LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25748/2019 R.G. proposto da:
A.M.S., rappresentato e difeso dall’avv. Davide Verlato, con domicilio eletto presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
– intimato –
avverso il decreto del tribunale di Venezia n. 6274/2019, depositato in data 1.8.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16.2.2021 dal Consigliere Fortunato Giuseppe.
FATTI DI CAUSA
A.M.S., cittadino del Bangladesh, aveva chiesto la protezione internazionale, assumendo di essersi allontanato dal paese per aver ricevuto minacce e per aver subito l’incendio della abitazione ad opera di membri del partito Awame League, avendo aderito a un’organizzazione politica contrapposta (BNP); di esser stato ingiustamente incolpato di omicidio e di temere, in caso di rimpatrio, di essere incarcerato.
Il tribunale ha ritenuto che le dichiarazioni del ricorrente non fossero credibili e che questi non avesse compiuto alcuno sforzo per documentare la domanda, essendosi limitato a produrre un atto attestante l’attività politica svolta, privo di data e di incerta provenienza, pur avendo mantenuto i contatti con la famiglia di origine ed essendo in condizione di dar prova delle vicende rappresentate in giudizio.
Ha respinto la domanda di protezione sussidiaria del (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, (lettere a) e b)), sia per l’inattendibilità dei fatti allegati, sia per l’impossibilità di ricondurre la vicenda personale del ricorrente ad uno dei presupposti per la concessione di tali forme di protezione, sostenendo che non vi fossero elementi per escludere che l’interessato potesse ricevere tutela dalle autorità locali.
Quanto all’ipotesi sub lett. c) del citato art. 14, la pronuncia ha evidenziato che lo scontro politico che caratterizzava il paese non poteva ritenersi di portata tale da generare un clima di violenza indiscriminata, essendo inoltre assente una minaccia individualizzata all’incolumità personale del ricorrente, mentre, riguardo alla protezione umanitaria, ha posto in rilievo che il ricorrente non aveva allegato alcuna specifica condizione di vulnerabilità legata al mancato godimento dei diritti fondamentali, reputando irrilevante che in Italia avesse frequentato un corso di studi o che fosse in possesso di un contratto di lavoro a tempo determinato.
Per la cassazione della sentenza A.M.S. propone ricorso in due motivi.
Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo e la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2697 c.c., D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c), ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, lamentando che il tribunale abbia respinto la domanda per la ritenuta inattendibilità del racconto del ricorrente, senza svolgere alcun ruolo di cooperazione istruttoria per la verifica della situazione del paese di provenienza e per aver omesso di acquisire informazioni aggiornate quanto al rispetto dei diritti umani, avendo anche escluso, erroneamente, l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata.
Il motivo è infondato.
Per respingere la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria sub lett. b) dell’art. 14 decreto qualifiche, il tribunale ha dato rilievo all’inattendibilità del racconto dell’interessato, mentre ha ritenuto infondata la richiesta di protezione di cui alla lettera a), non essendo stato neppure rappresentato il rischio di una condanna a morte o dell’esecuzione di una pena capitale.
Il giudizio di inattendibilità del ricorrente sorregge validamente la statuizione di rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, non occorrendo procedere ad ulteriori accertamenti d’ufficio.
In tema di protezione internazionale, il giudice di merito deve difatti – anzitutto verificare la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona, e qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5), non occorre procedere a un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018; Cass. 4892/2019).
La valutazione di non credibilità integra una autonoma e autosufficiente ratio decidendi della sentenza impugnata che, se non (o, come in questo caso, inammissibilmente) censurata, è destinata a consolidarsi e a precludere, in sede di impugnazione, lo scrutinio dei motivi inerenti i profili sostanziali della domanda di protezione, rendendola di per sé insuscettibile di accoglimento (in termini, Cass. 3237/2019; Cass. 33096/2018; Cass. 33137/2018; Cass. 33139/2018; Cass. 21668/2015).
1.1. In ordine ai presupposti di cui all’art. 14, lett. c), il ricorso non indica quali fonti più aggiornate, rispetto a quelle utilizzate dal tribunale, smentirebbero le conclusioni ivi raggiunte riguardo all’insussistenza, nel Bangladesh, di un clima di violenza generalizzata, tale da porre a rischio l’incolumità della popolazione, traducendosi nella richiesta di una complessiva rivalutazione dei presupposti di legge su profili che attengono al merito e che restano insindacabili in cassazione, avendo la pronuncia logicamente evidenziato le ragioni del proprio apprezzamento, utilizzando le risultanze di reports di fonti internazionali accreditate, aggiornate a data prossima a quella di decisione.
Giova ricordare che, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte (Cass. 14307/2020).
2. Il secondo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo e la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2697 c.c., D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per aver la pronuncia negato lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria, con una motivazione fondata sul solo giudizio di inattendibilità del racconto del ricorrente, senza svolgere accertamenti d’ufficio sul paese di provenienza e in violazione del criterio di riparto dell’onere della prova, omettendo di valutare la situazione personale dell’interessato e il rischio di patire gravi violazioni dei diritti umani, oltre che l’inserimento sociale e lavorativo conseguito in Italia.
Anche tale motivo è infondato.
La situazione di sicurezza interna del Bangladesh è stata puntualmente ricostruita sulla base di informazioni provenienti da fonti accreditate ed aggiornate a data prossima a quella di decisione. Per contro, il ricorso neppure specifica a quali fonti alternative, eventualmente rappresentative di una situazione diversa da quella accertata in giudizio, oltre che maggiormente aggiornate, avrebbe dovuto far ricorso il giudice di merito.
Quanto infine alla protezione umanitaria, il tribunale ha precisato come la domanda fosse carente sul piano delle allegazioni, non potendo ritenersi che l’interessato avesse inteso sottrarsi ad una situazione caratterizzata da una diffusa compromissione dei diritti umani (cfr. decreto, pag. 11).
La pronuncia è – in definitiva – conforme al principio per cui, con riferimento alle forme di protezione che risultano focalizzate sulle condizioni personali del richiedente, l’adempimento dell’onere di allegazione costituisce un prius rispetto all’attivazione dei poteri officiosi di indagine e all’adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria che grava sul giudice, tenuto ad indagare pur sempre sulle circostanze ed i presupposti posti a fondamento della domanda, la quale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo (Cass. 27336/2018; Cass. 21123/2019, Cass. 19197/2015).
Anche in tali ipotesi, occorre partire dalla situazione oggettiva del paese di origine del richiedente, correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza.
Tale punto di avvio dell’indagine è intrinseco alla ratio stessa della protezione umanitaria, non potendosi eludere la rappresentazione di una condizione personale di effettiva deprivazione dei diritti umani che abbia giustificato l’allontanamento (Cass. 4455/2018).
Quanto al fatto che l’interessato avesse ottenuto una nuova occupazione con una retribuzione del tutto adeguata, non è dato stabilire – in base al ricorso – che tale favorevole sopravvenienza sia stata portata all’esame del giudice di merito, con conseguente inammissibilità della doglianza (Cass. s.u. 8053/2014).
Il ricorso è quindi respinto.
Nulla sulle spese, non avendo il Ministero svolto difese.
Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021
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