI SMI SRL, IN PERSONA DEL LIQUIDATORE GIUDIZIALE, FALLIMENTO ***** SRL IN PERSONA DEL CURATORE, ELETTRO SIL DI L.I. & C. SNC IN PERSONA DELL’AMM.RE OMONIMO;
– intimati –
avverso la sentenza n. 905/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 10/08/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/05/2021 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, il quale conclude per la declaratoria di inammissibilità ed in subordine per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con lodo emesso il 22.12.2009, l’arbitro unico – nominato per la risoluzione di una controversia insorta tra la ***** spa in proprio e quale mandataria dell’ATI costituita con la S.M.I. srl, la Elettro-Sil snc e la ***** srl, da una parte e la Iper Aquila srl dall’altra, relativamente all’esecuzione di un contratto di appalto stipulato il 3.1.2005 la realizzazione di un edificio commerciale – in accoglimento dei contrapposti quesiti riconobbe alla ***** un credito di Euro 4.604.982,04 per anomalo andamento dei lavori e varianti, riducendolo però a Euro 3.490.063, 84 per difetti quantificati in Euro 1.000.503,20 e mancata fornitura di una polizza decennale postuma del valore di Euro 114.415,00. Condannò quindi la committente Iper Aquila srl al pagamento del suddetto importo ridotto.
In data 23.10.2010, nelle more del giudizio di impugnazione del lodo promosso davanti alla Corte d’appello di L’Aquila in via principale dalla committente e in via incidentale dalla società appaltatrice ***** spa, sopravvenne il fallimento di quest’ultima e il giudizio venne riassunto dalla Iper Aquila nei confronti della Curatela e delle altre imprese dell’Associazione temporanea scioltasi col fallimento.
Si costituirono solo la Curatela e la S.M.I srl, mentre le altre due imprese restarono contumaci.
Con sentenza 10.8.2016 la Corte d’Appello de L’Aquila:
1 ha dichiarato inammissibili tutte le impugnazioni;
2 ha dichiarato la nullità de lodo limitatamente alla pronuncia sulle domande risarcitorie della Iper Aquila di cui pure dichiarò la sopravvenuta inammissibilità, confermando la condanna della Iper Aquila srl al pagamento della somma di Euro 4.604.982,04 oltre accessori;
3 ha compensato integralmente le spese di giudizio tra le parti.
Per giungere a tale conclusione la Corte territoriale ha osservato:
– che per tutte le originarie domande di danni per vizi, difetti, ritardi, proposte da Iper Aquila in compensazione/riconvenzionale rispetto alle domande di pagamento dei crediti vantati dalle appaltatrici fallite opera la vis attractiva della procedura fallimentare ai sensi della L. Fall., artt. 92 e 209, anche qualora venga chiesta la compensazione, come ritenuto da parte della giurisprudenza, considerato che nelle conclusioni del 15.3.2016 la Iper Aquila, anche se aveva limitato la domanda all’eccezione di compensazione dei propri crediti risarcitori con quelli vantati dal fallimento, aveva contestualmente chiesto con efficacia di giudicato l’accertamento dell’intero credito risarcitorio per importi eccedenti quello vantato dalla fallita;
che la vis attractiva operava nei confronti di tutte le imprese riunite in ATI;
che i motivi I, IV, VI, IX, X, XIII, XV, XVII, XX, XXI, tutti sull’omessa motivazione, erano inammissibili perché la motivazione del lodo esisteva e consentiva la ricostruzione della ratio decidendi, mentre le censure tendevano a un non consentito riesame del merito della vicenda;
che i motivi II, III, V e VIII sull’interpretazione contrattuale si risolvevano in realtà una nuova valutazione del fatto attraverso una interpretazione più favorevole;.
che i motivi V, VII, VIII, XI, XII, XIV, XVI, XVII, XIX, XXII, XXIII, XXIV erano anch’essi inammissibili perché si risolvevano in una alternativa interpretazione del concetto di variante, mentre il motivo XXV era inammissibile perché riguardante domandeleccezioni attratte nella competenza fallimentare;
che le censure contenute nell’impugnazione incidentale del fallimento, distinte con i nn. I, II, III, V, VII tendevano anch’esse ad un riesame dei fatti e pertanto si rivelavano inammissibili e che non ricorreva la contraddittorietà tra le disposizioni del lodo, pure denunciata con l’impugnazione incidentale, mentre il motivo IV era anch’esso inammissibile in quanto attinente a materia attratta nella competenza fallimentare;
che analoghe considerazioni andavano svolte in relazione ai motivi di impugnativa proposti dalla SMI srl, del tutto speculari a quelli del fallimento *****.
