Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.27628 del 11/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4169/2014 proposto da:

San Pellegrino Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via Marocco 18, St. Trivoli &

Ass. presso lo studio dell’avvocato Trivoli Alessandro che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Agenzia Delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 80/2013 della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA depositata il 27/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 22/09/2021 dal consigliere Dott. STALLA GIACOMO MARIA.

RILEVATO

che:

p. 1.1 La San Pellegrino spa propone cinque motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 80/36/13 del 27.6.2913, con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione in recupero di imposta proporzionale di registro (3 %) notificatole dall’agenzia delle entrate in sede di qualificazione come cessione unitaria di ramo aziendale (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20) della seguente operazione:

– 16 novembre 2006, costituzione da parte della società contribuente della Tione srl unip;

– 5 marzo 2007, aumento del capitale sociale di quest’ultima con sovrapprezzo;

– pari data, conferimento dalla San Pellegrino nella Tione srl, a copertura del sovrapprezzo, di ramo aziendale per l’esercizio di captazione, imbottigliamento e commercializzazione dell’acqua oligominerale “Sorgente Tione” in Orvieto;

– 8 marzo 2007, cessione dalla San Pellegrino alla “Fonti di Orvieto srl” dell’intera partecipazione del capitale sociale posseduto nella Tione srl.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che:

– legittimamente l’amministrazione finanziaria aveva riqualificato la cessione di quote in oggetto in termini di unitaria cessione di azienda, D.P.R. n. 131 del 1986 ex art. 20;

– in forza di tale articolata operazione, San Pellegrino aveva ottenuto di cedere a terzi, previo conferimento in società costituita ad hoc e successiva cessione della partecipazione societaria, il ramo aziendale pagando le imposte di registro in misura fissa;

– non sussistevano, a base dell’operazione in questione, motivazioni diverse dal mero risparmio elusivo di imposta.

p. 1.2 Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.

La ricorrente ha depositato memoria.

Con ordinanze interlocutorie in esito a procedimento camerale, il ricorso è stato rinviato a nuovo ruolo in attesa delle decisioni della Corte Costituzionale sul TUR, art. 20.

p. 2. Con i motivi di ricorso per cassazione la società deduce:

– (primo motivo) nullità della sentenza per omessa pronuncia sul motivo di opposizione concernente la nullità dell’avviso di liquidazione in questione per violazione delle garanzie di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, stante la natura antielusiva dell’avviso medesimo;

– (secondo motivo) nullità della sentenza per violazione del contraddittorio processuale, dal momento che la Commissione Tributaria Regionale aveva acriticamente recepito la qualificazione giuridica dell’atto e, in generale, le tesi difensive tutte dell’agenzia delle entrate, senza dare altresì conto delle argomentazioni difensive svolte da essa opponente; la violazione del contraddittorio aveva riguardato anche il procedimento amministrativo L. n. 212 del 2000 ex art. 12, comma 7;

– (terzo motivo) violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20 e 21, in quanto norme non legittimanti la considerazione, in sede di qualificazione dell’atto, del collegamento negoziale con atti diversi, rilevando soltanto l’unico atto presentato alla registrazione; ciò anche in considerazione del fatto che la norma imponeva di tenere conto degli effetti giuridici, non economici, dell’atto stesso;

– (quarto motivo) violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 176, in rapporto all’art. 12 preleggi, comma 2, in quanto legittimante sul piano fiscale reddituale la cessione di azienda mediante cessione di partecipazioni sociali;

– (quinto motivo) nullità della sentenza per extrapetizione in ordine alla mancata compensazione delle spese di lite, così come già disposta dal primo giudice senza che l’agenzia delle entrate avesse formulato appello incidentale sul punto.

p. 3. Osserva la Corte che va esaminato il terzo motivo di ricorso poiché, in applicazione del principio processuale della ragione più liquida desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. – deve ritenersi consentito al giudice di esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale. Ciò in considerazione del fatto che si impone un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello della stretta consequenzialità logico-sistematica, ed è quindi consentito sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 c.p.c.; ciò in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, come costituzionalizzata dall’art. 111 Cost.. Ne consegue che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole e pronta soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre (tra le altre, Cass. Sez. U, n. 9936 del 08/05/2014; Cass. n. 12002 del 28/05/2014; Cass.n. 11458 dell’11/5/2018; Cass.n. 363 del 9/1/2019).

Il motivo in questione è fondato sotto il profilo della effettiva violazione del TUR, art. 20, in tema di “interpretazione degli atti” assoggettati ad imposta di registro.

Si tratta di una disposizione di legge che è stata fatta oggetto – nel corso del presente giudizio – di modificazioni di diretta e fondamentale incidenza sul caso in esame.

La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a) (cd. legge di bilancio 2018) ne ha infatti modificato la previgente formulazione (“L’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”), la quale trova oggi una più circoscritta definizione normativa.

