LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 33177/2018 proposto da:
C.A., rappresentata e difesa dall’avv.to MASSIMO DI PAOLO, (avvmassimodipaoio.cnfpec.it) giusta procura speciale in atti, elettivamente domiciliato in Roma Piazza Cavour, presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
e contro
GENERALI ITALIA SPA, (già ALLEANZA TORO SPA) in persona del legale rapp.te, rappresnetata e difesa dall’avv.to Franco Tassoni, (francotassoni.ordineavvocatiroma.org) elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, viale Cristoforo Colombo 440;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1833/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 10/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA Giovanni Battista.
FATTI DI CAUSA
1. C.A. ricorre, affidandosi a tre motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila che aveva rigettato l’impugnazione proposta avverso la pronuncia del Tribunale di Sulmona con la quale era stata respinta la sua domanda di risarcimento del danno derivate da un incidente accaduto mentre si trovava su un autobus noleggiato, assicurato presso la compagnia Generali Italia Spa (già Alleanza Toro Spa).
1.1. Per ciò che interessa in questa sede, la C. – che, cadendo a seguito di una brusca frenata mentre era in piedi durante il tragitto, aveva subito una lesione personale per la quale la Alleanza Toro Spa (poi Generali Italia Spa) le aveva liquidato una somma a titolo di composizione conciliativa della controversia – evocò in giudizio dinanzi al Tribunale di Sulmona la Civitarese Viaggi srl (già Autolinee Fratelli C. snc), proprietaria del mezzo, ed il conducente F.F., rivendicando la differenza.
1.3. Risultando soccombente anche sull’an debeatur, la C. propose appello e la Corte territoriale, con la sentenza qui impugnata, pur riconoscendo la parziale e concorrente responsabilità delle parti, non liquidò alcun importo aggiuntivo, affermando che la somma quantificata attraverso i valori tabellari vigenti era inferiore a quella già ricevuta dalla compagnia di assicurazione.
2. Generali Italia Spa ha resistito con controricorso e memoria.
3. Il P.G. ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..
1.1. Assume che la Corte territoriale aveva omesso di motivare in ordine alla censura proposta riguardante la quantificazione del danno subito, in thesi riduttiva, con particolare riferimento alla valutazione del danno morale, derivante dalla sofferenza per non aver potuto assistere il marito che era malato terminale, a causa delle proprie condizioni di salute determinate dall’immobilismo cui era stata soggetta per le lesioni riportate nell’incidente.
1.2. Deduce altresì che la controparte non aveva mai contestato detta circostanza, come poteva desumersi da tutte le difese apprestate nel giudizio d’appello. Lamenta inoltre che la Corte, nella personalizzazione del danno, non aveva tenuto conto della singolarità del caso in esame, che avrebbe dovuto condurre alla liquidazione del massimo consentito.
2. Con il secondo motivo, si duole, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, consistente nella ragione peculiare alla quale doveva essere riferita una più elevata liquidazione del danno morale e cioè la mancata assistenza al marito, malato terminale.
3. Con i terzo motivo, la ricorrente deduce altresì la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1223,2056 e 2059 c.c., in quanto la motivazione, in thesi ermetica, non aveva indicato, in alcun modo, le ragioni per le quali la Corte aveva ritenuto “di non variare il cd. risarcimento standard previsto dalla tabella milanese del 2014” (cfr. pag. 13 u. cpv. del ricorso).
4. Le prime due censure, strettamente connesse sotto il profilo logico, devono essere congiuntamente esaminate.
4.1. La ricorrente, infatti, si duole, nella sostanza, del fatto che la Corte territoriale – che aveva liquidato il danno con riferimento alle tabelle del Tribunale di Milano del 2014 – non aveva tenuto conto della decisiva circostanza che l’evento lesivo e, soprattutto, le conseguenze che ne erano derivate (e cioè il necessario immobilismo cui era stata assoggettata durante la convalescenza) non le avevano consentito di assistere il marito che era malato terminale.
4.2. Il secondo motivo rappresenta l’antecedente logico del primo.
Con esso la ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e cioè la condizione terminale del marito e l’impossibilità di assisterlo durante la fase finale della malattia, fatto che le aveva determinato una particolare sofferenza.
4.3. Tale omissione ridonderebbe anche sulla prima censurar e cioè sulla nullità della sentenza per omessa motivazione sul punto.
4.4. Il secondo motivo manca di autosufficienza ed il primo rimane assorbito.
Infatti, la ricorrente – che ha conformato il ricorso, per lo più, attraverso l’assemblaggio della sentenza, dell’atto d’appello e della relativa comparsa di risposta depositata dalla controparte, con profili di inammissibilità dell’intero atto processuale (cfr. Cass. 3385/2016; Cass. 8245/2018; Cass. 25837/2020) – ha omesso di riportare la specifica allegazione proposta in primo grado concernente la circostanza della quale lamenta l’omesso esame (e cioè l’impossibilità di assistere il marito terminale a causa della sua condizione di immobilità).
