LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
Dott. GIAIME GUIZZA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5169-2020 proposto da:
T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO STOPPANI, 34, presso lo studio dell’Avvocato LUCA SILVAGNI, rappresentato e difeso dall’Avvocato DANILO COLAVINCENZO;
– ricorrente –
contro
UNIPOL ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MERCURI, 8, presso lo studio dell’Avvocato PAOLO GEMELLI, rappresentata e difesa dall’Avvocato ERNESTO TORINO RODRIGUEZ;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1129/2019 della CORTE D’APPELLO de L’AQUILA, depositata il 25/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIAIME GUIZZI STEFANO.
RITENUTO IN FATTO
– che T.M. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 1129/19, del 25 giugno 2019, della Corte di Appello de L’Aquila, che – accogliendo il gravame esperito dalla società Unipol Assicurazioni S.p.a. (d’ora in poi, “Unipol”) contro la sentenza n. 1751/18, del 29 novembre 2018, del Tribunale di Pescara – ha rigettato la domanda, proposta dall’odierno ricorrente, di condanna di Unipol al pagamento di indennizzo assicurativo;
– che il ricorrente riferisce, in punto di fatto, di aver adito il Tribunale pescarese per conseguire il pagamento dell’indennizzo assicurativo previsto, anche per il furto, dal contratto concluso con Unipol il 24 febbraio 2012, avendo subito in Milano, il 20 aprile dello stesso anno, la sottrazione da parte di ignoti ladri di un’autovettura di sua proprietà, posteggiata all’interno di un parcheggio pubblico, previo trafugamento di una borsa a tracolla indossata dal medesimo T. ove erano custodite le chiavi;
– che accolta dal primo giudice la domanda, con condanna di Unipol a pagare l’importo di Euro 37.000,00 a titolo di indennizzo, oltre interessi legali sulla somma rivalutata anno per anno dalla sentenza al soddisfo, su gravame della convenuta soccombente il giudice di appello riformava la sentenza rigettando la domanda di pagamento, ritenendo applicabile al caso di specie l’art. 1900 c.c., per essere stata provata, dalla società assicuratrice, la causa estintiva del diritto all’indennizzo, “sub specie” di simulazione dell’avvenuto furto;
– che avverso la sentenza della Corte aquilana ricorre per cassazione il T. sulla base – come detto – di tre motivi;
– che il primo motivo denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – falsa applicazione dell’art. 1900 c.c., avendo la sentenza impugnata erroneamente ritenuto la sussistenza del dolo in capo all’assicurato, sulla base di tre elementi fattuali tutti confutabili, nonché l’ultimo di natura congetturale;
– che, difatti, la sentenza impugnata ha attribuito rilievo alla circostanza che il veicolo, prima dell’acquisto del T., avesse conosciuto sei passaggi di proprietà con prezzi oscillanti tra Euro 27.579,00 e Euro 24.000,00 (mentre quello corrisposto dall’odierno ricorrente fu di Euro 42.000,00), nonché a quella della sua assicurazione per un importo addirittura pari a Euro 50.000,00, ed infine quella relativa al carattere non convincente della ricostruzione della dinamica del furto, soprattutto in relazione al fatto che l’odierno ricorrente si sarebbe accorto della sparizione del borsello, in cui erano riposte le chiavi della vettura, in un luogo posto a distanza da quello in cui essa era parcheggiata, non riuscendo, poi, a spiegare come gli ignoti ladri avessero potuto procedere alla sua localizzazione né come egli potesse escludere l’ipotesi di uno smarrimento colposo delle chiavi;
– che il secondo motivo denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione dell’art. 27 Cost., comma 2, oltre che dall’art. 651 c.p.p., censurando la sentenza impugnata per aver dato rilievo alla pendenza di un procedimento penale, a carico di molte persone tra cui lo stesso ricorrente, per il delitto di simulazione di reato finalizzata ad una truffa ai danni dell’assicurazione, e ciò in spregio sia del principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza, sia della regola secondo cui solo una sentenza penale di condanna passata in giudicato può produrre effetti in un giudizio civile;
– che il terzo motivo denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, censurando la sentenza per over “omesso l’esame circa una serie di fatti decisivi che, se acutamente valutati dalla Corte d’Appello, avrebbero potuto portare all’accoglimento della pretesa dell’odierno ricorrente”;
– che, in particolare, tali fatti sono identificati nella “testimonianza resa dal teste D.N.F. “, nel “prezzo di acquisto della vettura e valore dell’assicurazione” e, infine, nel “documento emanato dalle Autorità lettoni denominato “decisione di chiudere il procedimento penale”” (dal quale emergeva non essere stata raggiunta prova convincente che una vettura, corrispondente per numero di telaio a quella di cui al presente giudizio, fosse stata oggetto di un tentativo, compiuto da un cittadino lettone, di immatricolarla in Lettonia sulla base di un certificato di immatricolazione “in bianco” rubato in Italia, e ciò anche in ragione del fatto che tale episodio risaliva ad epoca antecedente all’acquisto di esso T.);