Ribadito il principio basilare di prevalenza della sostanza sulla forma, l’intervento legislativo di riforma – superando un opposto orientamento applicativo di legittimità – ha ristretto l’oggetto dell’interpretazione al solo atto presentato alla registrazione, ed agli elementi soltanto da quest’ultimo desumibili. Non rilevano quindi più, come espressamente indicato dal legislatore, gli elementi evincibili da atti eventualmente ad esso collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extrate-stuali: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

Successivamente a questa prima modificazione – ed anche in tal caso a seguito di un diverso avviso di legittimità – il legislatore è nuovamente intervenuto per affermare la natura interpretativa autentica, e dunque retroattiva, della nuova formulazione dell’art. 20, così come risultante dopo la cit. L. n. 205 del 2017.

Il 1^ gennaio 2019, infatti, è entrato in vigore la L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084 (bilancio di previsione per l’anno 2019), secondo cui: “La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del testo unico di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1”.

Dal che si evince come la riformulazione in esame (nel senso della esclusione, dal processo di qualificazione dell’atto, degli elementi extratestuali e di collegamento negoziale) si renda applicabile – fermi i rapporti di registrazione ormai esauriti o coperti dal giudicato – anche agli atti negoziali posti in essere, come quello qui dedotto, prima del 1 gennaio 2018.

A completare la ricostruzione del travagliato quadro interpretativo, va detto che questa corte di legittimità, con la già citata ordinanza n. 23549/19, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in rapporto agli artt. 53 e 3 Cost., dell’art. 20 così come risultante dagli interventi apportati dai citati L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, (L. di bilancio 2018) e L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084 (L. di bilancio 2019), “nella parte in cui dispone che, nell’applicare l’imposta di registro secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso, “prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi””.

Richiamato il pregresso consolidato orientamento di legittimità sulla rilevanza qualificatoria della causa concreta del contratto e del collegamento negoziale, ed assodato che anche in base alla riforma del 2017 l’interpretazione dell’atto deve rispondere (indipendentemente da finalità antielusive) a criteri di sostanza e non puramente formali e nominali, si è in sintesi ritenuto che l’esclusione, dall’attività di qualificazione, degli elementi extra-testuali e di collegamento negoziale potesse fondatamente incidere sia sul principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), impedendo di cogliere il reale sostrato economico risultante dall’atto presentato alla registrazione (inteso non come documento ma quale complesso negoziale con causa unitaria); sia sul principio di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), sottraendo ad imposizione di registro manifestazioni di forza economica non razionalmente e coerentemente differenziabili sulla base del solo fatto esteriore che le parti abbiano stabilito di attuare il proprio assetto di interessi con un unico atto negoziale piuttosto che con più atti tra loro collegati.

Con la, anch’essa già citata, sentenza n. 158/2020 (GU 22/7/2020) la Corte Costituzionale ha tuttavia ritenuto non fondati i dubbi così sollevati, osservando che:

– ferma restando l’insindacabilità da parte del giudice delle leggi della interpretazione evolutiva attribuita dalla Corte di Cassazione, in funzione nomofilattica, all’art. 20 in parola, siccome riferita alla causa concreta dell’atto ed alla rilevanza del collegamento negoziale, non può dirsi, diversamente da quanto affermato dal giudice remittente, che tale interpretazione sia l’unica costituzionalmente necessitata, essendo infatti compatibili con la Costituzione anche nozioni diverse di “atto presentato alla registrazione” e di “effetti giuridici” in relazione alle quali considerare la capacità contributiva espressa;

– la scelta del legislatore del 2017 di discrezionalmente escludere ogni rilevanza agli elementi extra-testuali ed ai negozi collegati (salvo che negli specifici casi desumibili da diverse disposizioni dello stesso TU Registro) deve ritenersi non arbitraria, ed anzi coerente con i principi ispiratori dell’imposta di registro e, in particolare, sia con la sua natura, storicamente riconosciuta, di “imposta d’atto”, sia con la tipizzazione tariffaria e per effetti giuridici, non economici, degli atti imponibili;

– la tesi dell’interpretazione dell’atto incentrata sulla nozione di causa reale non appare coerente con la sopravvenuta introduzione nell’ordinamento della L. n. 212 del 2000, art. 10 bis, poiché “consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di “indebiti” vantaggi fiscali e di operazioni “prive di sostanza economica”, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea)”.

La stessa questione di legittimità costituzionale già esaminata da C.Cost. 158/20 è stata sollevata, con ordinanza di rimessione 13 novembre 2019, anche dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bologna la quale ha altresì sottoposto al vaglio del giudice delle leggi, in via subordinata, la diversa ed ulteriore questione della legittimità costituzionale del cit. L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, in forza del quale la L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), “costituisce interpretazione autentica” del censurato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20.

