LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11776-2020 proposto da:
S.S.C., elettivamente domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato COVELLI PATRIZIA;
– ricorrente –
contro
C.S., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA COLONNA 7, presso lo studio dell’avvocato MASSARI MICHELE ARCANGELO, rappresentata e difesa dall’avvocato BIANCHI MASSIMILIANO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1365/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 13/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 04/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CINQUE GUGLIELMO.
RILEVATO
Che:
1. La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza n. 1365 del 2019, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Crotone, ha condannato S.S.C., titolare dell’omonima ditta, a corrispondere a C.S. la somma di Euro 17.752,68, oltre accessori, a titolo di differenze retributive per le mansioni svolte quale commessa part-time dal 15.9.2009 al 24.3.2015.
2. A fondamento della decisione i giudici di seconde cure hanno evidenziato che la transazione raggiunta dalle parti, con verbale del 22.9.2015, solo in parte era preclusiva dell’azione giudiziale, così come non era ostativo il successivo accordo conciliativo raggiunto in sede giudiziale in data 28.10.2015; hanno, poi, sottolineato che le rivendicazioni retributive per il lavoro eccedente l’orario pattuito meritavano accoglimento essendo stata sul punto raggiunta la prova costituita dalle deposizioni testimoniali raccolte e dalla assenza ingiustificata della datrice d lavoro a rendere il deferito interrogatorio formale.
3. Avverso la decisione di seconde cure ha proposto ricorso per cassazione S.S.C. affidato ad un unico articolato motivo, cui ha resistito C.S. con controricorso.
4. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
Che:
1. Con l’unico articolato motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalle risultanze processuali (orali e documentali) da cui si desumeva che il quantum preteso era infondato rispetto all’orario di lavoro effettivamente svolto e con riguardo a quanto già corrisposto; si contesta, infine, il valore probatorio assegnato dalla Corte territoriale al mancato espletamento dell’interrogatorio formale in primo grado.
2. Il motivo è inammissibile.
3. Invero, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
4. Anche in ordine al valore probatorio assegnato dalla Corte territoriale al mancato espletamento dell’interrogatorio formale in primo grado, la gravata sentenza si è attenuta ai principi statuiti da ultimo dalla pronuncia di legittimità n. 9436 del 2018.
5. Le censure che la ricorrente muove alle argomentazioni dei giudici di seconde cure risultano, quindi, non pertinenti ai vizi denunciati investendo, nel modo in cui sono state formulate, inammissibilmente il solo merito della decisione.
6. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
7. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del difensore della controricorrente dichiaratosi antistatario. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2021