LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14059/15 R.G., proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
Enerco Real Estate s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore p.t., rappresentata e difesa, in forza di procura in calce al controricorso, dall’avv.to Vincenzo Stella, con il quale è
elettivamente domiciliata in Roma, Via Giuseppe Avezzana, n. 3, presso lo studio dell’avvocato Salvatore Di Mattia.
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1923/29/14 della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata in data 26 novembre 2014, non notificata;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rosita D’Angiolella nella Camera di consiglio del 28 settembre 2021;
udito, per la ricorrente Amministrazione, l’Avvocato Alessandro Maddaluno che ha concluso riportandosi al ricorso;
udito, per la società controricorrente, l’Avvocato Vincenzo Stella che ha concluso riportandosi al controricorso;
udito il Sostituto Procuratore Generale, Dott. Mauro Vitiello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Padova, Ufficio controlli – notificava, in data *****, alla società Enerco Real Estate s.r.l. (di seguito, per brevità, Enerco) l’avviso di accertamento n. *****, per Ires e Irap anno 2006, contestando un maggior reddito imponibile, pari ad Euro 1.950.187,00 ed il pagamento di maggiori imposte per Euro 643.892,00.
2. L’avviso di accertamento scaturiva dalla verifica fiscale di alcune operazioni di compravendita di azioni effettuate tra la società Energy Solution s.r.l., poi divenuta Enerco Real estate s.r.l., e la società S.I.ME (Società Impianti Metano) s.p.a. (di seguito, S.I.ME), con le quali venivano cedute all’acquirente E.On Vendita s.r.l. quote di partecipazione al capitale sociale della Energycom s.p.a. a prezzi che, secondo l’ipotesi dell’Agenzia delle entrate, non giustificavano un reale interesse economico all’operazione di cessione azionaria in quanto sproporzionati in rapporto al numero di azioni cedute con i due atti di cessione.
Ed infatti, furono stipulati, in data *****, due contestuali contratti di cessione di azioni, con i quali S.I.ME cedeva ad E.On Vendita s.r.l. il 34% di Energycom, al prezzo di Euro 5.317.87,00 ed Enerco cedeva ad E.On Vendita s.r.l. il 66% di Energycom, al prezzo di Euro 4.582.813,00, senza che, secondo l’ipotesi dell’Ufficio, emergesse un oggettivo interesse economico per giustificare che un’azione venduta da S.I.ME ad Euro 9,80 valesse, per l’acquirente, il 241% in più rispetto ad un’azione venduta da Energysolution (venduta ad Euro 2,87). Dalla verifica fiscale si appurò anche che il 60% del capitale sociale di Enerco era detenuto da S.I.ME e che il restante 40% era detenuto dai signori C.P. e C.G. i quali erano a loro volta soci unici di S.I.ME, con la conseguenza che le due società venditrici, S.I.ME ed Enerco, erano di fatto riconducibili alla medesima compagine azionaria.
Sulla base di tali elementi l’Agenzia delle entrate, ipotizzando, che l’unico scopo sotteso alle cessioni azionarie fosse il risparmio fiscale di cui alla plusvalenza generata dalla prima vendita effettuata da S.I.ME imputava alle due società venditrici il complessivo prezzo di vendita (“(…) La cessione del 34% da parte di SIME è così tassata: 33,90% genera plusvalenza esente ex art. 87; 0,10 genera ricavi ex art. 85 (…) La ripartizione del valore dell’azienda valutata nel suo complesso ed in Euro 9.9000.000,00 tra i due venditori appare quindi funzionale solo a questi ultimi. Il valore di un’azione Energycom per l’acquirente è di Euro 6,20 (9.900.000/1.596.000): non vi è alcun motivo per ritenere che un’azione venduta da SIME (ad Euro 9,80) valga per chi acquista il 241% in più rispetto ad una venduta da Energy solution (Euro 2,87). Alla base della sproporzione dei prezzi di vendita delle quote detenute da SIME (34% per Euro 5.317.187) e dalla S.V. (66% per Euro 4.582.813) si intravede solo l’interesse delle società venditrici. Come sopra meglio esposto il prezzo di vendita della prima quota genera plusvalenza esente ai sensi dell’art. 87 Tuir, la seconda genera ricavi ai sensi dell’art. 85, comma 1, lett. c). Conseguentemente maggiore è la quota attribuibile alla quota del 34%, minore è il carico fiscale complessivo. Alla luce di quanto esposto si procede quindi a lei imputare il complessivo prezzo di vendita le due società venditrici: SIME 34%:9.900.000 x 34%= 3.366.000; Energy solution 9.900.000 X66%= 6.534.000, la SV quindi doveva dichiarare ricavi per 6.534.000 contro i 4.852.813 dichiarati”, v. motivazione dell’avviso di accertamento come riportata a pag. 3 del ricorso).
