LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2459/2014 proposto da:
B.R., C.D., C.M.M., Co.Gi., T.C., elettivamente domiciliati in Roma, Via Paolo Emilio 57, presso lo studio dell’avvocato Mizzoni Biagio, rappresentato e difeso dall’avvocato Iadevaia Alberto e Dogliotti Paolo;
– ricorrenti –
contro
Agenzia Delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 66/2013 della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA, depositata il 29/05/2013;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22/09/2021 dal consigliere Dott. STALLA GIACOMO MARIA.
RILEVATO
che:
p. 1.1 T.C. ed altri propongono sette motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 66/31/13 del 29.5.2913, con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione in recupero di imposta proporzionale di registro (3%) loro notificato il 22 aprile 2011 con riguardo ad atto registrato in misura fissa il *****; atto con il quale essi avevano ceduto alla Cooperativa Edilizia Te. le rispettive quote di partecipazione costituenti l’intero capitale sociale della Maspero 28 srl.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che: legittimamente l’amministrazione finanziaria avesse riqualificato la cessione di quote in oggetto in termini di unitaria cessione di azienda alla Cooperativa, D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 20;
tale conclusione fosse stata già compiutamente argomentata dal primo giudice, con considerazioni non efficacemente inficiate dai contribuenti in appello.
p. 1.2 Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
Con ordinanza interlocutoria in esito a procedimento camerale, il ricorso è stato rinviato a nuovo ruolo in attesa dell’intervento delle decisioni della Corte Costituzionale sull’art. 20 TUR.
Intervenuta la decisione del giudice delle leggi, la causa è stata assegnata alla decisione che segue.
p. 2.1 Con i motivi di ricorso per cassazione i contribuenti deducono:
– (primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)) nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione, stante il mero richiamo della commissione tributaria regionale alla sentenza di primo grado;
– (secondo motivo) nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., stante la mancata pronuncia sul motivo di opposizione, riprodotto in appello, di carente motivazione dell’avviso di liquidazione impugnato (trascritto in ricorso);
– (terzo motivo) nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., stante la mancata pronuncia sul motivo di opposizione, riprodotto in appello, della nullità dell’avviso di liquidazione per mancata instaurazione di previo contraddittorio procedimentale in funzione antielusiva;
– (quarto motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)) violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 52 e 76, per non avere la commissione tributaria regionale rilevato la decadenza dell’amministrazione finanziaria per mancata notificazione dell’avviso di liquidazione entro il biennio dalla registrazione dell’atto;
– (quinto motivo) violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, posto che la riqualificazione della cessione di quote sociali in cessione di azienda travalicava il tipo negoziale presentato alla registrazione attribuendo indebita rilevanza, da un lato, agli effetti economici e non a quelli giuridici dell’atto stesso e, dall’altro, ad elementi esterni all’atto stesso quali la pluralità delle cessioni e la successiva fusione, con atto anch’esso registrato, tra la Maspero 28 srl e la Cooperativa Edilizia Te.;
– (sesto motivo) violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, della tariffa, parte prima, art. 11, dal momento che le cessioni di quote sociali effettuate mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata erano assoggettate a registrazione in termine fisso con applicazione dell’imposta di registro in misura fissa e non proporzionale;
– (settimo motivo) in via subordinata, violazione altresì degli artt. 23 e 41 Cost., dal momento che l’attività di riqualificazione dell’atto da parte dell’amministrazione finanziaria concretava nella specie un’imposizione tributaria al di là dei limiti previsti dalla legge ed in violazione altresì della libertà negoziale delle parti.
p. 2.2 Osserva la Corte che va esaminato il quinto motivo di ricorso poiché, in applicazione del principio processuale della ragione più liquida – desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. – deve ritenersi consentito al giudice di esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale. Ciò in considerazione del fatto che si impone un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello della stretta consequenzialità logico-sistematica, ed è quindi consentito sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 c.p.c.; ciò in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, come costituzionalizzata dall’art. 111 Cost.. Ne consegue che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole e pronta soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre (tra le altre, Cass. Sez. U, n. 9936 del 08/05/2014; Cass. n. 12002 del 28/05/2014; Cass. n. 11458 dell’11/5/2018; Cass. n. 363 del 9/1/2019).
Tale motivo è fondato, sotto il profilo della effettiva violazione dell’art. 20 TUR, in tema di “interpretazione degli atti” assoggettati ad imposta di registro.
Si tratta di una disposizione di legge che è stata fatta oggetto – nel corso del presente giudizio – di modificazioni di diretta e fondamentale incidenza sul caso in esame.
La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), (cd. legge di bilancio 2018) ne ha infatti modificato la previgente formulazione (“L’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”), la quale trova oggi una più circoscritta definizione normativa.