Avverso la predetta sentenza la committente Iper Aquila srl ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di diciotto motivi, illustrati anche con memoria, al quale resiste la Curatela del fallimento ***** con controricorso anch’esso illustrato da memoria.
Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte insistendo per l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 Col primo motivo la ricorrente denunzia nullità della sentenza per ultrapetizione oltre che per violazione della L. Fall., art. 52, comma 2, art. 56 e art. 96, n. 3, per avere la Corte d’Appello, peraltro in assenza di specifica richiesta o motivo di impugnazione, ritenuto attratta nella competenza del Tribunale fallimentare la compensazione dedotta dal soggetto in bonis nei confronti della Curatela, senza neppure considerare che il fallimento era intervenuto in pendenza del giudizio di impugnazione del lodo. Richiama i precedenti di questa Corte favorevoli alla tesi dell’esclusione della compensazione dall’accertamento in sede concorsuale.
1.2 Col secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 1246 c.c., rilevando che non si era trattato neppure di compensazione in senso tecnico ma di un mero saldo contabile compiuto dall’arbitro tra partite contrapposte, inerenti lo stesso contratto di appalto: la somma di Euro 1.000.503,20 rappresentava, a dire della ricorrente, il corrispettivo dei lavori che l’appaltatrice non aveva eseguito e che quindi erano stati semplicemente defalcati dal prezzo di quelli realizzati. E così l’importo di Euro 114.415,00 era relativo al pagamento della polizza pagamento in sostituzione dell’impresa: si trattava insomma non di controcrediti, ma di mere riduzioni contabili dei crediti vantati dall’appaltatore.
1.3 Col terzo motivo la ricorrente denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 829 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 823 c.p.c., n. 5, rimproverando l’omessa motivazione sulla durata dell’andamento anomalo dei lavori.
1.4 Col quarto motivo la ricorrente denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 822 c.p.c., dolendosi del giudizio di inammissibilità della censura che invece riguardava l’omessa ricerca da parte dell’arbitro della comune volontà delle parti attraverso la lettura delle clausole contrattuali sulla tempistica delle opere interne e di quelle esterne.
1.5 Col quinto motivo la ricorrente denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 822 c.p.c., con riferimento alla quantificazione del danno e in particolare alla mancanza di prova scritta del lucro cessante nonché alla efficacia del capitolato generale d’appalto dei lavori pubblici e ai riferimenti normativi citati.
1.6 Col sesto motivo la ricorrente denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 829 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 823 c.p.c., n. 5, perché, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’Appello, la motivazione del lodo non consentiva di ricostruire la ratio decidendi, ma era del tutto inesistente non essendosi l’arbitro peritato di rispondere a nessuna delle specifiche obiezioni tempestivamente e reiteratamente mosse alla risarcibilità del lucro cessante.
1.7 Col settimo motivo la ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 822 c.p.c., dolendosi del giudizio di inammissibilità della censura sull’interpretazione del concetto di variante mentre invece si era segnalato un errore di diritto dell’arbitro nel riconoscere un sovrapprezzo alla ***** per le opere di drenaggio che invece risultavano necessarie e quindi contrattualmente dovute per il prezzo stabilito, essendo prevedibili.
1.8 Con l’ottavo motivo la ricorrente denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 829 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 823 c.p.c., n. 5, perché, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’Appello, la motivazione dell’arbitro sulla bonifica del terreno (riserva n. 2) era solo apparente in quanto caratterizzata da frasi di stile.
