LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27402/2018 proposto da:
74CENTO SRL, in persona del rappresentante legale, R.M., rappresentata e difesa dall’Avv. MICHELE IMPERIO, domiciliata presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
M.D., e M.V., rappresentati e difesi dall’Avv. GIUSEPPE D’AGOSTINO, domiciliati in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;
– controricorrenti –
e contro
S.J.S. ESTATE SRL;
– intimata –
avverso la sentenza n. 163/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE, Sezione Promiscua, depositata il 1 marzo 2018;
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, formulate ai sensi e con le modalità previste dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, che si è
espresso per il rigetto del ricorso.
udita la relazione della causa del Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.
FATTI DI CAUSA
S.J. S. Real Estate, il 16 febbraio 2011, intimava sfratto per morosità e contestuale convalida alla società 74cento S.r.L., adducendo che quest’ultima dal settembre 2010 aveva sospeso il pagamento del canone di locazione dell’immobile sito in *****, ove continuava, però, a svolgere la sua attività commerciale.
La conduttrice deduceva l’inadeguatezza dell’immobile rispetto alla destinazione d’uso pattuita, la presenza di vizi strutturali che lo rendevano incompatibile con l’esercizio di un’attività commerciale aperta al pubblico, eccepiva l’insussistenza della morosità, stante la polizza fideiussoria di Euro 25.000,00 (già incassati prima dell’udienza di convalida), stipulata con Banca Apulia a garanzia del pagamento dei canoni, e proponeva domanda riconvenzionale per il risarcimento del danno ed il pagamento delle migliorie-addizioni apportate all’immobile locato.
M.V., convenuto in giudizio, quale rappresentante legale della 74cento, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, avendo ceduto le partecipazioni sociali e l’azienda, in data 9 settembre 2010, a G.V., con l’obbligo di subentrare nel contratto di locazione e di provvedere ad ogni adempimento, nonché la illiquidità, l’incertezza e l’inesigibilità del credito, posto che il canone di locazione era stato rideterminato convenzionalmente in Euro 1.000,00.
In aggiunta, M.V. e M.D., quest’ultima intervenuta volontariamente nel giudizio, proponevano domanda riconvenzionale nei confronti di G.V. e di R.M., rispettivamente, socio unico e rappresentante legale della 74cento S.r.L., per il pagamento di Euro 25.865,43 corrispondenti alla somma garantita dalla polizza fideiussoria escussa dalla locatrice.
Il Tribunale di Taranto, con la sentenza n. 1731/2002, riteneva il contraddittorio correttamente instaurato, in ragione della costituzione del rapporto locativo tra la società intimante e la 74cento, giudicando irrilevante ogni questione relativa alle persone fisiche titolari delle cariche sociali; osservava che M.V. e D. risultavano amministratori della 74cento, che la cessione del contratto di locazione a G.V. non riguardava la locatrice che ben poteva agire nei confronti della cedente anche per l’inadempimento eventualmente imputabile alla cessionaria. Accertava la ricorrenza di un inadempimento solutoriamente rilevante da parte della conduttrice, riteneva irrilevante che l’immobile fosse giudicato inidoneo all’uso pattuito, in assenza della prova che vi fosse un diniego o una revoca dei titoli autorizzativi allo svolgimento dell’attività commerciale; reputava fondata la domanda di sfratto per morosità e condannava 74cento, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., per responsabilità processuale aggravata, stante il permanere della situazione detentiva nonostante l’ordine di rilascio e la resistenza processuale, tradottasi in una condotta dilatoria contraria al principio del giusto processo e basata su presupposti inesistenti.
74cento, in persona del rappresentante legale, R.M., proponeva appello, dichiarato inammissibile dalla Corte d’Appello di Lecce, con la sentenza n. 383/2014, per carenza di legittimazione processuale di R.M., in quanto non avente la carica di rappresentante legale della 74cento S.r.L..
La Corte di Cassazione, con la decisione n. 5045/2017, accoglieva, però, il ricorso proposto da 74cento S.r.L., e cassava la decisione impugnata, ritenendo che sulla qualità di rappresentante legale di R.M. si fosse formato il giudicato interno.