Ribadito il principio basilare di prevalenza della sostanza sulla forma, l’intervento legislativo di riforma – superando un opposto orientamento applicativo di legittimità – ha ristretto l’oggetto dell’interpretazione al solo atto presentato alla registrazione, ed agli elementi soltanto da quest’ultimo desumibili. Non rilevano quindi più, come espressamente indicato dal legislatore, gli elementi evincibili da atti eventualmente ad esso collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extrate-stuali: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.
Successivamente a questa prima modificazione – ed anche in tal caso a seguito di un diverso avviso di legittimità – il legislatore è nuovamente intervenuto per affermare la natura interpretativa autentica, e dunque retroattiva, della nuova formulazione dell’art. 20, così come risultante dopo la cit. L. n. 205 del 2017.
Il 1 gennaio 2019, infatti, è entrato in vigore la L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, (bilancio di previsione per l’anno 2019), secondo cui: “La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del testo unico di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1”.
Dal che si evince come la riformulazione in esame (nel senso della esclusione, dal processo di qualificazione dell’atto, degli elementi extratestuali e di collegamento negoziale) si renda applicabile – fermi i rapporti di registrazione ormai esauriti o coperti dal giudicato – anche agli atti negoziali posti in essere, come quello qui dedotto, prima del 1 gennaio 2018.
A completare la ricostruzione del travagliato quadro interpretativo, va detto che questa corte di legittimità, con la già citata ordinanza n. 23549/19, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in rapporto agli artt. 53 e 3 Cost., dell’art. 20, così come risultante dagli interventi apportati dalla citata L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, (L. di bilancio 2018) ed L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, L. di bilancio 2019), “nella parte in cui dispone che, nell’applicare l’imposta di registro secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso, “prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi””.
Richiamato il pregresso consolidato orientamento di legittimità sulla rilevanza qualificatoria della causa concreta del contratto e del collegamento negoziale, ed assodato che anche in base alla riforma del 2017 l’interpretazione dell’atto deve rispondere (indipendentemente da finalità antielusive) a criteri di sostanza e non puramente formali e nominali, si è in sintesi ritenuto che l’esclusione, dall’attività di qualificazione, degli elementi extra-testuali e di collegamento negoziale potesse fondatamente incidere sia sul principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), impedendo di cogliere il reale sostrato economico risultante dall’atto presentato alla registrazione (inteso non come documento ma quale complesso negoziale con causa unitaria); sia sul principio di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), sottraendo ad imposizione di registro manifestazioni di forza economica non razionalmente e coerentemente differenziabili sulla base del solo fatto esteriore che le parti abbiano stabilito di attuare il proprio assetto di interessi con un unico atto negoziale piuttosto che con più atti tra loro collegati.
Con la, anch’essa già citata, sentenza n. 158/2020 (GU 22/7/2020) la Corte Costituzionale ha tuttavia ritenuto non fondati i dubbi così sollevati, osservando che:
– ferma restando l’insindacabilità da parte del giudice delle leggi della interpretazione evolutiva attribuita dalla Corte di Cassazione, in funzione nomofilattica, all’art. 20 in parola, siccome riferita alla causa concreta dell’atto ed alla rilevanza del collegamento negoziale, non può dirsi, diversamente da quanto affermato dal giudice remittente, che tale interpretazione sia l’unica costituzionalmente necessitata, essendo infatti compatibili con la Costituzione anche nozioni diverse di “atto presentato alla registrazione” e di “effetti giuridici” in relazione alle quali considerare la capacità contributiva espressa;
– la scelta del legislatore del 2017 di discrezionalmente escludere ogni rilevanza agli elementi extra-testuali ed ai negozi collegati (salvo che negli specifici casi desumibili da diverse disposizioni dello stesso TU Registro) deve ritenersi non arbitraria, ed anzi coerente con i principi ispiratori dell’imposta di registro e, in particolare, sia con la sua natura, storicamente riconosciuta, di “imposta d’atto”, sia con la tipizzazione tariffaria e per effetti giuridici, non economici, degli atti imponibili;
– la tesi dell’interpretazione dell’atto incentrata sulla nozione di causa reale non appare coerente con la sopravvenuta introduzione nell’ordinamento della L. n. 212 del 2000, art. 10 bis, poiché “consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di “indebiti” vantaggi fiscali e di operazioni “prive di sostanza economica”, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea)”.
La stessa questione di legittimità costituzionale già esaminata da C. Cost. n. 158/20 è stata sollevata, con ordinanza di rimessione 13 novembre 2019, anche dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bologna la quale ha altresì sottoposto al vaglio del giudice delle leggi, in via subordinata, la diversa ed ulteriore questione della legittimità costituzionale della cit. L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, in forza del quale la L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), “costituisce interpretazione autentica” del D.P.R. n. 131 del 1986, del censurato art. 20.
