LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SESTINI Danilo – Presidente –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20940/2018 proposto da:
MEGA SRL, elettivamente domiciliata in ROMA Piazza Cavour, c/o la Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli avv.ti GIOVANNI MAZZON, e GIORGIO CAROZZI;
– ricorrente –
contro
N.E.S.I.H., I.R.I. ( E.S.), A.I.R., R.I.R.I., H.I.R.I., tutti a mezzo del loro procuratore speciale A.M.R.I., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 9, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO DE ARCANGELIS, rappresentati e difesi dall’avvocato ALESSANDRO GRACIS;
– controricorrenti –
e contro
P.A.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 2426/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 15/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/07/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza ex art. 281 sexies c.p.c., del 15/5/2018 la Corte d’Appello di Milano, in accoglimento del gravame interposto dai sigg. N.E.S.I.A. ed altri e in conseguente riforma della pronunzia Trib. Milano 6/4/2017, ha rideterminato in aumento l’ammontare in loro rispettivo favore e solidalmente a carico della società Mega s.r.l. e del sig. P.A. liquidato dal giudice di prime cure a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale dai medesi sofferto in conseguenza del decesso del loro congiunto T.I.R.I. avvenuto il ***** allorquando, dopo essere salito “sul tetto del capannone servendosi di una scala esterna, fissa, c.d. alla marinara a servizio della copertura, per sostituire alcune lastre di cemento, che rischiavano di ammalorare il materiale ricoverato da poco all’interno da questi, camminando sul lucernario, cadeva all’interno del magazzino da un’altezza di ca. 8 metri”.
Avverso la suindicata decisione della corte di merito la società Mega s.r.l. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi.
Resistono con controricorso i sigg. sigg. N.E.S.I.A. ed altri.
L’altro intimato non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1 motivo la ricorrente denunzia “omesso esame” di fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 5.
Con il 2 motivo denunzia violazione dell’art. 2697 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Con il 3 motivo denunzia violazione degli artt. 1226,2056,2729 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Con il 4 motivo denunzia violazione dell’art. 115 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il ricorso è inammissibile.
Va anzitutto osservato che esso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che la ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, all'”atto di citazione regolarmente notificato”, alla memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, alla sentenza di 1 grado, all'”atto di citazione del 02/10/2017", alle “mere affermazioni avversarie (cfr. pag. 20 del presente ricorso; doc. 4 fasc. di secondo grado di parte ricorrente, All. 1 Atto di Citazione in Appello del 02/10/2017, pagg. 32, 33; cfr. doc. 3 pag. 32 e 33 del fascicolo separato)”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente (per la parte strettamente d’interesse in questa sede) riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (v. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).
A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).
Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851), con la conseguenza che l’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono invero dall’odierna ricorrente non idoneamente censurati.
E’ al riguardo appena il caso di osservare che i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo.
Essi rilevano ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).
Va per altro verso sottolineato come, al di là della formale intestazione dei motivi, la ricorrente deduca in realtà doglianze (anche) di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l’omesso e a fortiori l’omessa o erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).
Senza d’altro canto sottacersi, con particolare riferimento al 3 motivo, che nel ritenere l’odierna ricorrente responsabile ex art. 2051 c.c., per non aver fornito la prova liberatoria del fortuito la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione della regola speciale ivi prevista, contemplante una presunzione iuris tantum di responsabilità in capo al custode dalla quale il medesimo può liberarsi solamente dando la prova del fortuito.
Tale norma deroga infatti alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c., realizzando un’inversione dell’onere della prova che dal legislatore risulta posta in capo al custode presunto responsabile (cfr. già Cass., 20/2/2006, n. 3651).
Per altro verso, non può del pari sottacersi che in tema di prova presuntiva non è necessario che il fatto ignoto sia l’unica e necessaria conseguenza del fatto noto ma basta che la relativa esistenza possa da quest’ultimo desumersi secondo un giudizio di probabilità fondato sull’id quod plerumque accidit, potendo il giudice trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, con valutazione – tipicamente di fatto – incensurabile in sede di legittimità ove immune da vizi logici e giuridici, il cui sindacato rimane peraltro circoscritto alla verifica della motivazione nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass., 17/1/2019, n. 1234. Cfr. altresì Cass., 23/1/2006, n. 1216; Cass., 19/3/2002, n. 3974; Cass., 10/1/1995, n. 237. E già Cass., 18/3/1982, n. 1772).