In data 25 maggio 2017, 74cento S.r.L. riassumeva il giudizio dinanzi alla Corte d’Appello di Lecce, riproponendo i motivi di gravame disattesi dalla Corte d’Appello di Lecce, sez. distaccata di Taranto, nella sentenza cassata con rinvio.
La Corte d’Appello di Lecce, sezione promiscua, con la sentenza n. 163/2018, rigettava l’appello e regolava le spese di lite.
In particolare, la sentenza riteneva infondato il primo motivo di appello con cui 74cento lamentava l’inesistenza della notificazione dell’atto di intimazione di sfratto per morosità a R.M. e l’inammissibilità della domanda di convalida di sfratto, perché l’atto era stato intimato a M.V. che, insieme con la sorella D., rivestiva all’epoca dei fatti, secondo le visure camerali, la carica di amministratore della società; ribadiva il grave inadempimento, ex art. 1455 c.c., di 74cento, perché era stato accertato l’inadempimento dell’obbligo primario derivante dal contratto di locazione; riteneva determinabile il credito della locatrice che aveva lamentato il mancato pagamento di cinque canoni di mensilità, ciascuno dei quali risultante, secondo il contratto allegato, pari ad Euro 3.000,00; confermava che la cessionaria non poteva esercitare le azioni previste dall’art. 1578 c.c., difettando il presupposto della consegna della cosa dal locatore al conduttore, escludeva il diritto dell’appellante a vedersi riconosciuta l’indennità per i miglioramenti, atteso che era stato espressamente previsto che ogni intervento sull’immobile dovesse essere previamente autorizzato per iscritto dalla locatrice; ribadiva che nessun rilievo, rispetto agli effetti del rapporto contrattuale, avevano le vicende interne della società 74cento con riferimento alle modifiche della compagine societaria; confermava la ricorrenza dei presupposti per la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c. e la compensazione delle spese processuali nei confronti dei due fratelli M., in applicazione del principio di causalità; escludeva che la sentenza fosse nulla per la mancata lettura del dispositivo in udienza.
Avvalendosi di otto motivi 74cento ricorre per la cassazione della suddetta sentenza.
Resistono con controricorso M.D. e V., solo relativamente al settimo motivo.
Il Procuratore generale, in persona del Sostituto Procuratore, Alberto Cardino, ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DI DIRITTO 1. Si dà preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in Camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, non avendo alcuna delle parti né il Procuratore Generale fatto richiesta di trattazione orale.
2.Con il primo motivo la società ricorrente deduce “Violazione dell’art. 324 c.p.c., art. 2909 c.c. e art. 101 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3”.
La tesi prospettata è che, secondo la decisione n. 5045/2017 di questa Suprema Corte, unico rappresentante legale della società 74cento dovesse considerarsi R.M., al quale avrebbe dovuto essere notificata l’intimazione di sfratto per morosità.
La Corte d’Appello, invece, facendo leva sulle risultanze delle visure camerali, avrebbe violato il giudicato formatosi sulla rappresentanza processuale di R.M., ritenendo integrato il contraddittorio con la citazione del precedente rappresentante legale della società convenuta, facendo propria la statuizione del Tribunale di Taranto, ritenendola persino parte integrante della propria motivazione.
Il motivo è privo di interesse.
La sentenza n. 5045/2017 aveva cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Lecce che aveva dichiarato inammissibile l’appello per difetto di legittimazione di R.M. quale legale rappresentante di 74Cento S.r.L. La Corte di Cassazione aveva ritenuto che, quando il Tribunale di Taranto si era pronunciato nel senso della corretta instaurazione del contraddittorio sostanziale, lo aveva fatto sull’implicito presupposto della già accertata corretta conformazione del giudicato processuale, cioè aveva riconosciuto R.M. legittimato a rappresentare la società 74cento. Ammesso che la società locatrice avesse eccepito il difetto di legittimazione processuale di R.M., il risultato era che era rimasta soccombente e, quindi, avrebbe dovuto proporre con appello incidentale la suddetta eccezione; non avendolo fatto, sulla legittimazione processuale di R.M. si era formato il giudicato.