A detta della CTP (che ha sollevato la questione ex artt. 3,81,97,101,102,108 e 24 Cost.), l’attribuzione testuale di carattere interpretativo autentico alla norma innovativa (escludente il collegamento negoziale dall’attività di qualificazione dell’atto ex art. 20), sarebbe unicamente finalizzata a sancire la retroattività della novella (effetto tipico, appunto, delle norme di interpretazione autentica), e ciò in presenza di tre profili di irragionevolezza:
– la mancanza di un preesistente contrasto interpretativo, stante il consolidato orientamento di legittimità (poc’anzi riportato) secondo cui, al contrario, l’atto da registrare andrebbe qualificato anche in virtù del suo collegamento causale con atti ed elementi esterni;
– la non prevedibilità da parte degli operatori della innovazione apportata, costituente una sorta di “forzatura” del legislatore rispetto ad un quadro interpretativo che, sebbene in senso opposto, doveva ritenersi del tutto certo e non necessitante di chiarimenti;
– l’insussistenza di “motivi imperativi di interesse generale” giustificanti l’adozione eccezionale di una norma retroattiva, come tale destinata ad interferire anche sui procedimenti in corso e sulla “parità delle armi” tra i contendenti (art. 6 CEDU).
Ulteriori dubbi di legittimità sono poi stati dedotti sotto il profilo della menomazione delle ragioni di bilancio, della indebita ingerenza del legislatore nella sfera di autonomia del potere giudiziario, della violazione del diritto di difesa dell’amministrazione finanziaria nei giudizi da questa già radicati sulla base della precedente lettura dell’art. 20.
Orbene, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 39/21 (GU 17/3/21), ha richiamato – quanto alla legittimità in sé del nuovo testo dell’art. 20 – il convincimento di infondatezza della questione così come già emerso con la menzionata sentenza n. 158/20; ha quindi dichiarato inammissibili (ex artt. 24,81,97,101,102 e 108 Cost.), ovvero infondati (ex art. 3 Cost.), gli ulteriori dubbi di legittimità costituzionale sulla retroattività “per interpretazione autentica” della nuova disciplina.
In ordine a quest’ultimo profilo, ha osservato la Corte che:
– non è irragionevole attribuire efficacia retroattiva ad un intervento che abbia carattere di sistema come quello inciso, posto che il legislatore ha in tal modo “certamente fissato uno dei contenuti normativi riconducibili, più che all’ambito semantico di una singola disposizione, a quello dell’intero “impianto sistematico della disciplina sostanziale e procedimentale dell’imposta di registro”, dove la sua origine storica di “imposta d’atto” “non risulta superata dal legislatore positivo” (sentenza n. 158 del 2020)”; nemmeno, l’intervento può dirsi irragionevole quando esso sia determinato “dall’intento di rimediare a un’opzione interpretativa consolidata nella giurisprudenza (anche di legittimità) che si è sviluppata in senso divergente dalla linea di politica del diritto giudicata più opportuna dal legislatore (sentenza n. 402 del 1993)”, fermo restando che l’interpretazione di legittimità dell’art. 20, non risultava comunque del tutto monolitica, trovando anche forte dissenso nella dottrina;
– non può dirsi che la modificazione legislativa fosse a tal punto “imprevedibile” da palesarsi irragionevole (neppure nella sua attribuita efficacia retroattiva), ponendosi invece essa su un piano di rispettata “coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico”, secondo quanto già osservato con la sentenza 158/20;
– quanto alla asserita violazione del principio di uguaglianza, valgono i principi già evidenziati in quest’ultima pronuncia sul fatto che la disciplina del 2017 non leda l’art. 3 (e neppure l’art. 53 Cost.), dovendosi qui aggiungere (per quanto concerne lo specifico aspetto della retroattività) che nella giurisprudenza sovranazionale si riconosce che le norme della CEDU sono volte a tutelare i diritti della persona “contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione” e non viceversa”.
p. 2.3 All’esito del complesso iter normativo e giurisprudenziale così riassunto, la sentenza della commissione tributaria regionale qui impugnata non può dunque trovare condivisione, perché confermativa di un avviso di liquidazione basato proprio su un’attività di riqualificazione in termini di unitaria cessione aziendale di una serie collegata di atti (le plurime cessioni di quote della Maspero 28 srl), riconsiderati in ragione dei loro effetti economici e non giuridici.
Vale a dire, un’attività non più consentita dalla legge e dalla natura di “imposta d’atto” che, come osservato dalla Corte Costituzionale nella menzionata pronuncia, ancora oggi riveste l’imposta di registro.
Ne segue, in definitiva, la cassazione della sentenza impugnata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito, ex art. 384 c.p.c., mediante accoglimento del ricorso originario di parte contribuente ed annullamento dell’avviso di liquidazione opposto.
Attesi il sopravvenire in corso di causa dell’evoluzione normativa di cui si è dato conto ed il diverso orientamento interpretativo di legittimità sul quale questa evoluzione è intervenuta, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
PQM
La Corte:
– accoglie il ricorso;
– cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della parte contribuente;
– compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, mediante collegamento da remoto, il 22 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2021
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