3. La società Enerco impugnava l’avviso di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Padova, contestando l’ipotesi dell’Ufficio sul rilievo che il diverso valore delle quote cedute trovava ragione nell’obbligo di dare esecuzione ai patti parasociali in virtù dei quali S.I.ME, con la partecipazione del 34% detenuta in Energycom s.r.l., manteneva alcuni privilegi quali il diritto di nomina dell’amministratore delegato ed il diritto di partecipazione alla compagine sociale sempre in percentuale non inferiore al 34% anche in caso di futuro aumento del capitale sociale, così determinando, in fatto, il diritto di veto sulle decisioni delle società in quanto per le delibere delle assemblee straordinarie era richiesta una maggioranza qualificata del 66,67%.
La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso della Enerco, ritenendo che i patti parasociali giustificassero le valide ragioni economiche sottese alle cessioni azionarie intervenute con la società E.On Vendita s.r.l..
L’Agenzia delle entrate proponeva appello avverso tale sentenza, sostenendo tra l’altro, che a differenza di quanto assunto dai primi giudici, “l’unico fine perseguito era quello di attribuire la parte maggiore del prezzo di cessione alla cessione della quota del 34% assoggettandola al regime di esenzione” e che “non vi era alcun interesse da parte di Eon acquirente versare un sovraprezzo per l’acquisizione di diritti che avrebbe comunque acquisito diventando socio unico di Energycom” (v. sentenza impugnata).
La Commissione tributaria regionale adita, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la sentenza di primo grado rigettando l’appello dell’Amministrazione finanziaria, la quale, ha proposto ricorso in cassazione avverso tale sentenza affidato ad un unico motivo.
La società Enerco ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso l’Amministrazione finanziaria denuncia la violazione e falsa applicazione del principio del divieto dell’abuso di diritto, fondato sull’art. 53 Cost., in combinato disposto con gli artt. 1322,1253 e 1346 c.c., per avere il giudice d’appello escluso l’elusione fiscale sanzionabile ritenendo prevalente la volontà delle parti di cui ai patti parasociali volta a valorizzare la quota di S.I.ME del 34% in Energycom s.r.l.. A dire della ricorrente, la decisione della CTR ha travisato il principio, immanente nell’ordinamento, del divieto dell’abuso di diritto, principio configurabile ogni qual volta le operazioni negoziali siano prive di oggettive ragioni economiche e siano poste in essere al solo fine di ottenere un indebito risparmio fiscale. Tale errore di diritto emergerebbe dalle stesse argomentazioni della sentenza che, da un lato, hanno individuato la sussistenza dell’interesse economico delle operazioni negoziali nel contenuto dei patti parasociali (“gli stessi mai sarebbero addivenuti alla compravendita ove la loro volontà non fosse stata recepita nel contratto di compravendita: loro volontà era quella di valorizzare la quota Sime in virtù dei patti parasociali esistenti”); dall’altro, hanno negato la sussistenza di un interesse economico sotteso all’operazione là dove con esse si afferma che la vendita del 34% delle azioni al prezzo di Euro 5.317.187,00 avvenne “solo in funzione di privilegi previsti e connessi alla quota Sime che Eon acquirente attribuisce alla suddetta quota (che mai sarebbe stata ceduta senza tale attribuzione”). Deduce, poi, che avendo i patti parasociali effetti obbligatori solo tra le parti che li sottoscrivono, il giudice di appello avrebbe errato, altresì, nella parte in cui ha ritenuto che in caso di cessioni di azioni da parte di uno dei soci sottoscrittori, vi possa essere l’automatico subentro del terzo acquirente al medesimo patto, senza considerare che il patto parasociale non attiene all’azione, ma riguarda unicamente la posizione del socio che lo sottoscrive.