4.5. Tale carenza non consente l’apprezzamento della censura prospettata: infatti, pur vero che la Corte territoriale ha dato atto che la censura proposta avverso la sentenza di primo grado riguardava anche il quantum debeatur – rispetto al quale l’appellante aveva domandato una distinta liquidazione per l’danno morale, giustificata, tra le altre cose, “da tre mesi di graduale immobilità, non potendo pertanto neppure assistere il proprio coniuge malato terminale” (cfr. 3 della sentenza impugnata) – si osserva che la compagnia di assicurazione ha espressamente eccepito che la censura relativa alla sofferenza patita per non aver potuto assistere il marito doveva essere ricondotta ad una mera asserzione “allagata tardivamente in comparsa conclusionale del giudizio di primo grado e non supportata da idonea prova” (cfr. pag. 15, secondo cpv. del controricorso): in tale situazione, il vizio dedotto – che dipende dalla decisività del fatto che non sarebbe stato esaminato – potrebbe essere apprezzato da questa Corte soltanto attraverso una censura autosufficiente che riporti, cioè, la specifica allegazione articolata in primo grado alla quale i giudici d’appello erano tenuti a dare una risposta che non fosse ricompresa nella motivazione resa, riguardante, nel complesso, il danno liquidato mediante l’applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano.
4.6. Al riguardo, si osserva che questa Corte ha affermato che “il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile “esistenziale”, a consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l’illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) integrano componenti autonome dell’unitario danno non patrimoniale, le quali, pur valutate nello loro differenza ontologica, devono sempre dar luogo ad una valutazione globale. Ne consegue che, ove s’impugni la sentenza per la mancata liquidazione de cosiddetto danno morale, non ci si può limitare ad insistere sulla separata liquidazione di tele voce di danno, ma è necessario articolare chiaramente (a doglianza come erronea esclusione dal totale liquidato, nella specie, in applicazione delle cosiddette “tabelle di Milano”, delle componenti di danno diverse da quella originariamente descritta come “danno biologico”, risultando, in difetto, inammissibile la censura, atteso il carattere tendenzialmente onnicomprensivo delle previsioni delle predette tabelle” (cfr. Cass. 2.0111/2014; Cass. 25817/2017; Cass. 13269/2020).
4.7. Nel caso in esame, pacifico che la Corte territoriale abbia applicato in relazione alla quantificazione della invalidità permanente e temporanea riscontrata da CTU le “tabelle milanesi”, ed altrettanto indiscusso che la conformazione di esse, vigenti all’epoca della decisione, ricomprendeva nel valore punto anche il cd. danno morale, la censura prospettata in appello ad, ancora prima, l’allegazione spiegata in primo grado volta ad evidenziare un fatte eccezionale, degno di peculiare valorizzazione in termini di ulteriore sofferenza, dovevano essere specificamente riportate nella doglianza prospettata in questa sede, al fine di verificarne la tempestività e la congruenza.
4.8. In mancanza, non è consentito a questa Corte apprezzare la denunciata omissione dei giudici d’appello che, liquidando il danno secondo le tabelle di Milano, hanno correttamente applicato il principio secondo cui “la parte che chieda il risarcimento per pregiudizi ulteriori rispetto a quelli già forfettariamente compensati con la liquidazione attraverso i meccanismi tabellari, deve allegare altri pregiudizi di tipo esistenziale, individuando specifiche circostanze che incidano su aspetti “eccezionali” e non semplicemente quotidiani della vita, tali, per caratteristiche, dimensione od intensità ed in relazione alle proprie particolari condizioni, da porli al di fuori delle conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età e nelle stesse condizioni” (cfr., in termini, Cass. 24155/2018).
5. Ma anche il terzo motivo è inammissibile.
5.1. Il ricorrente, infatti, ha dedotto che la motivazione sulla quantificazione dal danno morale non consentiva di comprendere come esso fosse stato personalizzato, con conseguente violazione delle norme che presidiano la materia risarcitoria.
5.2. Al riguardo, poiché la Corte territoriale ha applicato le tabelle del Tribunale di Milano, come è noto, hanno valore paranormativo e quantificano il danno attraverso una valutazione che include anche il pregiudizio morale, si osserva che questa Cotte ha affermato il principio secondo cui “in materia di danno non patrimoniale, i parametri delle “Tabelle” predisposte da Tribunale di Milano sono da prendersi a riferimento da parca del giudice di merito ai fini della liquidazione del predetto danno ovvero quale criterio di riscontro e verifica della liquidazione diversa alla quale si sia pervenuti” (cfr. Cass. 17018/2018; ed in termini, Cass. 8505/2020).
5.3. Ne consegue l’incongruità della motivazione solo ove non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei parametri tratti dalle tabelle milanesi consenta di pervenire: ma ciò esige una specifica e tempestiva allegazione e prova della peculiarità della circostanza di cui il giudice di merito non avrebbe tenuto conto, della quale il danneggiato è specificamente onerato e che, nel caso concreto, non è stata affatto articolata.
5.4. E’ stato, ai riguardo, affermato che “in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del “danno biologico” e del “danno dinamico-relazionale”, atteso che con quest’ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale). Non costituisce invece duplicazione fa congiunta attribuzione del “danno biologico” e di una ulteriori somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale dal grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, i dotare dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). Ne deriva che, solo ove sia dedotta e provata l’esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione” (cfr. Cass. 7513/2018; Csss. 23459/2018; Cass., 15084/2019).
5.5. In mancanza di ciò – come già argomentato in relazione ai due precedenti motivi – la quantificazione del danno articolata dalla Corte con riferimento ai valori tabellari corrispondenti alla invalidità permanente riscontrata risulta, come nel caso di specie, incensurabile.
6. In conclusione, il ricorso è inammissibile.
7. Le spese seguono la soccombenza.
8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
PQM
La Corte;
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2700,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 30 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021