Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27174 del 06/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35943-2019 proposto da:

P.R., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE PERNA;

– ricorrente –

contro

ITALFONDIARIO SPA, PU.RA., D.D.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2094/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 30/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. SCRIMA ANTONIETTA.

FATTI DI CAUSA

Italfondiario S.p.a., in qualità di procuratrice del Banco di Napoli, convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, i coniugi Pu.Ra. e D.D.C., nonché P.R., chiedendo la declaratoria di simulazione o, in subordine, di inefficacia ex art. 2901 c.c., del contratto di vendita, a rogito del notaio R.G., del 5 giugno 2007, rep. n. *****, racc. n. *****, con cui i predetti coniugi avevano alienato a P.R. un appartamento e un posto auto siti in Cercola (NA) e meglio individuati nell’atto di citazione.

A fondamento della proposta domanda la società attrice dedusse che il Banco di Napoli S.p.a., quale successore a titolo particolare di Intesa Sanpaolo S.p.a., vantava nei confronti del Pu., nonché, fino alla concorrenza di Euro 20.000,00, nei confronti di D.D.C., un credito pari a Euro 22.207,25, oltre interessi convenzionali di mora al tasso del 13,75% annuo, a far data dal 22 giugno 2006, e oltre a spese di procedura liquidate con il d.i. n. 9862/2006, opposto dai debitori e confermato con sentenza definitiva n. 6729/2008, e che i debitori con l’atto sopra richinato avevano venduto in favore della P. (sorella del convenuto) gli unici cespiti di loro proprietà.

Si costituirono, con distinti atti, sia P.R. che Pu.Ra. e D.D.C., chiedendo tutti il rigetto della domanda.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 1992/2014, dichiarò inefficace, ex art. 2901 c.c., nei confronti di Italfondiario S.p.a., l’atto di compravendita in questione e, a seguito di successivo ricorso ex art. 288 c.p.c., dispose la correzione dell’errore materiale contenuto nel dispositivo di quella sentenza dichiarando l’inefficacia dell’atto di compravendita in parola nei confronti del debitore sostanziale Banco di Napoli S.p.a..

Avverso tale sentenza P.R. propose gravame, del quale, costituendosi, Italfondiario S.p.a. chiese, per quanto ancora rileva in questa sede, il rigetto.

Non si costituirono in secondo grado i coniugi Pu. – D.D..

La Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 2094/2019, pubblicata il 17 aprile 2019 rigettò il gravame e condannò l’appellante alle spese di lite in favore della società appellata.

Avverso la sentenza della Corte di merito P.R. ha proposto ricorso per cassazione basato su un unico motivo.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di Consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo, rubricato “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”, la ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nell’individuazione della data di insorgenza del credito del Banco di Napoli S.p.a. nei confronti dei coniugi Pu.- D.D., ritenendo che tale credito sarebbe sorto nel momento in cui la banca ha effettuato l’anticipazione in denaro e, quindi, prima che la banca comunicasse lo scoperto con la missiva del 12 aprile 2006, sicché, anche a voler far riferimento alla data di stipula del preliminare di vendita, l’atto di vendita sarebbe successivo al sorgere del credito.

Ad avviso della ricorrente, per quanto rileva in questa sede, la Corte di merito non avrebbe considerato che la notifica del d.i., titolo in base al quale sarebbe sorto il credito di Italfondiario S.p.a., è avvenuta il 18 gennaio 2007, successivamente, quindi, alla stipula del detto preliminare, sottoscritto in data 27 dicembre 2006; inoltre, la semplice comunicazione da parte dell’istituto bancario di uno scoperto di conto corrente non sarebbe sufficiente a configurare un’esposizione debitoria, che sarebbe sancita solo con un provvedimento dell’A.G., notificato, come già anticipato, dopo la stipula del preliminare di compravendita; comunque, la P. non sarebbe stata a conoscenza della situazione.