1.1. La violazione di legge che viene addebitata alla sentenza d’appello consisterebbe, dunque, nell’aver escluso l’abuso di diritto nonostante l’operazione sottesa ai patti parasociali fosse priva di valore economico e per aver riconosciuto l’efficacia del patto para-sociale intervenuto tra S.I.ME e gli originari soci della Energycom anche nei confronti del terzo acquirente delle azioni, E.On Vendita s.r.l.
2. Va premesso che non v’e’ contestazione tra le parti sulle circostanze di fatto che hanno originato il presente giudizio: nel novembre del 2006 la società S.I.ME e la società Enerco (già Energy Solution s.r.l.) detenevano l’intero capitale sociale della società Energycom s.p.a. possedendo, la prima, il 34% delle azioni Energycom e la seconda il 66%; con due atti di vendita conclusi in data *****, sia la S.I.ME che la Enerco vendevano le azioni di Energycom s.p.a. da loro possedute alla società E.On Vendita s.r.l. che, acquistando il 34% delle azioni dalla SI.ME ed il 66% dalla Enerco, diventava titolare dell’intero capitale sociale di Energycom s.p.a.; il prezzo della vendita del 34% delle azioni detenute da SI.ME fu pattuito in Euro 5.317.817,00, mentre il prezzo dell’ulteriore 66% ceduto dalla Enerco, in Euro 4.582.813,00; e’, altresì, pacifico che i patti parasociali intervenuti tra le società fondatrici di Energycom garantivano alla quota detenuta da S.I.ME (34%) il diritto di nomina dell’amministratore delegato e la stabilità di tale percentuale di partecipazione al capitale sociale, così come è pacifico che le due società venditrici (S.I.ME e Energycom) facevano capo a C.P. e C.G., soci unici della S.I.ME (il 60% del capitale sociale di Enerco era detenuto da S.I.ME ed il restante 40% era detenuto da C.P. e C.G., soci unici della S.I.ME).
3. Così ricostruiti i termini fattuali della vicenda processuale, il motivo di ricorso è fondato e va accolto per la ragioni di seguito esposte.
3.1. Questa Corte, sin dalle sentenze a Sezioni unite del 2 dicembre 2008, nn. 30055, 30056 e 30057, ha riconosciuto l’immanenza nel sistema tributario italiano del divieto di abuso del diritto divieto enucleabile in base ai principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività (art. 53 Cost.).
3.1. L’importante affermazione giurisprudenziale di cui alle sentenze indicate, giunge al termine di un complesso percorso interpretativo, nel quale questa Corte si è interrogata sulla generale applicabilità del principio comunitario di divieto dell’abuso del diritto, in precedenza affermato dalla Corte di giustizia (Corte giustizia Ce, grande sezione, sentenza del 21 febbraio 2006, cause C-255/02 e C-223/03, Halifax; Corte giustizia Ce, sentenza del 21 febbraio 2008, causa C-425/06, Part. Service).
3.2. Gli esiti di tale percorso interpretativo – che originariamente ponevano il dubbio, dell’applicabilità del principio nei settori non armonizzati ma solo in quanto “principio tendenziale”, che avrebbe dovuto condurre il giudice a ricercare, nell’ordinamento nazionale mezzi giuridici appropriati per il contrasto dell’abuso, come, nel nostro ordinamento consentiva il ricorso alle ipotesi di nullità dei contratti per mancanza per illiceità di causa (artt. 1418 e 1344 c.c.), dubbio immediatamente superato dalla considerazione che il principio dell’abuso di diritto si impone nell’ordinamento tributario italiano “pur non esistendo una corrispondente enunciazione nelle fonti normative nazionali” e, quindi, anche “al di fuori dei tributi armonizzati o comunitari” (Cass. 17/10/2008, n. 25374) – hanno portato alla configurazione di un principio di divieto dell’abuso del diritto “autonomo” rispetto a quello di derivazione comunitaria, in quanto i principi di capacità contributiva e di progressività (art. 53 Cost.), renderebbero sussistente nel sistema nazionale “il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione”, affermazione che non contrasterebbe con la presenza di specifiche norme antielusive (tra cui il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis), che vanno apprezzate come “mero sintomo dell’esistenza di una regola generale” (così, Sez. U., 23/12/2008, n. 30055).
