Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27293 del 07/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4130-2020 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ASOLONE 8, presso lo studio dell’Avvocato MILENA LIUZZI, che lo rappresenta e difende unitamente agli Avvocati LUIGI ANTONIELLI D’OULX, ILARIA DEL CARRETTO DI SALUZZO;

– ricorrente –

contro

UNIONE DI BANCHE ITALIANE SPA, in persona del procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 12, presso lo studio dell’Avvocato GIUSEPPE CAPUTI, che la rappresenta e difende unitamente all’Avvocato GIUSEPPE FILIPPO MARIA LA SCALA;

– controricorrente –

contro

SOCIETA’ REALE MUTUA ASSICURAZIONI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1056/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 20/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIAIME GUIZZI STEFANO.

RITENUTO IN FATTO

– che P.F. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 1056/19, del 20 giugno 2019, della Corte di Appello di Torino, che – pronunciandosi quale giudice del rinvio a seguito dell’ordinanza n. 29321/17, del 7 dicembre 2017, con cui questa Corte aveva cassato, su ricorso della società Banca Regionale Europea S.p.a. (d’ora in poi, “società BRE”) la sentenza n. 1537/14, del 7 agosto 2014, della medesima Corte torinese – ha provveduto nei termini di seguito indicati;

– che essa accolto parzialmente il gravame esperito dalla società Unione Banche Italiane S.p.a. (d’ora in poi, “società UBI”), quale incorporante la società BRE, avverso la sentenza n. 1450/11, del 1 marzo 2011, del Tribunale di Torino, riconoscendo la responsabilità del notaio P. per mancanza di necessaria diligenza nell’accertarsi della identità delle parti, in sede di stipula di atto di mutuo e successivo atto di compravendita immobiliare, condannando il professionista al risarcimento del danno nella misura di Euro 65.000,00 (oltre accessori indicati nella pronuncia del primo giudice), o meglio, per esso, la società Reale Mutua di Assicurazioni, nei cui confronti il medesimo P. aveva proposto domanda di manleva;

– che, in punto di fatto, l’odierno ricorrente riferisce che il Tribunale di Torino, innanzi al quale era stato convenuto dalla società BRE, ne aveva affermato la responsabilità, condannandolo al risarcimento del danno, per mancanza di dovuta diligenza nell’accertarsi dell’effettiva identità – poi rivelatasi falsa – di tale Z.F., resosi acquirente di un immobile (e beneficiario di un mutuo finalizzato all’acquisto del bene) in virtù di, duplice, atto rogato dal predetto professionista;

– che esperito gravame dal P., il giudice di appello ne aveva escluso la responsabilità, con decisione, tuttavia, cassata da questa Corte (su ricorso della società BRE), avendo ritenuto “illogica” la motivazione, laddove questa assumeva essere bastevole – per ritenere il notaio adempiente “rispetto all’obbligo di identificare personalmente le parti e di porre in essere tutta la propria diligenza per accertare l’identità delle parti stesse comparenti al rogito” – la circostanza che il professionista avesse “esaminato i documenti di identità”, nonché “ritenuto sufficiente l’interesse della Banca alla stipula del mutuo” e l’esistenza “di un significativo rapporto di fiducia tra le parti”, provvedendo, infine, a verificare, presso una propria collega, “l’esistenza della procura speciale a vendere”, ancorché avesse “successivamente rilevato che la stessa procura fosse stata abilmente falsificata tanto da non poter essere riconosciuta falsa ad un esame visivo”;

– che la suddetta pronuncia rescindente adottata da questo giudice di legittimità ha escluso, in particolare, che potesse essere “ritenuto sufficiente l’esercizio di una minima diligenza da parte del pubblico ufficiale, spesa non nell’accertamento dell’identità delle parti, ma nella verosimile corrispondenza del nome dichiarato alla persona del dichiarante”;

– che riassunto il giudizio innanzi il giudice del rinvio, il medesimo ha affermato la responsabilità del professionista, sul rilievo della “insufficienza di quanto fatto dal notaio per raggiungere adeguata certezza” sull’identità dell’acquirente/mutuatario, e ciò per essersi esaurita la sua attività nella verifica della “verosimile corrispondenza del nome dichiarato alla persona del dichiarante” sulla base dei documenti esibiti;

– che avverso la sentenza della Corte piemontese il P. ricorre per cassazione, sulla base – come detto – di tre motivi;

– che il primo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c.;

– che assume il ricorrente che la pronuncia rescindente adottata da questa Corte “ha inteso censurare la motivazione della sentenza, ritenuta insufficiente, illogica, apparente”, ma non ha affermato “l’insufficienza di quanto di quanto il notaio ha fatto per raggiungere un’adeguata certezza circa l’identità delle parti”, tale essendo “una conclusione cui è pervenuta la Prima Sezione della Corte d’Appello”, senza esservi vincolata dalla sentenza resa dal giudice di legittimità;

