LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4870-2020 proposto da:
C.C., elettivamente domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELE FILIPPO ITALIANO;
– ricorrente –
contro
ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 89/2019 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 23/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 04/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. PICCONE VALERIA.
RILEVATO
che:
la Corte d’appello di Reggio Calabria ha respinto il gravame proposto da C.C. avverso la sentenza che aveva rigettato il ricorso proposto in data 20 maggio 2014 per conseguire la iscrizione nell’elenco anagrafico dei lavoratori agricoli per gli anni 2008, 2009, 2010, 2011 e la condanna dell’Inps al pagamento dell’indennità di disoccupazione;
confermando l’iter motivazionale del giudice di primo grado, la Corte ha ritenuto che fosse maturato il termine di decadenza di 120 giorni previsto dal D.L. n. 7 del 1970, art. 22, convertito in L. n. 83 del 1970;
in particolare, la Corte ha rilevato che, nel caso in esame, la stessa ricorrente aveva ammesso di essere venuta a conoscenza della cancellazione nel novembre 2013, precisando, quindi, che il ricorso amministrativo proposto il 4 febbraio 2014 doveva reputarsi tardivo;
per la cassazione della pronunzia propone ricorso C.C. affidandolo a due motivi;
l’INPS è rimasto intimato;
E’ stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di Consiglio.
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo il ricorso deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 264 del 1949, art. 32, nonché del R.D. n. 1949 del 1940, art. 12, del R.D. 20 marzo 1865, n. 2248, e dell’art. 2697 c.c.;
il motivo è inammissibile;
va preliminarmente rilevato che l’Inps ha provveduto a cancellare la lavoratrice dagli elenchi dei braccianti e che la stessa è poi decaduta dall’impugnativa per il decorso infruttuoso dei trenta giorni dalla conoscenza della cancellazione;
la Corte territoriale, condividendo l’assunto del primo giudice secondo cui l’iscrizione è requisito indispensabile per la maturazione del diritto a prestazioni temporanee, ha osservato che se è vero che l’iscrizione assolve solo la funzione di agevolazione probatoria e che, pertanto, nel caso di contestazione delle risultanze dell’iscrizione da parte dell’Inps, il giudice può e deve procedere all’accertamento dell’effettività della prestazione lavorativa, è altrettanto vero che, nel caso in cui il lavoratore sia decaduto dall’impugnativa del provvedimento di cancellazione, non potrà, comunque, procedere alla richiesta delle prestazioni, a prescindere dall’effettività della loro sussistenza (sul punto, Cass. n. 19322 del 2016 e Cass. n. 2739 del 2016);
si è affermato, in sede di legittimità, che l’iscrizione negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli costituisce presupposto per l’attribuzione della prestazione previdenziale, che, pertanto, non può essere riconosciuta in difetto di impugnazione del provvedimento amministrativo di esclusione da tali elenchi nel termine decadenziale di cui al D.L. n. 7 del 1970, art. 22, conv. con modif. in L. n. 83 del 1970 (cfr., in questi termini, Cass. n. 6229 del 2019; V. anche S.U. n. 1133 del 2000);
ne consegue che la censura considerata, con la quale vengono sovrapposte questioni differenti relative alla decadenza sostanziale ed alla procedibilità della domanda, è inammissibile, anche ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, dal momento che questa Corte ha già affermato (Sez. VI, sentenza n. 17653 del 2020; Sez. L, Sentenza n. 9622 del 2015) che “in tema di iscrizione negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli, l’inosservanza del termine di centoventi giorni previsto dal D.L. 3 febbraio 1970, n. 7, art. 22, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 marzo 1970, n. 83, per la proposizione dell’azione giudiziaria a seguito della notifica, o presa di conoscenza, del provvedimento definitivo di iscrizione o mancata iscrizione nei predetti elenchi, ovvero di cancellazione dagli stessi, determina, in quanto relativa al compimento di un atto di esercizio di un diritto soggettivo, la decadenza sostanziale del privato, che non solo è sottratta alla sanatoria prevista dalla L. 11 agosto 1973, n. 533, art. 8, ma, riguardando una materia sottratta alla disponibilità delle parti, è anche rilevabile di ufficio dal giudice in ogni stato e grado del giudizio, a norma dell’art. 2969 c.c., salvo il limite del giudicato interno”;
la decisione impugnata si è attenuta a questo chiaro principio talché risulta indenne dalle censure sollevate;
quanto alla dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., va evidenziato che per consolidata giurisprudenza di legittimità, (ex plurimis, Cass. n. 18092 del 2020) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie;
il secondo motivo, con cui si deduce la violazione dell’art. 91 c.p.c. atteso che, secondo quanto asserito da parte ricorrente, l’accoglimento del ricorso avrebbe dovuto comportare la condanna dell’INPS alla rifusione delle spese, deve reputarsi assorbito;
il ricorso deve, quindi, essere dichiarato inammissibile;
nulla per le spese essendo la parte controricorrente rimasta intimata;
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma degli stessi artt. 1-bis e 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma degli stessi artt. 1-bis e 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 4 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021