3.3. L’elaborazione della giurisprudenza tributaria di questa Corte ha dunque perimetrato l’ipotesi della condotta abusiva ad ogni operazione economica realizzata attraverso l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione normativa, di strumenti giuridici posti in essere al solo scopo, elusivo, di realizzare un risparmio di imposta, con la conseguenza che il divieto di siffatte operazioni non opera in presenza di ragioni economicamente apprezzabili che si possano spiegare altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta (cfr., ex plurimis, Sez. U., 23/12/2008, n. 30055; Sez. 5, 30/11/2012, n. 21390; Sez. 5, 06/03/201 5, n. 4561; Sez. 5, 23/11/2018, n. 30404; Sez. 5, 31/12/2019, n. 34750; Sez. 5, 24/06/2021, n. 18239; Sez. 5, 21/07/2020, n. 15510; Sez. 5, 02/04/2021, n. 9135).
3.4. In tale prospettiva, si è chiarito che il principio dell’abuso di diritto il cui fondamento si rinviene nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis, non sarebbe in contrasto con il principio di riserva di legge, di cui all’art. 23 Cost., in quanto non si tradurrebbe nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali e comporterebbe l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretende di far discendere dall’operazione elusiva (Cass. 19/2/2014, n. 3938).
3.5. Quanto alla prova del disegno elusivo, nonché delle modalità di distorsione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato ed utilizzati solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria, dovendo l’Amministrazione dimostrare che la ragione “prevalente” che sorregge la scelta giuridica del contribuente è quella del risparmio fiscale, prova che può esser data mettendo a confronto il comportamento posto in essere con “il comportamento fisiologico aggirato, onde far emergere quella anomala differenza incompatibile con una normale logica economica” (v. Sez. 5, 21/01/ 2009, n. 1465; id. Sez. 5, 26/02/2014, n. 4603). Il contribuente, per contro, potrà provare la sussistenza di ragioni economicamente apprezzabili, alternative e concorrenti, dotate di ragionevole consistenza, e non meramente marginali rispetto allo schema negoziale adottato. Ciò comporta che spetta all’Amministrazione finanziaria l’onere di spiegare perché lo schema negoziale impiegato dal contribuente abbia carattere anomalo o inadeguato rispetto all’operazione economica intrapresa (Sez. 5, 30/11/2012, n. 21390; Sez. 5, 20/5/2016, n. 10458), mentre ricade sul contribuente l’onere di provare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate.
3.6. Ed infatti, dal punto di vista della configurazione formale dell’abuso, ci si è preoccupati di trovare una giusta linea di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e libertà di scelta delle forme giuridiche, osservandosi che il carattere abusivo di una determinata operazione, nel fondarsi normativamente sul difetto di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale (cfr. Sez. U, n. 30055 e 30057 del 2008; CGUE nei casi 3M Italia, Halifax, Part. Service), presuppone quanto meno l’esistenza di un adeguato strumento giuridico che, pur se alternativo a quello scelto dai contraenti, sia comunque funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito (Sez. 5, 30/11/2012 n. 21390, par.3.2) rispetto al quale indagare se vi sia reale fungibilità con le soluzioni eventualmente prospettate dal fisco (cfr. Sez. 5, 26/02/2014, n. 4604).
3.7. Nell’intento di perseguire la pianificazione fiscale aggressiva, la Commissione Europea ha diramato la raccomandazione 2012/772/ UE agli Stati membri di intervenire ogniqualvolta vi sia “una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale” (montages articiels, artificial arrengement, mecanismo artificial, come inteso nelle varie versioni linguistiche), precisando all’uopo che “una costruzione o una serie di costruzioni è artificiosa se manca di sostanza commerciale” (p. 4.4), o più esattamente di “sostanza economica” (p. 4.2), e “consiste nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali”, mentre “una data finalità deve essere considerata fondamentale se qualsiasi altra finalità che è o potrebbe essere attribuita alla costruzione o alla serie di costruzioni sembri per lo più irrilevante alla luce di tutte le circostanze del caso” (cfr. Sez. 5, 14/01/2015, n. 438 e Sez. 5, 14/01/2015,n. 43, p.8.3) 3.8. Lo stesso intento lo ha perseguito il legislatore nazionale con la L. 11 marzo 2014, n. 23, che, nel delegare al governo l’attuazione della disciplina dell’abuso del diritto (D.Lgs. 15 agosto 2015, n. 128, recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente) in ottemperanza alla raccomandazione 2012/772/UE, sulla pianificazione fiscale aggressiva, ha indicato tra i principi ed i criteri direttivi quelli di “definire la condotta abusiva come un uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio di imposta” (Sez. U. n. 30055 del 2008 e 30057 del 2008; CGUE 3M Italia), di “garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti un diverso carico fiscale” (CGUE Part. Service) di “considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell’operazione abusiva” (rectius “scopo essenziale”, CGUE Halifax e Part. Service).