A detta della CTP (che ha sollevato la questione ex artt. 3,81,97,101,102,108 e 24 Cost.) l’attribuzione testuale di carattere interpretativo autentico alla norma innovativa (escludente il collegamento negoziale dall’attività di qualificazione dell’atto ex art. 20) sarebbe unicamente finalizzata a sancire la retroattività della novella (effetto tipico, appunto, delle norme di interpretazione autentica), e ciò in presenza di tre profili di irragionevolezza:

– la mancanza di un preesistente contrasto interpretativo, stante il consolidato orientamento di legittimità (poc’anzi riportato) secondo cui, al contrario, l’atto da registrare andrebbe qualificato anche in virtù del suo collegamento causale con atti ed elementi esterni;

– la non prevedibilità da parte degli operatori della innovazione apportata, costituente una sorta di “forzatura” del legislatore rispetto ad un quadro interpretativo che, sebbene in senso opposto, doveva ritenersi del tutto certo e non necessitante di chiarimenti;

– l’insussistenza di “motivi imperativi di interesse generale” giustificanti l’adozione eccezionale di una norma retroattiva, come tale destinata ad interferire anche sui procedimenti in corso e sulla “parità delle armi” tra i contendenti (art. 6 CEDU).

Ulteriori dubbi di legittimità sono poi stati dedotti sotto il profilo della menomazione delle ragioni di bilancio, della indebita ingerenza del legislatore nella sfera di autonomia del potere giudiziario, della violazione del diritto di difesa dell’amministrazione finanziaria nei giudizi da questa già radicati sulla base della precedente lettura dell’art. 20.

Orbene, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 39/21 (GU 17/3/21), ha richiamato – quanto alla legittimità in sé del nuovo testo dell’art. 20 – il convincimento di infondatezza della questione così come già emerso con la menzionata sentenza n. 158/20; ha quindi dichiarato inammissibili (ex artt. 24,81,97,101,102 e 108 Cost.), ovvero infondati (ex art. 3 Cost.), gli ulteriori dubbi di legittimità costituzionale sulla retroattività “per interpretazione autentica” della nuova disciplina.

In ordine a quest’ultimo profilo, ha osservato la Corte che:

– non è irragionevole attribuire efficacia retroattiva ad un intervento che abbia carattere di sistema come quello inciso, posto che il legislatore ha in tal modo “certamente fissato uno dei contenuti normativi riconducibili, più che all’ambito semantico di una singola disposizione, a quello dell’intero “impianto sistematico della disciplina sostanziale e procedimentale dell’imposta di registro”, dove la sua origine storica di “imposta d’atto” “non risulta superata dal legislatore positivo” (sentenza n. 158 del 2020)”; nemmeno, l’intervento può dirsi irragionevole quando esso sia determinato “dall’intento di rimediare a un’opzione interpretativa consolidata nella giurisprudenza (anche di legittimità) che si è sviluppata in senso divergente dalla linea di politica del diritto giudicata più opportuna dal legislatore (sentenza n. 402 del 1993)”, fermo restando che l’interpretazione di legittimità dell’art. 20 non risultava comunque del tutto monolitica, trovando anche forte dissenso nella dottrina;

– non può dirsi che la modificazione legislativa fosse a tal punto “imprevedibile” da palesarsi irragionevole (neppure nella sua attribuita efficacia retroattiva), ponendosi invece essa su un piano di rispettata “coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico”, secondo quanto già osservato con la sentenza 158/20;

– quanto alla asserita violazione del principio di uguaglianza, valgono i principi già evidenziati in quest’ultima pronuncia sul fatto che la disciplina del 2017 non leda l’art. 3 Cost. (e neppure l’art. 53 Cost.), dovendosi qui aggiungere (per quanto concerne lo specifico aspetto della retroattività) che “nella giurisprudenza sovranazionale si riconosce che le norme della CEDU sono volte a tutelare i diritti della persona “contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione” e non viceversa”.

p. 4. All’esito del complesso iter normativo e giurisprudenziale così riassunto, la sentenza della commissione tributaria regionale qui impugnata non può dunque trovare condivisione, perché confermativa di un avviso di liquidazione basato proprio su un’attività di riqualificazione in termini di unitaria cessione aziendale di una serie collegata di atti, riconsiderati in ragione dei loro effetti economici e non giuridici.

Vale a dire, un’attività non più consentita dalla legge e dalla natura di “imposta d’atto” che, come osservato dalla Corte Costituzionale nella menzionata pronuncia, ancora oggi riveste l’imposta di registro.

Ne segue, in definitiva, la cassazione della sentenza impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito, ex art. 384 c.p.c., mediante accoglimento del ricorso originario di parte contribuente ed annullamento dell’avviso di liquidazione opposto.

Attesi il sopravvenire in corso di causa dell’evoluzione normativa di cui si è dato conto ed il diverso orientamento interpretativo di legittimità sul quale questa evoluzione è intervenuta, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte:

– accoglie il ricorso;

– cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della parte contribuente;

– compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della quinta sezione civile mediante collegamento da remoto, il 22 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2021

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