– che, in sostanza, il ricorrente si duole del fatto che la Corte torinese abbia individuato nel “decisum” di questa Corte un’affermazione di responsabilità di esso P., e non la mera censura della motivazione della sentenza (allora) impugnata per cassazione, così travisando i limiti imposti al giudice del rinvio ex art. 394 c.p.c.;

– che il secondo motivo denuncia – sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione della L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 49;

– che, in questo caso, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma – confrontandosi con la precedente decisione (in quel caso favorevole al professionista) della Corte torinese che tale pronuncia non si sarebbe “fatta carico di un adeguato onere probatorio in capo al notaio”, stigmatizzando, in particolare, il presente motivo che il citato della L. n. 89 del 1913, art. 49 “non pone in capo al notaio alcun “onere probatorio””, né “contiene cavillose distinzioni tra “l’accertamento dell’identità delle parti” e la “corrispondenza del nome dichiarato alla persona del dichiarante””;

– che si assume come l’esercente la professione notarile non debba provare alcunché, “ma deve raggiungere uno stato soggettivo di certezza conseguibile sulla base di tutti gli elementi a sua disposizione” e “astrattamente idonei a tale convincimento e a corroborare le risultanze della carta di identità”, elementi “anche di natura presuntiva, purché, in quest’ultimo caso, si tratti di presunzioni gravi, precise e concordanti”;

– che nell’interpretazione della norma suddetta, dunque, la sentenza impugnata sui sarebbe discostata dai principi enunciati dalla giurisprudenza costante e consolidata di questa Corte;

– che il terzo motivo denuncia – ai sensi, questa volta, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero che la formazione del convincimento del notaio sull’identità delle parti è stato il risultato di una truffa abilmente congegnata ai suoi danni, essendo stato il professionista “abilmente manipolato con la confezione di documenti contraffatti, che avevano, prima di lui, indotto in errore anche la banca”;

– che ha resistito all’impugnazione, con controricorso, la società UBI, chiedendo la reiezione del ricorso;

– che è rimasta intimata la Società Reale Mutua di Assicurazione;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 16 marzo 2021;

– che il ricorrente ha depositato memoria insistendo nelle proprie argomentazioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va accolto, sebbene nei limiti di seguito indicati;

– che, in particolare, i motivi primo e secondo – da scrutinare congiuntamente, data la loro connessione – sono fondati;

– che, difatti, la sentenza impugnata, pur muovendo dal corretto presupposto secondo cui la pronuncia rescindente di questa Corte, quando sia adottata – come è avvenuto nel caso che occupa – sulla base di un riscontrato vizio motivazionale, lascia libero il giudice del rinvio non solo di valutare i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata (in tal senso, da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 14 gennaio 2020, n. 448, Rv. 656830-02), ha, in concreto, disatteso tale principio;

– che il giudice del rinvio, infatti, ha frainteso la portata del vincolo nascente dalla pronuncia adottata da questa Corte, giacché i limiti dell’accertamento che essa gli demandava non erano rappresentati dall’acclarata “insufficienza di quanto fatto dal notaio per raggiungere adeguata certezza” sull’identità dell’acquirente/mutuatario, visto che questo giudice di legittimità aveva censurato la precedente decisione della Corte territoriale solo per aver ritenuto “sufficiente l’esercizio di una minima diligenza da parte del pubblico ufficiale non per l’accertamento dell’identità delle parti”, ma nella verifica della “verosimile corrispondenza del nome dichiarato alla persona del dichiarante” sulla base dei documenti esibiti;

– che il giudice del rinvio, quindi, era del tutto libero (recte: era tenuto a farlo, dovendosi conformare agli indirizzi costantemente affermati da questo giudice della nomofilachia in ordine alla corretta interpretazione della L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 49) di verificare l’osservanza, da parte del P., dell’obbligo di accertarsi dell’identità dell’acquirente/mutuatario alla stregua di tutte le circostanze del caso concreto, e non della sola esibizione di un documento di identità, evidentemente insufficiente, secondo il modello delineato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 1, sent. 30 novembre 2017, n. 28823, Rv. 646191-01; Cass. Sez. 3, sent. 29 maggio 2018, n. 13362, Rv. 648795-01, ma cfr. anche, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 8 aprile 2020, n. 7746, Rv. 657617- 01);

– che in base a tali principi, infatti, il notaio può essere ritenuto non responsabile dei danni che taluno subisca per effetto della discordanza tra l’identità effettiva e quella attestata del comparente, se l’identificazione sia il risultato di un convincimento di certezza raggiunto anche al momento dell’attestazione sulla base di una pluralità di elementi che, comunque acquisiti, siano idonei a giustificarlo secondo regole di diligenza, prudenza e perizia professionale, potendo rilevare in tal senso anche elementi di natura presuntiva, purché in quest’ultimo caso si tratti di presunzioni gravi, precise e concordanti;

– che i motivi primo e secondo di ricorso vanno, dunque, accolti (con assorbimento del terzo) e la sentenza impugnata va cassata in relazione, rinviando alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, dichiarando assorbito il terzo, e per l’effetto cassa, in relazione, la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021

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