A quanto precede la ricorrente aggiunge che difetterebbe, nella specie, il cd. animus nocendi da parte dei coniugi Pu. – D.D., in quanto la volontà di cedere i cespiti si sarebbe formata prima dell’insorgenza del credito; mancherebbe anche il presupposto del pregiudizio per il creditore e, trattandosi di atto di disposizione a titolo oneroso, sarebbe necessaria la sussistenza della cd. scientia damni del terzo, nel caso all’esame, indimostrata, e ritenuta, invece, sussistente dalla Corte territoriale sul rilievo che il rapporto di parentela tra terzo e debitori costituirebbe presunzione assoluta di conoscenza del pregiudizio arrecato al creditore, pur non essendo dimostrato l’animus nocendi della P., che avrebbe versato l’importo di Euro 190.000,00 per l’acquisto del bene, accendendo un mutuo bancario, richiesto già in data 5 giugno 2007, ed avrebbe utilizzato tale importo per estinguere le esposizioni debitorie in capo ai predetti coniugi di cui l’attuale ricorrente era a conoscenza.

Sostiene la P. che la Corte territoriale avrebbe, altresì, errato nel ritenere che la medesima avesse dichiarato, in sede di interrogatorio formale, “di essere a conoscenza della situazione di dissesto finanziario del fratello”, in quanto la sua dichiarazione sarebbe stata parzialmente riportata e ribadisce di essere venuta a conoscenza dell’esposizione debitoria del fratello Pu.Ra. nei confronti di Banco di Napoli S.p.a. solo al momento della notifica dell’atto introduttivo del presente giudizio. Inoltre, la Corte territoriale, “con scarsa motivazione”, non avrebbe ritenuto rilevante la c.t.u. tecnico-valutativa effettuata sugli immobili in parola, che avrebbe sostanzialmente valutato congruo il prezzo di vendita dei beni. Infine, la P. contesta che la Corte territoriale abbia ritenuto non rilevante l’errore compiuto dal Tribunale in sede di correzione materiale, evidenziando che successivamente al deposito della sentenza, evidentemente di primo grado (anche se a p. 13 del ricorso si fa riferimento, per evidente lapsus calami, “al deposito della sentenza oggi impugnata”), il procuratore di Italfondiario S.p.a. aveva depositato istanza di correzione con cui aveva chiesto la rettifica del dispositivo della sentenza di prime cure chiedendo dichiararsi l’inefficacia dell’atto di compravendita nei confronti del Banco di Napoli S.p.a., quale successore a titolo particolare di Intesa Sanpaolo S.p.a., anziché di Italfondiario S.p.a., istanza contestata dall’attuale ricorrente ma acccolta dal Tribunale.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Nella specie, con le censure formulate nell’illustrazione del mezzo all’esame, la parte ricorrente lungi dal proporre delle doglianze che rispettano il paradigma legale di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5, ripropone, come peraltro chiaramente indicato già nella rubrica del motivo all’esame inammissibilmente lo stesso schema censorio del n. 5 nella sua recedente formulazione, inapplicabile ratione temporis (Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053).

Inoltre, va evidenziato che la ricorrente ripropone le stesse doglianze già esaminate dalla Corte di appello, tendendo sostanzialmente, in parte, ad una rivalutazione del merito e, in parte, a censurare la decisione impugnata in diritto senza tuttavia specificare le norme di legge eventualmente violate, esaminarne il contenuto precettivo e raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impegnata (Cass., sez. un., 28/10/2020, n. 23745).

Va poi rimarcato che anche in relazione alla censurata correzione di errore materiale non si deduce specificamente alcuna violazione di legge ma anche tale doglianza è illustrata nell’ambito del motivo rubricato come sopra riportato.

Infine, e il rilievo assorbe ogni ulteriore considerazione, il motivo è comunque inammissibile ex art. 348-ter c.p.c., u.c.. Ed invero, nell’ipotesi di cd. “doppia conforme”, prevista dalla norma appena richiamata, applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012 (si evidenzia che, nella specie, l’atto di citazione in appello è stato notificato il 22 gennaio 2015, come risulta dalla sentenza impugnata, v. p. 2 e come si evince dallo stesso ricorso, v. p. 5), la ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012), deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 10/03/2014, n. 5528).

Nella specie tale onere non risulta essere stato assolto dalla ricorrente.

2. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

3. Non vi è luogo a provvedere per le spese del presente giudizio di legittimità, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.

4. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; dichiara non luogo a provvedere sulle spese; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 30 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

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