1.9 Col nono motivo la ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 822 c.p.c., dolendosi del giudizio di inammissibilità della censura con cui si lamentava che la realizzazione di ulteriori pali di fondazione rientrava in una variante chiesta dall’appaltatore e autorizzata dal committente per cui la disciplina applicabile era quella dell’art. 1659 c.c., il cui comma 3, per i contratti a forfait, esclude il diritto dell’impresa ad un maggior compenso. Precisa che nessuna norma dell’appalto derogava al diverso regime della richiamata norma codicistica.
1.10 Col decimo motivo la ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 822 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto inammissibile la censura con cui, lamentandosi la violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1655 e 1657 c.c., ci si doleva, con riferimento alla riserva n. 3 riguardante il movimento terra, del riconoscimento della somma di Euro 71.576,02 per maggiore movimentazione di terra, in palese violazione della pattuizione a corpo. L’arbitro aveva errato nel considerare come variante quella che sicuramente non lo era per mancanza di imprevedibilità dell’intervento.
1.11 Coll’undicesimo motivo la ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 822 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto inammissibile la censura con cui, lamentandosi la violazione dell’art. 1659 c.c., comma 3, ci si doleva, con riferimento alla riserva n. 5 riguardante le fondazioni d’opera, della rimunerazione per la modifica dei plinti, trattandosi al più di variante autorizzata e giammai ordinata, per cui la stessa, in un appalto a corpo come quello in questione non dava diritto a maggior compenso senza una diversa pattuizione della quale non c’e’ traccia.
1.12 Col dodicesimo motivo la ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 822 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto inammissibile la censura con cui, in relazione alla riserva n. 10 sul completamento dei prefabbricati, lamentandosi la violazione dell’artt 1322, comma 1, artt. 1655, 1659, 1660 e 1661, anche in riferimento all’art. 1362 c.c., comma 1 e art. 1363 c.c., ci si doleva del riconoscimento del compenso (Euro. 97.976,27 al netto di IVA) per la impermeabilizzazione dei solai sottostanti il parcheggio scoperto. Richiama il capitolato speciale nella parte in cui prevede le impermeabilizzazioni e rileva che essa era stata eseguita spontaneamente dall’appaltatrice senza alcun ordine della committente. Altra doglianza riguardava il riconoscimento del costo (Euro. 41.349,54) per la realizzazione di una mensola funzionale ad un solettane cementizio che in sostanza era il relitto di una variante abortita precedentemente concordata dalle parti.
La Corte d’Appello avrebbe commesso un duplice errore, sia perché non si era in presenza di una variante bensì, al limite, di una lacuna progettuale, sia perché nessuna clausola del contratto autorizzava una interpretazione derogatrice alle norme codicistiche sulle varianti, che invece erano state confermate nell’esercizio dell’autonomia contrattuale con pattuizioni tese ad escludere ogni supplemento di corrispettivo.
1.13 Col tredicesimo motivo la ricorrente denunziala nullità della sentenza per violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 822 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto inammissibile la censura con cui, in relazione alla riserva n. 14 sul rivestimento dei massetti, lamentandosi la violazione di plurime norme (artt. 1322,1655,1659,1660,1661 c.c., art. 1362 c.c., comma 1 e art. 1363 c.c.) ci si doleva del supplemento (Euro. 114.445,29) per l’impermeabilizzazione e la coibentazione dei restati solai a livello, trattandosi di attività prescritte in maniera cogente non solo dal capitolato ma dalle leggi dello Stato.
1.14 Col quattordicesimo motivo la ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 822 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto inammissibile la censura con cui, in relazione alla riserva n. 20 sull’ambientazione della galleria lamentandosi la violazione di plurime norme (artt. 1659,2698,2725 e 2729, nonché artt. 1322,1655,1660,1661 c.c., art. 1362 c.c., comma 1 e art. 1363 c.c.) ci si doleva del supplemento (Euro 1.995,99) per materiale di maggior pregio nella realizzazione di un particolare costruttivo (chiusura delle testate sul semicilindro della cosiddetta cupola ovale prevista sulla galleria dei negozi), trattandosi di varianti abusive che non davano luogo a nessun compenso. Sarebbe stata inoltre violata la clausola contrattuale che confermava la necessità, prevista dall’art. 1659 c.c., comma 2, della forma scritta per l’autorizzazione delle varianti.
