LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 33435-2019 proposto da:
C.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA CONSULTA 17/B, presso lo studio legale TREMONTI, ROMAGNOLI, PICCARDI ED ASSOCIATI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI PIAZZA SPESSA;
– ricorrente –
contro
M.G.V., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI MUZIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3566/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 26/08/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 30/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. SCRIMA ANTONIETTA.
CONSIDERATO
che:
l’avv. M.G.V., quale creditore di C.L. per prestazioni professionali svolte, unitamente al collega di studio, avv. Pier Giulio Sodano, in favore della medesima in tre giudizi civili, convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, la C. e il figlio di questa, S.G., per ottenere la declaratoria di inefficacia ex art. 2901 c.c. dell’atto pubblico del 22 febbraio 2011, con cui la convenuta aveva, successivamente alla conclusione dei ricordati giudizi, donato al figlio G. l’appartamento e la cantina di sua proprietà, siti in Milano, alla via *****; dedusse l’attore che il credito in parola era stato oggetto di un’azione giudiziale da lui promossa e volta ad ottenere un titolo esecutivo nei confronti della C., stante il rifiuto di quest’ultima di provvedere spontaneamente al pagamento di quanto dovuto ma, nonostante che i giudizi da lui promossi si fossero tutti conclusi con l’emissione di un provvedimento di condanna della C. al pagamento del compenso richiesto, non era comunque riuscito a recuperare il proprio credito in quanto la debitrice era risultata nullatenente, avendo donato gli unici cespiti aggredibili a lei intestati con l’atto del 22 febbraio 2011 già richiamato;
la C. si costituì chiedendo il rigetto della domanda mentre il S. rimase contumace;
il Tribunale adito, con sentenza n. 9131/2017 dell’11 settembre 2017, rigettò la domanda ritenendo il credito dell’attore accertato solo in epoca successiva all’atto di donazione in questione e che, pertanto, l’attore avrebbe dovuto dimostrare la sussistenza del requisito della dolosa preordinazione di cui all’art. 2901 c.c., comma 1, che nella specie non sarebbe stato neppure allegato dal M., il quale, peraltro, non avrebbe provato neppure la sussistenza del “minore requisito della “scientia damni”, posto che l’unico elemento documentale prodotto all’uopo consiste nella intervenuta estinzione della procedura esecutiva immobiliare”;
si costituì la C., chiedendo il rigetto dell’impugnazione mentre rimase contumace anche in secondo grado il S.;
la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 3566/2019, pubblicata il 26 agosto 2019, accolse l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, dichiarò inefficace, nei confronti dell’appellante, l’atto di donazione in questione e condannò gli appellati, in solido, al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio di merito;
in particolare, la Corte territoriale ritenne che il credito per competenze professionali dell’avv. M. fosse sorto già durante l’esecuzione delle prestazioni mentre il diritto al compenso si era perfezionato al momento della decisione delle liti – nella specie con le sentenze del 4 settembre 2009 (Corte di appello di Milano), 4 maggio 2010 e 17 gennaio (Tribunale di Milano), tutte antecedenti all’atto di donazione del 22 febbraio 2011, intervenuto, quindi, dopo il sorgere dei crediti, restando irrilevante che i crediti in parola fossero stati oggetto di successive pronunce di accertamento, idonee ad acclararne l’effettiva preesistenza; pertanto, non era necessario fornire la prova della dolosa preordinazione prevista dall’art. 2901 c.c., n. 1, seconda parte, per gli atti anteriori al sorgere del credito, essendo, invece, sufficiente la dimostrazione della scientia damni, nella specie esistente; precisò, a tale riguardo, la Corte di merito che l’elemento soggettivo rimaneva integrato dalla semplice conoscenza o agevole conoscibilità da parte del debitore (e, in ipotesi di atto a titolo oneroso, da parte del terzo) del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del credito e che, non essendo stato neppure allegato che fosse stata concordata con gli avvocati la gratuità delle prestazioni in parola, rientrava nelle minime conoscenze pretendibili in capo a chiunque che la stipula di un contratto di opera professionale comportasse, come conseguenza ordinaria, l’obbligazione di pagare il compenso, obbligo persistente sino al maturare dell’eventuale prescrizione, mentre la dedotta rinunzia al credito da parte di uno dei codifensori, oltre a non essere stata sufficientemente provata, non comportava comunque l’estinzione del credito in capo all’altro professionista, avv. M.;
avverso tale sentenza C.L. ha proposto ricorso per cassazione, basato su un unico motivo;
M.G.V. ha resistito con controricorso;
la proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di Consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
RILEVATO
che:
il ricorso non risulta notificato a S.G., pur essendo lo stesso stato parte nei gradi di merito del giudizio, ancorché contumace; non va, tuttavia, fissato un termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti del predetto, in quanto il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti; ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie – come nella specie – infondato o inammissibile, appare superflua, pur potendone sussistere i presupposti (risultando, nel caso all’esame, il S. litisconsorte sostanziale e processuale), la fissazione del termine per l’integrazione del contraddittorio, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (Cass. 8 febbraio 2010, n. 2723; Cass., sez. un., 22 marzo 2010, n. 6826; Cass., ord., 13 ottobre 2011, n. 21141; Cass. 17/06/2013, n. 15106).
con l’unico motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti (consistente nella circostanza che la C. prima della donazione impugnata avesse già effettuato dei pagamenti in favore del proprio legale per tutte e tre le pratiche in cui l’aveva assistita, il che unitamente al fatto che nessuna richiesta di saldo le era pervenuta per tali pratiche, due delle quali concluse da oltre un anno, legittimava la stessa a ritenere di non avere alcun “sospeso” con lo studio degli avv. Sodano/ M.)”;
ritenuto che:
il motivo sia inammissibile, essendo il fatto di cui si assume l’omessa valutazione privo di decisività, in quanto la Corte territoriale ha accertato in fatto la sussistenza, in capo alla ricorrente, della consapevolezza dell’esistenza del credito di cui si discute in causa, evidenziando, tra l’altro, che a nulla vale che all’epoca della donazione nessuna richiesta di pagamento fosse stata formalizzata dagli avv. M. e Sodano per l’attività nelle tre cause già ricordate e che è irrilevante che l’attuale ricorrente fosse soggettivamente ed erroneamente convinta di nulla dovere all’avv. M. quando ha effettuato la donazione contestata; peraltro, va rimarcato che la stessa C. ha dedotto di aver corrisposto “diversi acconti” e “un congruo “fondo spese”” ma non certo di aver ricevuto quietanza a saldo né ha dedotto elementi da cui desumere con certezza il pagamento del saldo ovvero la sua consapevolezza al riguardo, mentre, come posto in evidenza dalla Corte di merito, la sussistenza del credito del professionista controricorrente nei confronti della ricorrente, che si è spogliata dell’unico compendio immobiliare (appartamento e cantina) di cui era titolare, risulta acclarato con sentenze passate in giudicato;
considerato che:
alla luce di quanto sopra evidenziato, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 30 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021