– che ha resistito all’impugnazione, con controricorso, la società Unipol, chiedendo che lo stesso venga dichiarato inammissibile o comunque rigettato;
– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 16 marzo 2021;
– che la controricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso è inammissibile;
– che il primo motivo – che ipotizza falsa applicazione dell’art. 1900 c.c. – formula una censura non riconducibile al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), visto che esso “consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (da ultimo, “ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 652549-02; cfr, anche, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 26 febbraio 2021, n. 5442), e ciò in quanto il vizio di sussunzione “postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito” (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01), evenienza, quest’ultima, che e’, invece, proprio quella prospettata nel caso in esame, visto che il motivo lamenta essere stati “valorizzati taluni elementi puramente congetturali, privi di alcun riscontro probatorio” (cfr. pag. 16 del ricorso);
– che il secondo motivo è anch’esso inammissibile, perché come si dirà appena di seguito – non coglie l’effettiva “ratio decidendi” della sentenza impugnata;
– che essa, infatti, ha evidenziato una pluralità di elementi rivelatori del dolo dell’assicurato, inserendo solo conclusivamente – e in assenza di qualsiasi commento o sottolineatura, che possa valere come “stigma” della colpevolezza dell’indagato – la menzione del procedimento penale pendente a carico (tra gli altri) del T.;
– che tanto basta a fugare il dubbio in merito alla violazione della presunzione di non colpevolezza (e dell’art. 651 c.p.p.);
– che, difatti, sebbene debba ormai porsi massima attenzione anche sulla scorta della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (cfr. Corte EDU, Sez. 2, sent. 20 ottobre 2020, Gatu c. Repubblica di Moldova; Corte EDI, Sez. 3, sent. 20 ottobre 2020, Pasquini c. San Marino; Corte EDU, Sez. 1, sent. 10 dicembre 2020, Papageorgiou c. Grecia) – alla necessità di rispettare, in ogni giudizio civile relativo a fatti suscettibili di rilievo penale (ed oggetto di procedimenti di tale natura), la presunzione di non colpevolezza, è stato chiarito che la sua violazione è ipotizzabile non in tutti i casi in cui sia stato utilizzato un linguaggio inappropriato, ma solo quando, ad esempio, sia stato ritenuto “chiaramente probabile” che il soggetto abbia commesso il reato, ovvero sia stato affermato che le prove disponibili in quella sede fossero in tal senso sufficienti;
– che nessuna di tali evenienze – al netto, peraltro, del rilievo che le tre sentenze della Corte di Strasburgo di cui si diceva hanno riguardato casi di procedimenti penali già definiti, nonché tutti conclusi con il proscioglimento dell’accusato – ricorre nel caso che occupa, nel quale, oltretutto, il riferimento alla pendenza del procedimento penale è svolto essenzialmente “ad colorandum”, essendo formulata su altre basi la valutazione della sussistenza del dolo del T., rilevante ai fini ed agli effetti dell’art. 1900 c.c.;
– che, pertanto, in relazione al presente motivo di ricorso va dato seguito al principio per cui la “proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4)”, rilevabile anche d’ufficio” (cfr. Cass. Sez. 6-1, ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01, in senso conforme, e proprio con specifico riferimento all’estraneità di un singolo motivo alla “ratio decidendi” della sentenza impugnata, Cass. Sez. 6-3, ord. 3 luglio 2020, n. 13735, Rv. 658411-01);
– che, infine, il terzo motivo – con cui è lamentato omesso esame di fatti che si assumono decisivi per il giudizio – si risolve in un tentativo di rivisitazione di una pluralità di circostanze (o meglio, di risultanze istruttorie) che, nella loro ampiezza ed eterogeneità, non possono ricondursi alla nozione di “fatto” decisivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), essendo “evidente l’inammissibilità di censure, come quelle attualmente prospettate dal ricorrente, che evochino una moltitudine di fatti e circostanze lamentandone il mancato esame o valutazione da parte della Corte d’Appello ma in realtà sollecitandone un esame o una valutazione nuova da parte della Corte di cassazione, così chiedendo un nuovo giudizio di merito, oppure chiamando “fatto decisivo”, indebitamente trascurato dalla Corte d’Appello, il vario insieme dei materiali di causa” (così, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 21 ottobre 2015, n. 21439, Rv. 637497-01; ma si veda anche Cass. Sez. Un., sent. 27 dicembre 2019, n. 34476, Rv. 656492-03, che ha ribadito l’inammissibilità di quella censura “che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito”);
– che il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile;
– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
– che in ragione della declaratoria di inammissibilità del ricorso va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando T.M. a rifondere alla società Unipol Assicurazioni S.p.a. le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.500,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021