3.9. In tale linea interpretativa si pone lo Statuto dei diritti del contribuente, art. 10-bis, che pur non applicandosi, ratione temporis, alla fattispecie in esame (D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 1, comma 5), risponde alle esigenze tracciate dalle fonti comunitarie e nazionali, stabilendosi che si è in presenza dell’abuso del diritto allorché “una o più operazioni prive di sostanza economica”, pur rispettando le norme tributarie, realizzano essenzialmente “vantaggi fiscali indebiti” (comma 1), chiarendosi che un’operazione è priva di sostanza economica se “i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati”, sono “inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”, precisandosi che sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la “non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato” (comma 2) e ribadendo che, ferma restando la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale (comma 4), non possono considerarsi abusive le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo, che “rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente” (comma 3) (in termini, Sez. 5, 16/3/2016, n. 5155; Sez. 5, 23/11/2018, n. 30404; Sez. 5, 5/12/2019, n. 31772, in motivazione; conf. Cass. n. 438 e 439 del 2015, cit., in motivazione).
4. Nel solco dei principi espressi dalla raccomandazione 2012/772/UE ed all’attuazione che di essa ne ha dato il nostro ordinamento come innanzi indicati, questa Corte è giunta, dunque, ad affermare un generale principio antielusivo rinvenibile nella Costituzione e nelle indicazioni della raccomandazione n. 2012/772/UE, configurabile ogni qual volta si sia in presenza di una o più costruzioni di puro artificio che, realizzate al fine di eludere l’imposizione, siano prive di sostanza commerciale ed economica, ma produttive di vantaggi fiscali (cfr., ex plurimis, Sez. 5, 23/11/2018, n. 30404; Sez. 5, 30/12/2019, n. 34595; Sez. 5, 02/03/2020, n. 5644; Sez. 5, 02/02/2021, n. 2224).
4.1. Per configurare la condotta abusiva e’, dunque, necessario un’attenta valutazione delle “ragioni economiche” delle operazioni negoziali che sono poste in essere, in quanto, se le stesse sono giustificabili in termini oggettivi, in base alla pratica comune degli affari, minore o del tutto assente è il rischio della pratica abusiva; se invece tali operazioni, pur se effettivamente realizzate, riflettono, attraverso artifici negoziali, assetti di “anormalità” economica, può verificarsi una ripresa fiscale là dove è possibile individuare una strada fiscalmente più onerosa. In tal senso, la prova dell’elusione deve incentrarsi sulle modalità di manipolazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché sulla loro mancata conformità ad una normale logica di mercato.
5. Nel caso di specie, il giudice d’appello ha liquidato come del tutto “irrilevanti” i fatti posti a base dell’accertamento fiscale – il fatto che il 60% di Enerco fosse detenuto dalla medesima S.I.ME, il fatto che il restante 40% fosse detenuto ai soci unici, il fatto che S.I.ME, prima della cessione ad E.On Vendita s.r.l., avesse acquisito le quote detenute in Energycom s.r.l. dagli altri soci per rivenderle ad Enerco, il fatto della macroscopica sproporzione tra il prezzo di vendita delle azioni detenute da S.I.ME (34%) rispetto a quelle delle azioni Enerco (66%) il fatto che con l’acquisizione delle azioni Enerco fosse divenuta azionista totalitario di Energycom – tramite i quali l’Agenzia delle entrate tendeva a provare come lo scopo prevalente dell’operazione fosse un risparmio di imposta. La CTR, invece, ha sconfessato lo scopo elusivo dell’operazione negoziale attribuendo efficacia prevalente al patto parasociale intervenuto tra S.I.ME ed i soci originari di Energycom ed ai privilegi ivi riconosciuti a S.I.ME ed escludendo l’abuso di diritto nella condotta di Enerco in quanto le “circostanze riguardanti la vita societaria e la libertà di impresa” di cui ai patti, non possono essere sindacate dall’Amministrazione finanziaria.
