Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.27418 del 08/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 31635/2019 proposto da:

COMUNE DI NARNI, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE SANZIO, 1, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO MAZZELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO MARINI;

– ricorrente –

contro

RACKISH SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BONCOMPAGNI 61, presso lo studio dell’avvocato PAOLO GIROLAMI, rappresentato e difeso dall’avvocato MONICA BENEDETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 521/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 05/07/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 31/03/2021 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza resa in data 5/7/2018, la Corte d’appello di Perugia, in accoglimento dell’appello proposto dalla Rackish s.r.l., e in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta dal Comune di Narni avverso il decreto ingiuntivo emesso nei relativi confronti su istanza della società appellante, ritenendo effettivamente dovute le somme ingiunte all’amministrazione comunale di Narni in sede monitoria a titolo di risarcimento dei danni, nella specie integrate dagli importi corrispondenti ai canoni di locazione dovuti pur dopo la scadenza del relativo contratto, originariamente concluso dal Comune di Narni (in qualità di conduttore) e dalla Cassa di Risparmio di Narni e di Terni s.p.a. (Carit) (in qualità di locatrice), a sua volta dante causa della Rackish s.r.l., avendo la Carit ceduto a quest’ultima l’immobile già concesso in locazione al Comune di Narni dopo la scadenza di detto contratto di locazione.

2. A fondamento della decisione assunta, la Corte d’appello di Perugia ha rilevato l’avvenuta successione della Rackish s.r.l. in tutte le prerogative contrattuali già di pertinenza della Carit, benché l’acquisto dell’immobile locato, da parte della Rackish s.r.l., fosse avvenuto dopo la scadenza del contratto di locazione, con la conseguente legittimità del rifiuto opposto dalla Rackish s.r.l. alla restituzione dell’immobile da parte del conduttore, non avendo quest’ultimo provveduto al ripristino del bene locato nelle medesime condizioni in cui era stato ricevuto dall’originaria locatrice.

3. Avverso la sentenza d’appello, il Comune di Narni propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi di impugnazione.

4. La Rackish s.r.l. Resiste con controricorso.

5. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha concluso per iscritto, instando per la dichiarazione di inammissibilità ovvero, in subordine, per il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il Comune ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1321,1322,1372,1599,1602,13621363 c.c., nonché per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare l’avvenuta deroga, per via negoziale, ad opera della Carit e della Rackish s.r.l. (all’atto di concludere la vendita dell’immobile locato), del principio generale relativo alla surrogazione dell’acquirente dell’immobile locato (di cui agli artt. 1599 e 1602 c.c.), non avvedendosi dell’avvenuta esclusione convenzionale del potere della Rackish s.r.l. di esercitare le prerogative della banca alienante relative al contratto di locazione con il Comune di Narni (già scaduto), così incorrendo, oltre che nell’omesso esame di un fatto decisivo ai fini della decisione della lite, nella violazione delle norme di ermeneutica contrattuale richiamate in ricorso, con particolare riguardo al mancato rilievo dell’avvenuta esclusione, proprio per effetto del contratto di compravendita tra la Carit e la Rackish s.r.l., della facoltà, per la Rackish s.r.l., di rifiutare la restituzione dell’immobile da parte del Comune conduttore.

2. Con il secondo motivo, il Comune ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1602,1590 e 1591 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale omesso di rilevare come nella compravendita conclusa tra la Carit e la Rakish s.r.l. si fosse tenuto conto della minore efficienza della cosa locata ai fini della determinazione del prezzo di vendita, con la conseguente esclusione del potere della società acquirente di rivendicare alcunché nei confronti del Comune conduttore(tenuto altresì conto della circostanza secondo cui il Comune aveva comunque provveduto a corrispondere, tanto in favore della Carit, quanto in favore della Rackish s.r.l., le somme corrispondenti ai canoni dovuti fino alla rituale offerta di restituzione dell’immobile locato.

3. Con il terzo motivo, il Comune ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1591,1181,1209,1216,1218,1220,1460 e 1590 c.c., nonché per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare la ritualità dell’offerta di riconsegna dell’immobile locato da parte del Comune di Narni, non considerando l’avvenuta accettazione di detta restituzione da parte della Rackish s.r.l. (come risultante dalla corrispondenza intercorsa tra le parti), trascurando conseguentemente di rilevare: 1) che la Rackish s.r.l. non era legittimata a estendere la propria pretesa risarcitoria anche ai periodi successivi a detta offerta di riconsegna; 2) che il preteso cattivo stato di manutenzione dell’immobile non giustificava di per sé il rifiuto della restituzione (avendo la Rackish s.r.l. accettato il bene nello stesso stato di fatto e di diritto all’epoca del relativo acquisto); 3) che i danni e delle difformità rinvenuti all’interno dell’immobile locato non erano imputabili al Comune di Narni, come viceversa erroneamente attestato dal giudice a quo sulla base di una motivazione contraddittoria e confusa.

