Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27171 del 06/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27503-2019 proposto da:

D.A., domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato NICOLA DI BENEDETTO;

– ricorrente –

contro

FINO 2 SECURITISATION SRL, e per la stessa DOVALUE SPA, in persona del procuratore speciale, domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato GIACOMO PIGNATA;

– controricorrente –

contro

D.G., A.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3329/1119 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 30/03/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

FATTI DI CAUSA

Nel 2011 Unicredit Credit Management Bank S.p.a. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, D.A., D.G. e M.M., tutti in proprio e quali eredi di D.S. (deceduto in data *****), e propose domanda ex art. 2901 c.c., in relazione all’atto di compravendita per notar S.E., stipulato in data *****, con cui i coniugi M.M. e D.S. avevano trasferito, in favore della figlia D.A., il bene immobile sito nel Comune di ***** (AQ), Via ***** (in catasto fabbricati del Comune di ***** al foglio *****, p.lla *****, sub 14, cat. A/2, cl. 2, vani 4).

In particolare, l’attrice, a fondamento della proposta domanda, dedusse di essere creditrice della SA.RA. di M.M. e dei suoi fideiussori D.S. e D.G. per il complessivo importo di Euro 48,821,92, in forza del decreto ingiuntivo n. 283/2008, reso in data 6 marzo 2008 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Caserta, e notificato in data 10 marzo 2008, e rappresentò che, con il ricordato atto di compravendita, la debitrice principale ed il fideiussore D.S. avevano provveduto alla totale dispersione della garanzia patrimoniale generica, considerato che all’esito di tale atto gli stessi non erano rimasti titolari (li consistenza immobiliare utilmente aggredibile e che sussistevano tutti i presupposti per la revocabilità dell’atto in questione ex art. 2901 c.c..

Si costituì D.A. che eccepì l’improcedibilità della domanda (perché il creditore aveva già aggredito in via esecutiva le consistenze patrimoniali del fideiussore D.G.), la carenza di legittimazione attiva della parte attrice, nonché la nullità della domanda ex art. 163, n. 4, e art. 164 c.p.c.; nel merito, contestò la ricorrenza dei presupposti dell’azione esperita, con particolare riferimento all’elemento soggettivo richiesto in capo al terzo acquirente ai fini della revocabilità dell’atto.

Il processo, interrotto per la morte di M.M., venne riassunto nei confronti dei suoi eredi, D.A. e D.G..

Spiegò intervento volontario ex artt. 105,267 e 268 c.p.c. l’avv. A.G., chiedendo la declaratoria di inefficacia dell’atto dispositivo anche nei suoi confronti, assumendo di essere creditore della convenuta M.M. per crediti professionali in virtù di difesa tecnica nel procedimento penale, iscritto a carico della stessa e del figlio D.G., per i reati previsti e puniti dagli artt. 110,368640 c.p.c..

All’esito dell’espletata istruttoria, il Tribunale adito, con sentenza del 9 maggio 2017, n. 1579/2017, dichiarò l’inammissibilità dell’intervento spiegato dal creditore A.G.; dichiarò l’inefficacia ex art. 2901 c.c., dell’atto di compravendita già richiamato; condannò sia la parte convenuta che la parte interveniente al pagamento delle spese di lite in favore della parte attrice.

Avverso tale sentenza D.A. propose appello, del quale chiese il rigetto la doBank S.p.a., costituitasi per la FINO 2 Securitisation S.r.l., quale nuova cessionaria di un pacchetto di crediti già di UniCredit Credit Management Bank S.p.a., tra i quali quello di cui si discute in causa.

Non si costituirono in secondo grado D.G. e A.G..

La Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 3329/2019, pubblicata il 17 giugno 2019, dichiarò la contumacia degli appellati da ultimo indicati, rigettò il gravame e condannò l’appellante alle spese di quel grado.

Avverso la sentenza della Corte di merito D.A. ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi, cui ha resistito con controricorso Fino 2 Securtisation S.r.l., e per la stessa doValue S.p.a., nuova denominazione assunta da doBank S.p.a..

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

RAGIONEL DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli art. 2727 e 2729 c.c., relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, la ricorrente lamenta che la Corte di merito abbia “valorizzato atomisticamente il vincolo parentale tra gli alienanti-debitori ed il terzo acquirente, senza tener conto degli altri elementi e circostanze acquisiti in sede processuale che, se considerati, avrebbero determinato con elevata certezza un esito diverso del giudizio”. Sostiene D.A. che la Corte territoriale non avrebbe valutato, in particolare, le risultanze della prova testimoniale, la non coabitazione della ricorrente con i genitori e neppure considerato che l’unico ed esclusivo titolare della posizione debitoria era D.G., che la ricorrente aveva avuto conoscenza della costituzione della ditta intestata alla madre e del debito di quest’ultima solo a seguito della notifica dell’atto di citazione, nel settembre del 2011, e che, a tale riguardo, i giudici di appello non avrebbero tenuto conto della deposizione testimoniale di suo marito, C.A..

1.1. Il motivo è inammissibile, atteso che, in sede di legittimità, è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso. (Cass., ord., 13/02/2020, n. 3541; v. anche Cass., sez. un., 24/01/2018, n. 1785, p. 4.1, lett. (bb), della motivazione; nonché Cass., 4/08/2017, n. 19485).

Inoltre, si osserva che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione. Spetta, pertanto, al giudice di merito, aiutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fati da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato – come nella specie -, sfugge al sincacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (Cass. 11/05/2007, n. 10847 e Cass., ord., 8/01/2015, n. 101).

A quanto precede, va aggiunto che il mezzo in esame sarebbe comunque infondato, in quanto la prova della participatio fraudis del terzo, necessaria ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria nel caso in cui l’atto dispositivo sia oneroso e successivo al sorgere del credito, può essere ricavata anche da presunzioni semplici, ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore e il terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente (Cass., ord., 18/01/2019, n. 1286), precisandosi che la Corte di merito ha tenuto conto del complesso delle risultanze istruttorie (v. sentenza impugnata p. 11 e 12).

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, sostenendo che “la sentenza impugnata, ancorché argomentata, declin3 un apparato motivazionale viziato da una illogicità argomentativi consistente in un uso non corretto della inferenza probatoria”.

2.1. Il motivo è infondato, risultando la sentenza impugnata immune dai vizi lamentati dalli, ricorrente.

La sentenza è infatti assolutamente logica e priva di intrinseche ed irriducibili contraddittorietà (Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053; v. anche Cass., ord., 25/09/2018, n. 22598), essendo chiaramente evincibile, dalla medesima motivazione, il criterio logico che ha condotto il giudice di appello alla formazione del proprio convincimento, anche alla luce della esplicitata valutazione del quadro probatorio, ed essendo, pertanto, tale motivazione idonea ad assolvere la sua funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (Cass., ord., 14/02/1-020, n. 3819).

3. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo tra le parti costituire, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti degli intimati, non avendo gli stessi svolto attività difensiva in questa sede.

5. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 30 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

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