Orbene, anche di tale principio la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatta piena e corretta applicazione.
Nel correttamente premettere che “nell’ipotesi di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da perdita di un congiunto il danneggiato, a far tempo dalla pronuncia a Sezioni Unite n. 26972/2008, può provare il pregiudizio patito anche attraverso presunzioni semplici ovvero invocando massime di esperienza”, la corte di merito ha posto in rilievo come “nel caso… parte appellante… abbia, non solo allegato il forte legame familiare che univa i congiunti alla vittima, ma… altresì sottolineato come la comunanza di affetti che legava la vittima, figlio primogenito, alla famiglia d’origine, si fosse mantenuta costante anche dopo il trasferimento in Italia, invero avvenuto solo pochi anni prima dell’evento e solo alla maggiore età del ragazzo (fissata in 21 anni dalla legge egiziana),… attraverso quotidiani contatti telefonici, e come il ragazzo inviasse i proventi del proprio lavoro ai propri congiunti in Egitto affinché fosse loro assicurata una stabilità economica. Tali circostanze sono state fatte oggetto di specifici passaggi motivazionali da parte dello stesso Giudice penale il quale, infatti, al fine della liquidazione del danno provvisionale ha evidenziato in sentenza come due testi, I. e H., avessero dichiarato come la vittima fosse solita inviare somme di denaro al suo nucleo familiare rimasto in Egitto, a conferma del forte legame ancora esistente tra i singoli componenti della famiglia”.
Ha ulteriormente sottolineato che “Tali allegazioni non risultano essere state in alcun modo contestate da Mega s.r.l., che ha completamente obliterato tale aspetto, tanto in sede istruttoria in primo grado nonché nel proprio atto introduttivo in sede di gravame e nelle proprie note conclusive, con ciò ulteriormente avvalorando la fondatezza delle allegazioni di parte appellante”.
Ancora, “Tanto premesso e ricostruita anche attraverso le risultanze emerse nel procedimento penale, liberamente valutabili dalla Corte, quanto alla posizione di Mega s.r.l. ed ormai coperte dal giudicato rispetto alla posizione processuale di P.A., l’esistenza di un permanente vincolo familiare tra il giovane lavoratore deceduto e la sua famiglia di origine, all’epoca costituita da fratelli tutti più giovani di lui”, ha osservato di dover “evidenziare come tali fatti, non contestati dalla società appellata, inducano a far ritenere provato il permanente legame affettivo della vittima con la famiglia improvvisamente privata in maniera estremamente drammatica di un figlio in giovanissima età”, al riguardo ulteriormente sottolineando come “a conferma della sussistenza del legame di origine, questi fosse in Italia da poco tempo, da poco meno di due anni, ed avesse mantenuto stretti contatti con il proprio ambito di origine culturale e sociale, attraverso continue relazioni con la propria comunità di origine una volta in Italia, ove si era mantenuto in rapporto con il cugino A.M.R.I., e con altri connazionali disponibili ad aiutarlo nella ricerca del lavoro”.
E’ pervenuta pertanto a concludere che “le valutazioni esposte, fondate sulle emergenze in atti desunte dal procedimento penale, come tali liberamente apprezzabili dalla Corte, l’esistenza pacifica del legame di parentela, la giovane età degli altri fratelli all’epoca del fatto privati a loro volta della figura del fratello maggiore, e la presenza in Italia da poco tempo della vittima, all’epoca di soli 23 anni, scomparso in modo tragico e improvviso, a seguito di un evento di rilievo penale, impongono una differente rideterminazione del danno non patrimoniale da perdita del congiunto patito degli appellanti, non giustificandosi la riduzione del ristoro nei termini operati dal Tribunale, in misura anche notevolmente inferiore rispetto ai minimi tabellari adottati dal tribunale di Milano e aggiornati secondo le attuali Tabelle del 2018”.
Emerge evidente, a tale stregua, come l’odierna ricorrente in realtà inammissibilmente prospetti invero una rivalutazione del merito della vicenda comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimità, nonché una rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi.
Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore dei controricorrenti sigg. sigg. N.E.S.I.A. ed altri – con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario, seguono la soccombenza.
Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore dell’altro intimato, non avendo il medesimo svolto attività difensiva.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore dei controricorrenti sigg. sigg. N.E.S.I.A. ed altri, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 14 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021
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