4. Tutti e tre i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono infondati.

5. Devono essere preliminarmente disattese le censure avanzate dal Comune ricorrente con riguardo alla pretesa violazione delle norme di ermeneutica contrattuale in cui sarebbe incorso il giudice d’appello nel trascurare il rilievo dell’avvenuta esclusione, per effetto del contratto di compravendita concluso tra la Carit e la Rackish s.r.l., della facoltà, per quest’ultima, di rifiutare la restituzione dell’immobile da parte del Comune conduttore (in quanto inadempiente alle proprie obbligazioni di corretta custodia del bene locato), nonché nell’omettere di rilevare come nella compravendita conclusa tra la Carit e la Rakish s.r.l. si fosse tenuto conto della minore efficienza della cosa locata ai fini della determinazione del prezzo di vendita.

6. Varrà sottolineare, al riguardo, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione degli atti negoziali deve ritenersi indefettibilmente riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità unicamente nei limiti consentiti dal testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ovvero nei casi di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3.

In tale ultimo caso, peraltro, la violazione denunciata chiede d’essere necessariamente dedotta con la specifica indicazione, nel ricorso per cassazione, del modo in cui il ragionamento del giudice di merito si sarebbe discostato dai suddetti canoni, traducendosi altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti, in una mera proposta reinterpretativa in dissenso rispetto all’interpretazione censurata; operazione, come tale, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 17427 del 18/11/2003, Rv. 568253).

7. Nel caso di specie, l’odierna amministrazione ricorrente si è limitata ad affermare, in modo inammissibilmente apodittico, il preteso tradimento, da parte dei giudici di merito, della comune intenzione delle parti (ai sensi dell’art. 1362 c.c.), nonché la scorrettezza dell’interpretazione complessiva attribuita ai termini dell’atto negoziale (ex art. 1363 c.c.), orientando l’argomentazione critica rivolta nei confronti dell’interpretazione della corte territoriale, non già attraverso la prospettazione di un’obiettiva e inaccettabile contrarietà, a quello comune, del senso attribuito ai testi e ai comportamenti negoziali interpretati, o della macroscopica irrazionalità o intima contraddittorietà dell’interpretazione complessiva dell’atto, bensì attraverso l’indicazione degli aspetti della ritenuta non condivisibilità della lettura interpretativa criticata, rispetto a quella ritenuta preferibile, in tal modo travalicando i limiti propri del vizio della violazione di legge (ex art. 360 c.p.c., n. 3), attraverso la sollecitazione della corte di legittimità alla rinnovazione di una non consentita valutazione di merito.

8. Sul punto, è appena il caso di rilevare come la corte territoriale – nel ritenere che le parti del contratto di compravendita del bene locato al Comune di Narni non avessero provveduto a regolare in alcun modo le prerogative destinate ad essere assunte dalla parte acquirente in relazione al contratto di locazione all’epoca già scaduto – abbia proceduto alla lettura e all’interpretazione delle dichiarazioni negoziali in esame nel pieno rispetto dei canoni di ermeneutica fissati dal legislatore, non ricorrendo ad alcuna attribuzione di significati estranei al comune contenuto semantico delle parole, né spingendosi a una ricostruzione del significato complessivo dell’atto negoziale in termini di palese irrazionalità o intima contraddittorietà, per tale via giungendo alla ricognizione di un contenuto negoziale sufficientemente congruo, rispetto al testo interpretato, e del tutto scevro da residue incertezze, sì da sfuggire integralmente alle odierne censure avanzate dalla ricorrente in questa sede di legittimità.

9. Ne’ una simile violazione dei canoni di ermeneutica negoziale può ritenersi integrata dalla circostanza dell’asserita (pretesa) avvenuta considerazione, nel contratto di compravendita dell’immobile locato, del minor valore di detto bene (in quanto danneggiato) ai fini della determinazione del prezzo, trattandosi di circostanza desunta in via meramente ipotetica e congetturale dall’odierno Comune ricorrente.