La ritenuta legittimazione processuale di R.M., come riconosciuto da questa Corte, nella sentenza n. 5945/2017, non è in discussione, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente; nondimeno, atteso che R.M., come si evince dallo stesso ricorso, “pur non essendo stato evocato nel giudizio per convalida di sfratto come risulta dall’atto introduttivo e dal verbale di causa, avendo appreso l’Avv. Simonetti in cancelleria dell’intimazione di sfratto, proponeva opposizione all’intimazione di sfratto per morosità con contestuale domanda riconvenzionale” (p. 3 del ricorso). E non solo: R.M. aveva proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Taranto. Il che significa che il difetto di vocato in ius non ha affatto impedito a R.M. di esercitare il suo diritto di difesa. In applicazione dell’insegnamento pacifico di questa Corte, deve negarsi accoglimento al motivo di ricorso con cui il ricorrente faccia valere vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali senza prospettare quale concreta lesione l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, giacché la denuncia di vizi processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione.
3. Con il secondo motivo la società 74cento lamenta “Violazione e falsa applicazione degli artt. 112,133,658 c.p.c. (intimazione sfratto per morosità), artt. 660,663,665,666,667 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4”, per non essersi la Corte d’Appello pronunciata sulla eccezione preliminare di inammissibilità e/o improcedibilità.
Il motivo è inammissibile.
La ricorrente avrebbe dovuto riportare puntualmente le eccezioni proposte nei loro esatti termini e non genericamente e neppure per riassunto del loro contenuto, con l’indicazione precisa, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’eccezione era stata proposta onde consentire al Collegio di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività e quindi la decisività delle questioni prospettate. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di Cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (cfr. Cass. 04/07/2014, n. 15367 e successiva giurisprudenza conforme).
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce: “La sentenza è viziata per violazione dell’art. 1578 c.c. e delle norme in materia di locazione di immobili adibiti ad uso non abitativo nonché art. 1455 c.c., art. 567 c.p.c., artt. 658 e 666 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3”, per avere ritenuto che: i) l’escussione della polizza fideiussoria per Euro 25.000,00 avesse rappresentato un adempimento solo parziale, senza considerare che tra le parti era intervenuto un accordo modificativo del canone che lo aveva rideterminato in Euro 1.000,00; ii) la morosità dovesse valutarsi con riferimento al momento dell’intimazione; iii) integrasse gli estremi dell’inadempimento solutoriamente rilevante l’escussione della polizza fideiussoria; iv) il cessionario che subentra al contratto di locazione per effetto della cessione d’azienda non potesse esercitare l’azione di risoluzione e di riduzione del canone di cui all’art. 1578 c.c., in ragione della mancata consegna del bene locato dal locatore al conduttore.
Il motivo è infondato.
Indipendentemente da quale fosse il canone locativo, se quello indicato nel contratto di locazione o quello ridotto a seguito di un accordo successivo intervenuto tra le parti (ipotesi che non trova comunque riscontro nei fatti di causa e che difetta di specificazione, anche ad esempio, rispetto alla decorrenza del nuovo accordo), resta il fatto che da parte della conduttrice vi era stato il perdurante inadempimento dell’obbligazione principale posta a suo carico dal contratto di locazione, non valendo ad escluderlo né la pattuizione della polizza fideiussoria né la sua escussione.
E’ pacifico, infatti, che l’obbligazione del fideiussore è subordinata al verificarsi dell’inadempimento del garantito e che per escludere le conseguenze dell’inadempimento il conduttore avrebbe dovuto ottenere l’autorizzazione, da parte della banca garante, “ad attendere il pagamento e così sostanzialmente a fare credito al conduttore con la garanzia del fideiussore” (così Cass. 13/08/2015 n. 16798).