1.15 Col quindicesimo motivo, la ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 822 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto inammissibile la censura con cui, in relazione alla riserva n. 21.1 sulla maggiore quantità di serramenti che avrebbe fornito l’associata SMI, si denunziava, in violazione delle stesse norme di cui al motivo che precede, l’abusività delle varianti e la mancanza di approvazione per iscritto.
1.16 Col sedicesimo motivo la ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 822 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto inammissibile la censura con cui, in relazione alla riserva n. 21.11, 21.12. e 21.22 si denunciava la violazione di plurime disposizioni di legge (art. 1322 comma 1, artt. 1655, 1659 1660, 1661, anche con riferimento all’art. 1362 c.c., comma 1 e art. 1363 c.c.), Ritiene che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’Appello, le contestazioni sul diritto al compenso per la realizzazione della struttura metallica degli archi porta frangisole, della trave tralicciata, e della pensilina sinusoidale, non si riducevano ad una diversa interpretazione del concetto di variante, perché quelle opere integravano invece lacune progettuali delle quali l’appaltatore era corresponsabile e che avrebbe dovuto prevedere, sicché non poteva vantare alcun diritto a un maggior compenso.
1.17 Col diciassettesimo motivo la ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 822 c.p.c., nonché difetto assoluto di motivazione per avere la Corte d’Appello ritenuto inammissibile la censura con cui, in relazione alla riserva n. 21.25 sui servizi di progettazione e lamentandosi la violazione di plurime norme (art. 1655, art. 1664, comma 2, anche in riferimento all’art. 1322 c.c., comma 1 e art. 1372 c.c., comma 1), ci si doleva del supplemento (Euro. 15.000,00) che non aveva sopportato la ***** ma la S.m.i. dal proprio ufficio interno di progettazione e che riguardava l’organizzazione dei mezzi e la gestione dell’iniziativa, a carico dell’appaltatore. La Corte d’Appello non avrebbe considerato che non si trattava di varianti, ma di spese organizzative e produttive regolate dall’art. 1655 c.c., neppure influenzate dalle circostanze derogative di cui all’art. 1664 c.c. e quindi la motivazione era apparente.
1.18 Con il diciottesimo ed ultimo motivo infine, la società ricorrente, tornando alla questione del credito risarcitorio da ritardo nell’esecuzione dei lavori opposto in compensazione, denunzia la nullità della sentenza per omissione di pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e per violazione della L. Fall., art. 52, comma 2, art. 56 e art. 96, n. 3 e art. 24, nonché omesso esame di un fatto decisivo per avere la Corte d’Appello ritenuto che, anche ai fini della sola compensazione, occorresse il previo accertamento del controcredito in sede fallimentare. La Corte d’Appello – si osserva – non avrebbe considerato il fatto dirimente rappresentato dalla pronuncia del lodo intervenuta prima del fallimento, e quindi ricorreva una ipotesi già valutata da questa Corte con la sentenza n. 8495 del 1998. Osserva che se non avesse riassunto il giudizio dopo la dichiarazione di fallimento dell’appaltatore avrebbe subito gli effetti sfavorevoli del giudicato.
Avendo inoltre la Corte d’Appello affermato che essa ricorrente, oltre a chiedere l’accertamento del proprio credito, aveva mantenuto ferma la corrispondente eccezione di compensazione, conseguentemente avrebbe dovuto accogliere la sua domanda e, al limite, dichiarare inammissibile solo l’accertamento del maggior credito, per le ragioni già esposte nel primo motivo, piuttosto che applicare un principio non solo controverso, ma addirittura superato.
2 Evidenti ragioni di priorità logica impongono di partire dall’esame congiunto dei motivi compresi tra il secondo e il diciassettesimo, accomunati dal riferimento alla componente risarcitoria (il secondo, terzo, quarto, quinto e sesto) e alle riserve (i restanti).
Essi sono tutti infondati.
In sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia deciso sull’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, questa Corte non può apprezzare direttamente il lodo arbitrale, ma solo la decisione impugnata nei limiti dei motivi di ricorso relativi alla violazione di legge e, ove ancora ammessi, alla congruità della motivazione della sentenza resa sul gravame, non potendo peraltro sostituire il suo giudizio a quello espresso dalla Corte di merito sulla correttezza della ricostruzione dei fatti e della valutazione degli elementi istruttori operata dagli arbitri (tra le varie, cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 2985 del 07/02/2018 Rv. 647336; Sez. 2, Sentenza n. 10809 del 26/05/2015 Rv. 635440; Sez. 1 -, Ordinanza n. 27321 del 30/11/2020 Rv. 659749 in motivazione).
Come affermato nella pronuncia n. 2187/2016 e successivamente ribadito nell’ordinanza n. 2985 del 07/02/2018, non è ammessa la riproposizione di questioni di fatto che formarono oggetto della decisione arbitrale, posto che il controllo della Suprema Corte non può mai consistere nella rivalutazione dei fatti, neppure in via di verifica dell’adeguatezza e congruenza dell’iter argomentativo seguito dagli arbitri (cfr. Cass. 26 luglio 2013, n. 18136); il giudizio di impugnazione per nullità del lodo costituisce un giudizio a critica limitata, onde il sindacato di legittimità sulla g sentenza che quell’impugnazione abbia deciso deve essere condotto esclusivamente con riguardo alla medesima (fra le altre, Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675). Invero, al fine di verificare se la sentenza della corte del merito sia affetta da violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, entro i cui confini è circoscritta la nullità del lodo arbitrale per inosservanza delle regole in iudicando, nonché adeguatamente motivata in relazione ai motivi di impugnazione del lodo, questa Corte non può apprezzare direttamente il lodo arbitrale, ma solo la decisione impugnata: per il principio consolidato, secondo cui il sindacato di legittimità va condotto esclusivamente attraverso il riscontro della conformità a legge e, ove ancora ammessa, della logicità della motivazione della sentenza che ha deciso sull’impugnazione del lodo, ma non può riguardare il convincimento espresso dalla corte del merito sulla correttezza e congruità della ricostruzione dei fatti e della valutazione degli elementi istruttori operata dagli arbitri (tra le tante, Cass. 10 settembre 2012, n. 15086; 31 gennaio 2007, n. 2201; 15 marzo 2007, n. 6028; 22 marzo 2007, n. 6986).
Il difetto di motivazione, quale vizio riconducibile al vecchio art. 829 c.p.c., n. 4 (ora art. 829 c.p.c., n. 5, per carenza del requisito di cui all’art. 823 c.p.c., n. 5, esposizione sommaria dei motivi), è stato ravvisato soltanto nell’ipotesi in cui la motivazione del lodo manchi del tutto ovvero sia a tal punto carente da non consentire l’individuazione della “ratio” della decisione adottata o, in altre parole, da denotare un “iter” argomentativo assolutamente inaccettabile sul piano dialettico, sì da risolversi in una non-motivazione (Sez. 1, Ordinanza n. 27321 /2020 cit.; Cass. 12321/2018; Cass. 6986/2007).
Stante in effetti la tassatività dei motivi di impugnazione del lodo arbitrale per nullità e del vizio di cui all’art. 829 c.p.c., n. 11, nel testo novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, se una motivazione del lodo c’e’, condivisibile o meno che sia, essa è intangibile, essendo l’impugnazione del lodo arbitrale per nullità un’impugnazione a critica ristretta (così Sez. 1, Ordinanza n. 27321/2020 cit. in motivazione).
Nel caso di specie, le plurime censure in esame, lungi dal denunziare violazioni di norme di diritto oppure la mancanza o apparenza della motivazione, sollecitano in sostanza la Corte di Cassazione ad una totale rivisitazione nel merito della vicenda e ad una rivalutazione dei fatti dedotti dalle parti e delle prove acquisite nel giudizio arbitrale, attraverso una attività di riesame che, snaturando il giudizio di legittimità, presupporrebbe necessariamente l’esame analitico dell’atto di impugnazione davanti alla Corte d’Appello, nonché l’esame congiunto del lodo stesso unitamente alla relazione del consulente tecnico di ufficio sul tema della quantificazione dei danni e sulla valutazione delle riserve, attività – questa – prettamente fattuale e peraltro non consentita neppure davanti alla Corte d’Appello, stante la peculiare natura del giudizio di impugnazione del lodo arbitrale (a critica vincolata: v. Sez. 1 Ordinanza n. 27321/2020 cit.; Sez. 1, Ordinanza n. 16559 del 31/07/2020 Rv. 658604; Sez. 1 Ordinanza n. 16553 del 31/07/2020 Rv. 658802).
