Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27361 del 08/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13916/2016 proposto da:

C.S., C.A., C.T., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. FERRARI 4, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO TOMASSO, rappresentati e difesi dall’avvocato MARIO DI TORO;

– ricorrenti –

contro

O.P., O.S., O.E.E., O.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA UMBERTO LUSENA 9, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO VINCI, rappresentati e difesi dall’avvocato MAURO REGIS;

– controricorrenti –

CO.VI., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUSENA 9, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO VINCI, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO BUSTI;

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 352/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 23/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/04/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda qui al vaglio può riassumersi nei termini seguenti:

– C.S., T. e A. citarono in giudizio, nel 2001, Co.Vi., proprietaria di fondo confinante, perché fosse accertata l’inesistenza della servitù di passaggio vantata dalla convenuta, con e conseguente divieto per quest’ultima di transito con mezzi o a piedi;

– la convenuta esponeva di avere acquistato l’appezzamento di terreno da O.B. con atto pubblico del 16/1/1995, il quale aveva garantito la sussistenza del diritto di passaggio di cui si discute; che nell’anno 1993 gli attori avevano citato in giudizio, sempre in negatoria servitutis, l’ O., rimasto contumace il quale, avevano ottenuto pronuncia di accoglimento in primo grado; che la convenuta aveva proposto azione possessoria contro i C., i quali avevano collocato un cancello, il quale, pur privo di lucchetto, rendeva più difficoltoso il transito; che su quel viottolo, che nell’ultimo tratto si sviluppava sul terreno della controparte, si svolgeva pacificamente il transito dei proprietari dei fondi serviti da oltre quarant’anni;

– la stessa, oltre ad opporsi alla domanda, in via riconvenzionale chiedeva dichiararsi in suo favore acquisita per usucapione; la servitù di passaggio, e, in via di subordine, stante l’interclusione del suo fondo, che fosse costituita servitù coattiva di passaggio; condannarsi gli attori a rimuovere gli ostacoli frapposti al libero transito sul viottolo; chiamarsi in causa l’ O. per essere garantita;

– l’ O., costituitosi, chiedeva sospendersi il giudizio in attesa che si pronunciasse il Giudice d’appello sull’impugnazione dal medesimo proposta avverso la sentenza del Tribunale, resa nel giudizio avviato nel 1993, al quale non aveva potuto partecipare a causa della nullità della notificazione dell’atto introduttivo;

– il Tribunale di Verona, dopo che il processo, interrottosi per morte dell’ O., era stato riassunto, dichiarò l’acquisto per usucapione della servitù di passaggio a piedi o con mezzi meccanici “rivendicato” dalla convenuta e condannò gli attori a estirpare la “pianta di olivo oggetto di causa, posta in prosecuzione delle alberature di confine”;

– la Corte d’appello di Venezia rigettò l’appello principale dei C. e accolto quello incidentale della Co. condannò gli appellanti a rimuovere “dal sedime di servitù ogni ulteriore ostacolo, comunque frapposto al suo esercizio”;

ritenuto che gli insoddisfatti appellanti principali ricorrono avverso la sentenza d’appello sulla base di tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria, e che Co.Vi. e, con distinto atto, O.G., P., E.E. e S. resistono con controricorso; che la Co. ha depositato memoria;

ritenuto che con il primo motivo i ricorrenti denunziano nullità della sentenza, assumendo che la sentenza, per larga parte scritta a penna, non risultava agevolmente decifrabile, foriera di equivoci interpretativi a cagione dell’oscurità della grafia e, comunque, ampiamente incomprensibile, con conseguente “lesione del diritto di difesa”;

considerato che la esposta doglianza è infondata:

– come già osservato da questa Corte – Cass. n. 6307/2020 – (peraltro in relazione a sentenza proveniente dalla medesima Corte e redatta dallo stesso relatore), “La più severa, ma minoritaria, posizione richiamata dal ricorrente (Sez. 3, n. 4683, 10/3/2016; e, in minor misura, Sez. L., n. 11739, 15/5/2010) non è condivisa dal Collegio, il quale intende dare continuità ad altra, e prevalente, giurisprudenza, riaffermata anche assai di recente.