Così non è stato; pertanto, deve convenirsi con la Corte d’Appello che la escussione della polizza fideiussoria non abbia fatto venir meno le ragioni giustificative della risoluzione del contratto per inadempimento, in quanto la garanzia fideiussoria non elimina l’inadempimento, ma pone a carico del fideiussore un obbligo autonomo rispetto a quello del debitore principale. Il pagamento effettuato dal fideiussore impedisce al creditore di agire nei confronti del debitore principale per ottenere l’adempimento, non gli preclude, invece, l’esercizio della facoltà di domandare la risoluzione del contratto per inadempimento. Deve essere chiaro, infatti, che con la fideiussione si aggiunge al rapporto un ulteriore debitore, che con il suo patrimonio rafforza la garanzia del creditore. La fideiussione soddisfa l’esigenza del creditore di avere una platea di debitori più ampia e, quindi, aumenta la possibilità di ottenere l’adempimento. Non cancella, però, il fatto che il debitore principale si sia reso inadempiente, considerando che il contratto di fideiussione intercorre, comunque, esclusivamente fra il fideiussore ed il creditore, restandone il debitore estraneo, salve diverse intese fra le parti (cfr., ex pluribus, Cass. 5/07/2004, n. 12279; Cass. 12/04/1984, n. 2536; Cass. 02/05/1983, n. 3018).
Non può non osservarsi, peraltro, che ragionando per assurdo, e cioè anche ad ammettere che sia corretto il ragionamento della ricorrente, l’escussione della polizza, al fine di ottenere l’adempimento dal fideiussore, avrebbe esaurito la garanzia prestata per l’adempimento dei canoni di locazione, lasciando il locatore privo di una garanzia per il pagamento dei canoni a scadere, a fronte di un conduttore già dimostratosi gravemente infedele.
4. Con il quarto motivo la società 74cento deduce “La sentenza è viziata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1150 c.c., 1592 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3”, per non aver riconosciuto l’indennità per i miglioramenti arrecati all’immobile sussistenti al momento della restituzione, sulla scorta della clausola n. 8 del contratto di locazione che imponeva la preventiva autorizzazione scritta della locatrice per l’esecuzione dei lavori.
Il motivo è inammissibile.
La ricorrente ritiene errata la decisione della Corte d’Appello, lasciando intendere che la clausola 8, che definisce fantomatica, non si riferisse al riconoscimento di quanto dovutole per avere allestito, con numerose opere murarie, idrauliche ed elettriche necessarie all’attività di ristorazione, l’immobile consegnatole “nudo e crudo” dalla locatrice.
Il contenuto della clausola non è riprodotto nel contratto nella parte che sorreggere la censura, né, come sarebbe stato possibile in alternativa, lo riproduce indirettamente indicando la sede in cui in questo giudizio di legittimità il documento, in quanto prodotto (ai diversi effetti dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), se nella disponibilità, sarebbe esaminabile dalla Corte e nemmeno fa riferimento alla sua presenza nel fascicolo d’ufficio (Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469).
Neppure è dato conoscere il contenuto degli accordi tra le parti quanto alla realizzazione delle opere necessarie ad adeguare l’immobile locato allo svolgimento dell’attività della conduttrice.
A ciò si aggiunga che fa difetto l’individuazione dell’error in iudicando imputato alla Corte territoriale, in quanto il mezzo denuncia la violazione della norme di diritto indicate nell’epigrafe, ma non contiene argomentazioni che spieghino come e perché esse sarebbero state violate, limitandosi a postularne la violazione del tutto assertivamente.
5. Con il quinto motivo la ricorrente assume la ricorrenza di un “Vizio della sentenza impugnata per violazione delle norme processuali sancite dall’art. 101 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.
Il motivo è assorbito dal mancato accoglimento del primo motivo.
6. Con il sesto motivo la ricorrente imputa alla sentenza gravata “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3”.
7. Con il settimo motivo 74cento censura la sentenza impugnata per “Violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3", per essere stata condannata al pagamento delle spese processuali relative al primo procedimento svoltosi dinanzi alla Corte d’Appello ed a quelle relative al giudizio di legittimità, ove non era risultata soccombente neppure parzialmente.
8. Con l’ultimo motivo la società ricorrente deduce”E’ viziata la sentenza della Corte territoriale per violazione e, o falsa applicazione, del T.U. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3, ciò in quanto l’appello non andava rigettato e dunque la condanna al pagamento di ulteriori somme risulta assolutamente ingiusta ed illegittima”.
9. Gli ultimi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente.
Mette conto osservare, innanzitutto, che la sentenza impugnata, nonostante la società ricorrente fosse risultata vittoriosa nel giudizio di cassazione, ha confermato la sua condanna, ex art. 96 c.p.c.: condanna che aveva tra i suoi presupposti la pretestuosità della resistenza giudiziale.
