Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27408 del 08/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4378-2020 proposto da:

M.G., M.P., S.M., in qualità di eredi M.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TERENZIO n. 7, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO BONAVITA, rappresentati e difesi dall’avvocato PIETRO MANCUSO;

– ricorrenti –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO SGROI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONIETTA CORETTI, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 954/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 25/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 04/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. VALERIA PICCONE.

RILEVATO

Che:

con sentenza n. 954 del 2019, la Corte d’appello di Catanzaro, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha respinto il ricorso proposto da M.G. e M.S. nei confronti dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, volto ad ottenere l’accertamento dell’insussistenza del proprio obbligo di iscrizione alla gestione commercianti e la conseguente insussistenza del credito vantato dall’INPS pari a Euro 24.824,81;

in particolare, la Corte ha ritenuto che, a fronte della documentazione prodotta dall’Istituto attinente al Modello Unico da cui risultava l’espletamento di attività commerciale da parte della società e, in essa, l’attività abituale svolta dai due soci, relativa a diversi anni, si rinveniva la mera allegazione, priva di riscontri, secondo cui la società sarebbe rimasta del tutto inattiva;

per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso M.G., S.M. e M.P., nella qualità di eredi di M.S., affidandolo a due motivi;

resiste con controricorso l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale;

e’ stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo di ricorso si denunzia l’erroneità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 626 del 1996, art. 1 comma 203, e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5;

con il secondo motivo si denunzia ancora la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5;

entrambi i motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di ordine logico sistematico, sono inammissibili;

va rilevato, infatti, che, per costante giurisprudenza di legittimità (sul punto, fra le altre, Cass. n. 26874 del 2018) è inammissible la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro;

invero, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lamentele del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse;

d’altro canto, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017);

inoltre, come statuito da SU n. 8053 del 2014, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;

relativamente, infine, alla denunziata violazione dell’art. 2697 c.c., va rilevato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, plurimis, Sez. 111, n. 15107/2013) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre senza dubbio nel caso di specie, nel quale entrambi i giudici di merito hanno applicato correttamente la ripartizione dell’onere probatorio;

nel caso di specie, appare del tutto evidente come parte ricorrente, pur veicolando le proprie censure con il richiamo a violazioni di legge, in realtà mira ad ottenere una rivisitazione del fatto della vicenda;

il ricorso deve, quindi, essere dichiarato inammissibile;

sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, in favore della parte costituita, che liquida in Euro 4000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 4 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2021

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