10. Parimenti, del tutto priva di fondamento deve ritenersi la censura che imputa alla corte territoriale una pretesa contraddittorietà, o l’affermazione di (asserite) proposizioni non conciliabili, circa la contestabilità, nei confronti della Carit (come venditrice o come locatrice), degli inadempimenti del Comune conduttore, avendo la corte territoriale del tutto correttamente e univocamente rilevato come, sul piano probatorio, fosse emersa la sicura riconducibilità, alla responsabilità del Comune, dei danni e delle stesse modificazioni strutturali apportate, senza alcuna previa autorizzazione, all’immobile locato. Tale accertamento di fatto, in quanto condotto sulla base del discrezionale apprezzamento degli elementi di prova complessivamente acquisiti al giudizio, deve ritenersi non censurabile in questa sede di legittimità, in assenza, come rilevato, dei presupposti per l’invocazione del vizio di motivazione, nei limiti ancora consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5.

11. Ciò posto – ferma l’avvenuta successione ex lege della società acquirente nelle prerogative contrattuali già spettanti al vecchio locatore (pur a seguito della scadenza del contratto), e fermo il positivo accertamento dei gravi inadempimenti contrattuali in cui ebbe a incorrere con certezza il Comune conduttore (inadempimenti giudicati, dalla corte d’appello, pienamente idonei a legittimare il rifiuto della riconsegna del bene locato, sulla base di una valutazione di merito, non sindacabile in sede di legittimità, neppure in relazione alla pretesa avvenuta accettazione della riconsegna da parte della società odierna resistente, evocata dal Comune di Narni in forza di un’interpretazione del tutto soggettiva della documentazione acquisita agli atti del giudizio) le conclusioni cui è pervenuta la sentenza di appello devono ritenersi giuridicamente corrette, siccome del tutto conformi ai consolidati insegnamenti della giurisprudenza di questa Corte.

12. In particolare, il giudice a quo risulta aver fatto buon governo del principio di diritto secondo cui la successione dell’acquirente della cosa locata, nelle prerogative contrattuali già spettanti al venditore, deve ritenersi pacifica anche se la vendita della cosa sia temporalmente successiva alla scadenza della locazione, laddove questo non sia stato ancora riconsegnato (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 7099 del 09/04/2015, Rv. 635116 – 01, là dove afferma che l’acquirente della cosa locata, quand’anche la compravendita sia successiva alla scadenza della locazione, subentra nelle azioni che spettano all’originario locatore per gli adempimenti cui il conduttore sia ancora tenuto”).

13. Allo stesso modo, la corte territoriale risulta essersi correttamente allineata al principio di diritto in forza del quale deve ritenersi giustificato il rifiuto opposto dal locatore alla riconsegna del bene in caso di inadempimento grave del conduttore (come riscontrato nel caso di specie) (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 12977 del 24/05/2013, Rv. 626376 – 01, secondo cui, in tema di locazione, allorché il conduttore abbia arrecato gravi danni all’immobile locato, o compiuto sullo stesso innovazioni non consentite, tali da rendere necessario per l’esecuzione delle opere di ripristino l’esborso di somme di notevole entità, in base all’economia del contratto e tenuto comunque conto delle condizioni delle parti, il locatore può legittimamente rifiutare di ricevere la restituzione del bene finché tali somme non siano state corrisposte dal conduttore, il quale, versando in mora, agli effetti dell’art. 1220 c.c., rimane tenuto altresì al pagamento del canone ex art. 1591 c.c., quand’anche abbia smesso di servirsi dell’immobile per l’uso convenuto”).

14. Conclusivamente, il giudice a quo – nell’applicare i principi di diritto appena richiamati, e nell’accertare, sulla base di un ragionamento discrezionale pienamente congruo sul piano logico-giuridico, il mancato adempimento, da parte del Comune conduttore, degli obblighi di custodia e di mantenimento della cosa locata nelle medesime condizioni in cui fu ricevuta (salva la normale usura legata al periodo contrattuale), con la conseguente provocazione, da parte del conduttore, di danni di gravità tale da rendere necessario, per l’esecuzione delle opere di ripristino, l’esborso di somme di notevole entità – ha legittimamente giustificato il rifiuto, da parte della Rackish s.r.l., della riconsegna del bene locato, con le conseguenze d’indole risarcitoria da tali premesse debitamente tratte.

15. Sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del Comune ricorrente al rimborso, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre all’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 31 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2021

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