Va, poi, aggiunto che la disciplina delle spese processuali affianca e contempera due principi, quello della soccombenza e quello della causazione, dovendosi escludere che il primo assurga a principio unitario al quale il legislatore si è ispirato nel ripartire il carico definitivo delle spese. Non si spiegherebbero altrimenti, a titolo esemplificativo, l’art. 306 c.p.c., u.c., in ragione del quale le spese del processo estinto per rinuncia agli atti del giudizio devono essere rimborsate dal rinunciante alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro; l’art. 391 c.p.c., comma 2, per il quale con il decreto o con la sentenza che dichiarano l’estinzione del giudizio di cassazione si può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese; il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 147, secondo cui “in caso di revoca della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, le spese della procedura e il compenso del curatore sono a carico del creditore istante quando ha chiesto con colpa la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale; sono a carico del debitore persona fisica, se con il suo comportamento ha dato causa alla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale. La Corte di Appello, quando revoca la liquidazione giudiziale, accerta se l’apertura della procedura è imputabile al creditore o al debitore”; il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 148, in applicazione del quale al quale il magistrato pone le spese della procedura (dell’eredità giacente attivata d’ufficio) a carico dell’erede, in caso di accettazione successiva o a carico del curatore, nella qualità, se la procedura si conclude senza che intervenga accettazione.
La Corte d’Appello, invece, ha tenuto conto solo del principio della soccombenza, omettendo di considerare quello di causazione, cioè non ha tenuto conto delle ragioni che hanno provocato la soccombenza, vale dire delle ragioni che hanno spinto l’odierna ricorrente a difendersi, esercitando il proprio diritto costituzionale alla difesa. La regola del “chi perde paga” mira a garantire l’effettività della tutela del vittorioso, ma non a sanzionare l’esercizio del diritto di difesa da parte del soccombente, come è avvenuto nel caso di specie, ove il giudice ha gravato l’odierna ricorrente dell’intero carico delle spese, pur essendo essa stata indotta alla difesa giurisdizionale avendo conseguito un esito vittorioso nel giudizio di cassazione.
Seguire come ha fatto la Corte d’Appello solo il principio di soccombenza significa comprimere l’esercizio del diritto di difesa di chi, come nel caso di specie, ha portato avanti la propria difesa in giudizio in una situazione che evidentemente non era tale da apparire ictu oculi infondata o inutile – ipotesi la cui ricorrenza avrebbe reciso la causazione, riconducendo il recupero delle spese processuali al paradigma della soccombenza in via esclusiva -.
Le censure della ricorrente vanno di conseguenza accolte, occorrendo provvedere ad una diversa determinazione del peso delle spese di lite che non tenga conto solo del fatto della soccombenza totale, ma anche della condotta causativa della lite. E’ vero che il giudice del rinvio deve provvedere, anche d’ufficio, alla regolamentazione delle spese relative a tutte le fasi del giudizio di merito ed anche a quelle del giudizio di legittimità, atteso il fatto che, in applicazione dell’art. 385 c.p.c., comma 3, questa Corte quando cassa con rinvio non “deve” liquidare le spese di lite, ma “può” rimetterne la liquidazione al giudice del rinvio, e che il giudice chiamato a liquidarle deve tener conto della soccombenza da rapportare unitariamente all’esito finale della causa e non frazionarla secondo l’esito delle diverse fasi del giudizio. Nondimeno, la liquidazione delle spese di lite, basandosi oltre che sul principio di soccombenza su quello di causazione, implica l’emancipazione dalla soccombenza in senso tecnico, per attribuire specifico rilievo alla responsabilità causale della lite, in considerazione del principio secondo cui “La condanna alle spese non ha natura sanzionatoria né costituisce un risarcimento del danno, ma è un’applicazione del principio di causalità, che fa sì che l’onere delle spese gravi su chi ha provocato la necessità del processo” (Cass. 19/10/2016, n. 21069).
10. In definitiva la Corte accoglie per quanto di ragione gli ultimi tre motivi di ricorso.
11. La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti e la controversia rinviata alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione che provvederà anche alla regolazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione gli ultimi tre motivi di ricorso, cassa la decisione impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la controversia alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 31 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021
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