Giustamente, quindi, la sentenza impugnata ha esaminato le doglianze avanzate e, facendo applicazione dei principi giurisprudenziali che regolano il giudizio di impugnazione del lodo, le ha ritenute inammissibili, sottraendosi così alle censure sollevate con i motivi in esame.
3 Si rivelano invece fondati il primo e l’ultimo motivo, da esaminare congiuntamente per il comune e riferimento al tema della vis attractiva.
Secondo il più recente orientamento di questa Corte l’eccepibilità in compensazione di un credito del terzo verso il fallito non è condizionata alla preventiva verificazione di tale credito, purché sia stata fatta valere come eccezione riconvenzionale; solo l’eventuale eccedenza del credito del terzo verso il fallito non può essere oggetto di sentenza di condanna nei confronti del fallimento, ma deve essere oggetto di autonomo procedimento di insinuazione al passivo (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 30298 del 18/12/2017 Rv. 647290; v. anche così la pronuncia 287/2009, e sul principio, conformi, le successive 15562/2011, 64/2012, 14418/2013).
L’eccezione di compensazione, infatti, è diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda attrice ottenendone il rigetto totale o parziale, mentre il rito speciale per l’accertamento del passivo previsto dalla L. Fall., artt. 93 e segg., trova applicazione nel caso di domanda riconvenzionale, tesa ad una pronuncia a sé favorevole idonea al giudicato, di accertamento o di condanna al pagamento dell’importo spettante alla medesima parte una volta operata la compensazione (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 30298/2017 cit.).
Questo principio, applicato nel caso di giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito del fallito, vale logicamente anche in fattispecie come quella in esame, cioè quando il fallimento del creditore viene dichiarato dopo la pronuncia del lodo arbitrale e in pendenza del giudizio di impugnazione dello stesso davanti alla Corte d’Appello.
Nel caso in esame dalle conclusioni rassegnate davanti alla Corte d’Appello e trascritte alle pagg. 2 e 3 del ricorso per cassazione risulta che la committente Iper Aquila aveva avanzato richieste di accertamento nei confronti della fallita e delle altre società mandanti dell’ATI per danni da ritardo (Euro. 3.020.000,00), per vizi e incompletezze (Euro. 1.000.503,20) e per obbligo di rimborso polizza assicurativa (Euro. 114.415,00).
L’accertamento richiesto da Iper Aquila riguardava quindi importi per un totale di Euro 4.134.918,20, che andava ad eccepire in compensazione con i controcrediti “che ancora fossero accertati a favore delle appaltatrici” e che l’arbitro aveva già quantificato in 4.604.982,04.
La domanda di pagamento di eventuali somme in eccedenza era stata invece avanzata nei confronti delle due società non fallite, la Società Meridionale Inerti e la Elettro Sil.
Ha quindi errato la Corte d’Appello a ritenere attratta alla competenza fallimentare la compensazione chiaramente opposta verso la fallita ***** dalla società debitrice Iper Aquila mentre avrebbe dovuto distinguere tra i controcrediti opposti in compensazione e quelli opposti in eccedenza con richiesta di pagamento del dovuto.
Si rende pertanto necessaria la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai due motivi in esame.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte decide la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, disponendo l’eliminazione del punto 2 del dispositivo, sicché rivivono tutte le statuizioni contenute nel lodo.
Le spese del giudizio di impugnazione davanti alla Corte d’Appello e quelle del presente giudizio di legittimità, in considerazione della soccombenza parziale di entrambe le parti, vanno interamente compensate.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo e il diciottesimo motivo di ricorso; rigetta i restanti motivi e, decidendo nel merito, elimina il punto 2 del dispositivo della sentenza impugnata. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 5 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021
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