LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – rel. Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12463-2018 proposto da:
S.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BERENGARIO n. 10, presso lo studio dell’avvocato ELIA CURSARO, rappresentata e difesa dagli avvocati ADELE RITORTO, TERESA CHIODO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA, *****;
– intimato –
avverso la sentenza n. 417/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata l’11/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 04/05/2021 dal Presidente Relatore Dott. ADRIANA DORONZO.
RILEVATO
che:
1. Con sentenza pubblicata in data 11/10/2017, la Corte d’appello di Brescia ha rigettato l’appello proposto da S.C., contro la sentenza del tribunale che aveva rigettato la sua domanda avente ad oggetto la condanna del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca al risarcimento del danno derivante dalla illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato stipulati per lo svolgimento delle funzioni di collaboratori scolastici o di docenti, ed aveva altresì omesso di pronunciarsi sulle differenze retributive a lei spettanti in conseguenza della progressione stipendiale prevista per i docenti di ruolo.
A fondamento del decisum la Corte territoriale ha ritenuto assorbente il rilievo che la lavoratrice fosse stata stabilizzata, sicché in forza dei principi espressi da questa Corte nella sentenza n. 27563/2016 (punti 118-125), e nelle numerose altre pure citate, l’intervenuta immissione in ruolo era idonea a sanzionare debitamente l’abuso e a cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’unione, e, quindi, a riparare tutti i danni riferibili all’illegittima reiterazione dei contratti a tempo determinato, in difetto di specifiche allegazioni circa l’esistenza di danni ulteriori, diversi da quelli risarciti con l’immissione in ruolo, nonché circa il ricorso, da parte del ministero, ad un uso improprio o distorto delle assunzioni a termine. Quanto al diritto alla ricostruzione della carriera con il computo dei periodi re ruolo e al pagamento delle differenze retributive maturate, ha escluso che vi fossero sufficienti allegazioni in fatto per riconoscere tale diritto in modo tale da evitare uno squilibrio con i lavoratori assunti a tempo indeterminato, in ragione del godimento, da parte dei dipendenti a termine, di un trattamento stipendiale particolare. Ha quindi concluso ritenendo che non vi fossero in atti allegazioni idonee a supportare la violazione in concreto della clausola 4.
Contro la sentenza, la S. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di una pluralità di motivi; il Ministero non ha resistito.
La proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.
CONSIDERATO
che:
1.- Con il primo motivo, parte ricorrente deduce la nullità della sentenza per contrasto tra dispositivo e motivazione, perché, dopo aver compensato le spese per la ravvisata sussistenza di giusti motivi e per la reciproca soccombenza ha poi posto a suo carico l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in considerazione della “totale soccombenza”.
2.-Con il secondo motivo denuncia la violazione della direttiva 1999/70/CEE, e, quindi, del principio di non discriminazione: ha precisato che la sua domanda iniziale era quella di ottenere le differenze retributive per effetto della progressione stipendiale commisurata all’anzianità di servizio, mentre la Corte sembrava aver fatto riferimento ad altro giudizio, in considerazione di una serie di errori riscontrabili in sentenza, circa il suo nome ( C. e non L.), il numero della sentenza impugnata, l’esistenza di un appello incidentale, mai spiegato da essa S., l’indicazione della data di deposito del ricorso (31/7/2013 e non 13/1/2017), ed era pertanto pervenuta all’erronea convinzione che ella avesse lamentato la violazione della clausola 5 dell’accordo Quadro Ces, Anice, e Jeep.
3.-Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 111 Cost., per avere la Corte omesso di giudicare sulla sua domanda e giudicato su di un ricorso diverso. In particolare, la corte non si è pronunciata sulla sua richiesta di trasmissione degli atti alla corte costituzionale e sulla sua domanda avente ad oggetto le differenze retributive, mentre non aveva considerato che essa ricorrente era stata immessa nei moli già nel 2012.
4.-Con il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 115 e 116, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, nella parte in cui la Corte ha ritenuto non adeguatamente supportata dalle necessarie allegazioni l’asserzione che la S. era insegnante abilitata, in contrasto con quanto risultante dall’incipit del suo ricorso e non oggetto di contestazione dal MIUR.
5.- Con il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 3,24 e 36 Cost. e afferma che, secondo quanto esposto nei motivi precedenti, vi era stato diniego di giustizia.
6.- Il primo motivo è infondato, perché non si ravvisa alcun contrasto nella motivazione nonché tra questa e il dispositivo, idoneo a rendere inintelligibile il decisum, essendo al riguardo sufficiente rilevare che le condizioni affinché il ricorrente in cassazione versi un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, sono imposte dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, e prescindono dalla condanna alle spese, in quanto legate alla natura della pronuncia, che deve essere di rigetto, inammissibilità o improcedibilità.
L’aver il giudice dapprima affermato che vi era una reciproca soccombenza – sulla cui base ha compensato le spese di lite – e poi affermato che vi era totale soccombenza ai fini del contributo unificato non rende incerto il contenuto della statuizione giudiziale imposto per legge né inficia la correttezza della condanna al versamento del contributo, legata come si è detto a specifici presupposti di legge.
Gli altri motivi sono inammissibili per assoluto difetto di specificità.
Le “discrasie” denunciate sono palesemente irrilevanti perché prive di una qualunque capacità di inficiare sia la ricostruzione della vicenda processuale sia il percorso argomentativo seguito per arrivare al rigetto dell’impugnazione: l’erronea indicazione del nome della ricorrente nella seconda pagina della sentenza non ha creato alcuna incertezza sulle giuste parti del processo, alla luce delle indicazioni contenute nella intestazione della sentenza, da cui risulta l’esatta identità di tutte le parti (Cass. 18/07/2019, n. 19437).
Quanto agli altri errori, essi sono del tutto irrilevanti e riconducibili a meri refusi che non hanno inciso né sull’esistenza né sulla completezza della motivazione.
Peraltro, la ricorrente non si è premurata di depositare gli atti volti a comprovare gli errori in cui sarebbe incorsa la Corte (come la sentenza di primo grado, indicata dalla Corte con il n. 943/2016 nello svolgimento del processo, in luogo della n. 91 del 2013, laddove, peraltro, nella intestazione della sentenza la si identifica con il n. 93 del 2013; il ricorso in appello, anch’esso recante una data diversa da quella riportata in sentenza). Infine appare del tutto irrilevante – né la ricorrente ne chiarisce le ragioni – l’errore della Corte che avrebbe ritenuto non provata l’abilitazione all’insegnamento della ricorrente, visto che è pacifico che la stessa è stata immessa nei ruoli con la qualifica di docente.
Infine, è pure privo di specificità il motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione dell’art. 112, dal momento che la ricorrente non ha trascritto il ricorso introduttivo del giudizio, anche solo nelle sue parti più significative e idonee a sorreggere la censura, nonché l’atto di appello, sì da rendere evidente ex actis l’errore in cui sarebbe incorso il giudice nel pronunciare su domande mai proposte ovvero di omettere la decisione su domande o motivi di impugnazione correttamente devolutigli. Tali documenti non risultano depositati unitamente al ricorso per cassazione e neppure specificamente localizzati.
Va invero rilevato che, affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, “in primis”, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass. 4/07/2014, n. 15367).
In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, mentre nessun provvedimento sulle spese deve essere adottato, in mancanza di attività difensiva del MIUR.
La parte ricorrente è comunque tenuta al versamento dell’ulteriore importo pari al contributo unificato versato.
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2021