Si è così chiarito che “la motivazione della sentenza è assente non solo quando sia stata assolutamente omessa o quando il testo di essa, scritto a mano, sia assolutamente indecifrabile, ma anche quando la sua scarsa leggibilità renda necessario un processo interpretativo del testo con esito incerto, tanto da prestarsi ad equivoci o anche a manipolazioni delle parti che possono, in tal modo, attribuire alla sentenza contenuti diversi, dovendo, invece, il “documento motivazione” essere univocamente apprezzabile da tutti i suoi fruitori per garantire che la sua analisi non esuli dal suo campo destinato, che è quello della validità delle argomentazioni giuridiche, in esso contenute, e non quello dell’interpretazione del dato testuale (Cass. 10 marzo 2016, n. 4683). Peraltro, in mancanza di un’espressa comminatoria, non è configurabile nullità della sentenza nell’ipotesi di mera difficoltà di comprensione e lettura del testo stilato in forma autografa dall’estensore, atteso che la sentenza non può ritenersi priva di uno dei requisiti di validità indispensabili per il raggiungimento dello scopo della stessa (Cass. n. 4947 del 2016 e n. 6553 del 2018)” (Sez. 3, n. 3988, 12/2/2019; si veda pure, Sez. 2, n. 20829, 14/10/2016).

Senza tacere che si è talvolta escluso la configurabilità in sé del vizio di nullità, stante che l’interessato potrebbe chiedere il rilascio di copia scritturata a stampa alla cancelleria, ai sensi degli artt. 743 e 746 c.p.c. (Sez. 2, n. 24183, 13/10/2017), in ogni caso si è precisato che il vizio non è configurabile se “il “documento motivazione” si presta ad essere univocamente apprezzato dando piena contezza delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della decisione. Del resto la stessa ricorrente dimostra di averne pienamente compreso il significato, svolgendo in modo compiuto le proprie difese e censurando in modo specifico ed articolato i singoli percorsi motivazionali esposti dal giudice del merito” (Sez. 1, n. 16325, 3/7/2017).

Nel caso in esame il testo della sentenza è oggettivamente comprensibile attraverso l’esercizio di una lettura attenta, la quale, peraltro, non può non caratterizzare l’apprendimento di uno strumento tecnico quale la sentenza in genere. Comprensibilità agevolata dalla scritturazione a stampa dello svolgimento del fatto e che ha reso possibile la pertinente articolazione dei plurimi motivi di ricorso.

Deve, perciò, escludersi versarsi in ipotesi di “difficile leggibilità – tanto da dar luogo nella sua dimensione testuale ad una laboriosa opera di interpretazione con esito incerto, ovvero potenzialmente difforme da lettore a lettore, in cui ciascuno che si trova ad esaminare il documento può attribuirgli, a causa della scarsa decifrabilità della graffa dell’estensore, un testo diverso rispetto a quanto percepito dagli altri lettori” che fa venire meno la “sua funzione essenziale di documento recante l’estensione della motivazione e quindi della decisione del giudice”, comportando una “vera e propria mancanza grafica del documento-motivazione, che diviene pertanto assolutamente inidoneo ad assolvere la sua funzione essenziale, consistente nell’esteriorizzazione del contenuto della decisione ovvero una mancanza grafica della motivazione che impedisce radicalmente al giudice, alle parti e ai terzi di leggerlo, di apprezzarlo e comprenderlo nella sua estensione letterale per poi valutarlo nei suoi contenuti” (Sez. 2, n. 20829, 14/10/2016)”;

– lettura attenta che nel caso qui al vaglio ha consentito ai ricorrenti di pienamente apprezzare il contenuto in fatto e in diritto della sentenza della Corte di Venezia, avversata con precipuo ordito impugnatorio;

ritenuto che con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 c.c., nonché “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversa”, sulla base di quanto segue:

– dalla documentazione prodotta risultava evidente, a prescindere dalla notificazione, nel 1993, dell’atto di citazione al defunto O., poi giudicata nulla dalla Corte d’appello, che il possesso vantato dalla controparte era stato interrotto e impedito per lungo tempo, di talché non si era compiuto il ventennio di legge;

– la sentenza era errata per avere affermato che la notificazione della citazione del 1993 non era valsa a interrompere il decorso del tempo utile all’usucapione, poiché la nullità della notifica di quell’atto era dipesa dal sopravvenire di modifica normativa;

– la decisione, inoltre aveva motivato “in maniera assai contraddittoria ed insufficiente in ordine alla valutazione delle prove” e, in particolare a riguardo delle dichiarazioni testimoniali dei testi escussi ( B., N., Ba., O., V. e Va.);

– non era vero che il fondo della Co. non potesse fruire di altro accesso;

considerato che il motivo non supera la soglia d’ammissibilità per il concorrere di una pluralità di ragioni:

– si fa generico riferimento a una non meglio specificata documentazione prodotta in giudizio e a rendere apprezzabile il rilievo non è affatto sufficiente il mero riferimento al numero del documento fascicolato ne giudizio di merito, avendo il profilo di doglianza l’evidente anelito a un improprio riesame del vaglio di merito;

– l’atto interruttivo non può non essere ricettizio e, pertanto, a fronte della declaratoria di nullità di quella notifica all’ O., oramai divenuta cosa giudicata, la tesi dei ricorrenti, lungi dal confrontarsi con la decisione impugnata, si riduce a un nudo dissenso;

– chiaramente inammissibile, per contrasto con l’art. 360 c.p.c., n. 5, risulta l’addebito di insufficiente e contraddittoria motivazione sul vaglio probatorio (cfr., per tutte, S.U. n. 8053/2014);

– non ha rilievo alcuno la circostanza, peraltro contrastata, che il fondo servito potesse godere di altro accesso, vertendosi in materia di servitù di passaggio acquistata per usucapione;

ritenuto che con il terzo motivo i ricorrenti prospettano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2943 e 1165 c.c., assumendo che:

– sempre avuto riguardo all’azione giudiziaria intrapresa nel 1993 nei confronti di O.B. l’interruzione si era avverata con la consegna da parte del notificante del plico all’ufficiale giudiziario ed esso effetto si era protratto fino al passaggio in giudicato;

– L’ O. aveva impugnato nel 1996 la sentenza del Tribunale di Verona emessa nel 1995 e la decisione d’appello aveva dichiarato la nullità di quella di primo grado “sulla base di un’interpretazione retroattiva delle statuizioni della Corte Costituzionale in materia di adempimenti relativi alla notifica degli atti”, con la conseguenza che “si deve considerare che la notifica dell’actio negatoria servitutis da parte dei C. nei confronti dell’ O., validamente instaurata secondo le disposizioni in vigore al tempo, abbia determinato l’interruzione del decorso del tempo dell’usucapione”;

considerato che il motivo impinge in inammissibilità, valendo quanto segue:

– esso non si confronta con la sentenza, la quale afferma che la domanda giudiziale nei confronti dell’ O. non era stata trascritta e, quindi, perciò solo i suoi effetti non erano opponibili alla Co.;

– ripropone “tout court” la tesi sostenuta in primo grado, secondo la quale, nonostante quella notificazione fosse stata dichiarata nulla con sentenza passata in giudicato, si sarebbero lo stesso avuti gli effetti interruttivi, senza spiegare perché mai l’effetto interruttivo dovrebbe essere procurato da un atto non ricettizio; né, tantomeno, perché, nonostante la declaratoria di nullità della notificazione, avrebbe dovuto reputarsi la conoscenza in capo al destinatario;

considerato che il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, che liquida, in favore di O.G., P., E.E. e S., in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge e in favore di Co.Vi., in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2021

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