6. La decisione impugnata non risulta conforme ai principi su esposti, in quanto non ha valorizzato i diversi elementi sintomatici della sussistenza di una pratica abusiva sottesa all’intera operazione negoziale intervenuta tra S.I.ME, Enerco e E.On Vendita s.r.l., elementi desumibili sia dagli assetti societari in cui si sono originate le operazioni di cessione azionaria, sia dagli effetti – economici, logici e giuridici – prodotti dalla contestuale doppia operazione di vendita di azioni.
6.1. Ed invero, dalle vicende, incontestate, che hanno originato la presente controversia, il primo evidente effetto “anomalo” derivante dalla contestuale doppia operazione di vendita ad E.On Vendita s.r.l. delle azioni partecipate in Energycom s.r.l., è che E.On Vendita s.r.l. è divenuta socio unico (e tiranno) al 100% di Energycom, il che non porta a giustificare l’interesse economico di E.On Vendita s.r.l. a versare una somma pari almeno al doppio (241% in più, per un totale di 5,317 milioni di Euro) per acquisire i diritti collegati alla quota minore del 34% di S.I.ME, rispetto alla somma minore versata per acquisire i diritti collegati alla quota maggiore del 66% ceduta da Enerco (4,582 milioni di Euro); ed invero, così operando, E.On. Vendita s.r.l. ha pagato il prezzo di 9,80 Euro/azione per acquisire il 34% delle azioni detenute da S.I.ME in Energycom, contro il prezzo di 2,87 Euro/azione pagato, nello stesso giorno, per acquisire il 66% delle azioni vendute da Enerco, ciò, nonostante l’effetto immediato conseguente alla doppia vendita per cui la E.On Vendita s.r.l. avrebbe acquisito la titolarità esclusiva, in qualità di socio unico (e tiranno) di Energycom s.r.l. Tale effetto, è all’evidenza sintomatico di un assetto di “anormalità” economica che ha reso l’operazione negoziale in questione sospetta di pratica abusiva. Ma v’e’ di più.
6.2. L’elemento ulteriore che colora di maggiore sintomaticità l’uso distorto dello strumento negoziale adoperato, si ricava dall’assetto societario in cui si sono mosse le due venditrici, S.I.ME e Enerco: è fatto incontestato che, prima delle cessioni di azioni ad E.On Vendita s.r.l., il 60% di Enerco fosse detenuto dalla medesima S.I.ME ed il restante 40% fosse detenuto da C.P. e C.G., soci unici di S.I.ME. Entrambe le società, S.I.ME ed Enerco, facevano, dunque, capo ai medesimi soggetti, persone fisiche, C.P. e C.G.. Dal punto di vista logico e giuridico, non v’e’ dubbio, che tale situazione societaria lascia dedurre come, pur trattandosi di società dotate ciascuna di propria autonomia soggettiva, le stesse rappresentassero un unico soggetto economico, portatore di un unico centro di interessi, con la conseguenza logica che le due società venditrici abbiano scelto lo schema negoziale di cessione azionaria come innanzi descritto in virtù di una volontà (disegno) prestabilita da entrambe, e non frutto di un’autonoma deliberazione, nell’interesse (economico) del gruppo societario. In proposito, significative appaiono “le dichiarazioni rese dalla Parte nella memoria del 12.07.2012 pagina 5”, riportate a pagina 7 del ricorso, e non contestate dalla controricorrente, ove la stessa parte contribuente dà conto dell’interesse di S.I.ME a mantenere un’unica compagine azionaria con la Energycom s.r.l. (poi divenuta Enerco) al fine di tutelare gli interessi del gruppo e di evitare deliberazioni autonome da parte di Energycom s.r.l.
6.3. A fronte di tale operazione societaria ed agli effetti che ne sono conseguiti, la giustificazione, a discarico, degli effetti collegati al patto parasociale, tra S.I.ME ed i soci originari di Energycom, per garantire il controllo nella prima vendita di azioni di S.I.ME, appare priva di senso logico, oltre che priva di senso economico e giuridico, proprio in considerazione del fatto che la società acquirente E.On Vendita s.r.l. ha acquisito ipso iure, per effetto della doppia contestuale vendita, il controllo totalitario di Energycom s.r.l., così rendendo il patto parasociale privo di oggetto reale e, quindi, inefficace nei confronti della stessa E.ON. Vendita s.r.l., terzo acquirente.
6.4. Va all’uopo osservato che i privilegi garantiti a S.I.ME attraverso il patto parasociale, non sono idonei ad esplicare efficacia nei confronti del terzo acquirente, non solo perché l’efficacia di tale patto è limitata alle parti contraenti (art. 1372 c.c.), ma anche perché l’acquisto dell’intero pacchetto azionario di Energycom effettuato tramite la contestuale vendita del 34% delle azioni detenute da S.I.ME e del 66% delle azioni detenute da Enerco – ha reso la EO.N Vendita s.r.l. titolare dell’intero pacchetto azionario di Energycom s.r.l. con evidente irrilevanza, non solo giuridica ma anche economica, dei patti stipulati a favore di S.I.ME, nella precedente detenzione azionaria, sui totalitari poteri gestori di E.ON Vendita s.r.l.
6.5. Va, altresì, considerato che i patti parasociali, anche a seguito della esplicita previsione legislativa (intervenuta a seguito del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 – Testo Unico delle disposizioni in materia di mercati finanziari ai sensi della L. 2 febbraio 1996, n. 52, artt. 8 e 21, cd. Riforma Draghi, il quale ha provveduto ad una loro tipizzazione da un punto di vista contenutistico e soggettivo, e proseguita con la legge delega per la riforma del diritto societario, n. 366 del 2001), rivestono la qualificazione di “contratti” e, più in particolare, rientrano nell’ampia categoria dei contratti atipici, come tali, non sono assoggettati alle norme previste dal diritto societario (cui rimangono comunque subordinati e correlati, in quanto regolamentano situazioni giuridiche originanti da tale contratto societario), bensì alle norme del codice civile che disciplinano il contratto e le obbligazioni; essi, dunque, non hanno efficacia reale ma semplicemente obbligatoria (art. 1372 c.p.c.), con la conseguenza che vincolano esclusivamente i contraenti, non dispiegando effetti nei confronti dei terzi estranei alla convenzione, siano essi gli altri soci, la società o soggetti terzi, tant’e’ che un eventuale inadempimento rileva soltanto come fonte di responsabilità contrattuale.
7. Non v’e’ dubbio, dunque, che l’operazione economica a seguito della quale E.On Vendita s.r.l. è divenuta diventa socia unica di Energycom s.r.l., acquistando a prezzi sproporzionati le azioni di quest’ultima cedute da S.I.ME e Enerco, a loro volta facenti capo alla stessa compagine azionaria riconducibile ai soci unici di Energycom s.r.l., C.P. e C.G., fa fuoriuscire l’operazione di acquisizione e di successiva cessione azionaria da una normale logica di mercato, determinando un’evidente distorsione dello schema negoziale utilizzato per configurare l’ipotesi elusiva determinante quegli effetti fiscali distorsivi di cui all’avviso di accertamento oggetto di causa (v. motivazione dell’avviso di accertamento riportata a pagina 3 del ricorso).
8. In conclusione, il ricorso va accolto e non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto – e in ossequio al principio di ragionevole durata del processo – la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., con rigetto del ricorso proposto dalla società contribuente, Enerco Real Estate s.r.l.
9. In considerazione della complessità della materia si dichiarano interamente compensate le spese dei giudizi di merito.
10. Per il principio della soccombenza le spese del presente giudizio si pongono a carico della Enerco Real Estate s.r.l., liquidate come da dispositivo.
PQM
Accoglie il ricorso e decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario proposto dalla società contribuente, Enerco Real Estate s.r.l.
Compensa interamente le spese dei giudizi di merito.
Condanna Enerco Real Estate s.r.l. al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in complessivi Euro 13.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione civile della Corte di Cassazione, il 28 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021
Codice Civile > Articolo 1253 - Effetti della confusione | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1322 - Autonomia contrattuale | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1344 - Contratto in frode alla legge | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1346 - Requisiti | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1372 - Efficacia del contratto | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1418 - Cause di nullita' del contratto | Codice Civile