Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27777 del 12/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 961-2020 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

SANTA MARIA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MONICA MENNELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6256/11/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il 20/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO DELLI PRISCOLI.

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la società contribuente proponeva ricorso avverso avviso di accertamento per IRES e altro relativo all’anno di imposta 2008, derivante da una attività ispettiva avente ad oggetto le movimentazioni bancarie relative alla società Santa Maria s.r.l. e ai suoi soci;

la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente e la Commissione Tributaria Regionale del Lazio rigettava l’appello dell’Agenzia delle entrate affermando che nel caso dei conti cointestati dell’amministratore e socio P.S. con P.P. e con P.G., tenuto conto che i cointestatari avevano redditi propri e non erano nel 2008 soci della società, risulta corretto attribuire all’amministratore e ad entrate societarie solo quanto può correttamente attribuirsi, dai conti in questione, a S., in base alla presunzione che le entrate appartengano per la metà a ciascuno dei cointestatari del conto; la somma di 9.000 Euro, poi, ben può costituire la retribuzione di G., quale dipendente, data in un’unica tranche, dopo che la società aveva acquisito notevoli entrate. Quanto ai prelevamenti a mezzo bancomat, devono attribuirsi a spese personali, per presunzione, data la minima entità (non più di cinquecento Euro giornalieri) e mancando prova contraria. Non vi sono altresì motivi per negare che la somma di 3.800 Euro costituisca il rimborso di un prestito per spese funerarie.

Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia delle entrate, affidato a due motivi di impugnazione, mentre la parte contribuente si costituiva con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e dell’art. 2697 c.c. per non avere fatto un uso corretto dei principi in tema di distribuzione dell’onere della prova fra Ufficio e parte contribuente, in quanto il rapporto di parentela è sufficiente a giustificare una presunzione di riferibilità al contribuente del conto cointestato.

Considerato che con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, nonché degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. per non avere fatto un uso corretto dei principi in tema di distribuzione dell’onere della prova fra Ufficio e parte contribuente, in quanto la sentenza impugnata afferma che le movimentazioni bancarie fossero adeguatamente giustificate in virtù di argomentazioni generiche e inconsistenti e che l’Ufficio non ha provato la non riconducibilità a spese personali degli stessi.

I motivi, che possono essere affrontati congiuntamente in quanto vertono entrambi sulla corretta distribuzione degli oneri probatori fra le parti, sono entrambi fondati.

Secondo questa Corte infatti:

in tema d’IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, consente all’Amministrazione finanziaria di procedere alla rettifica della dichiarazione su basi presuntive utilizzando i dati relativi ai movimenti su tutti i conti correnti bancari intrattenuti del contribuente, anche se cointestati ad un terzo estraneo all’impresa, sicché non è sufficiente ad escludere l’operatività della presunzione legale il mero riferimento alla contitolarità del conto con il coniuge non impiegato nell’azienda ed alla commistione tra consumi familiari ed attività imprenditoriale, essendo necessaria la prova analitica dell’estraneità ai fatti imponibili degli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria (Cass. n. 24292 del 2020; Cass. n. 20981 del 2015);

in tema di Iva, l’accertamento fiscale svolto attraverso acquisizioni bancarie ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 3, n. 7, (nel testo applicabile “ratione temporis”) non è limitato ai soli conti bancari o postali o ai libretti di deposito intestati al titolare dell’azienda individuale o alla società, ma, in presenza di elementi sintomatici (quali il rapporto di stretta contiguità familiare, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta, l’infedeltà della dichiarazione, l’attività di impresa compatibile con la produzione di utili o, come nella specie, l’essere quella oggetto di verifica un’impresa familiare) può essere esteso anche a quelli intestati a terzi (Cass. n. 1174 del 2021);

in tema di accertamenti bancari, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze (Cass. n. 13112 del 2020, Cass. n. 30786 del 2018);

in tema di accertamenti sui redditi di società di persone a ristretta base familiare, l’Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri attribuitigli dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, riferendo alla società le operazioni ivi riscontrate, perché la relazione di parentela tra i soci è idonea a far presumere la sostanziale sovrapposizione tra interessi personali e societari, identificandosi gli interessi economici in concreto perseguiti dalla società con quelli propri dei soci, salva la facoltà dell’ente di dimostrare l’estraneità delle singole operazioni alla comune attività d’impresa (Cass. n. 30098 del 2018; Cass. n. 15006 del 2017);

la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti (Cass. n. 29572 del 2018);

il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni bancarie a fatti imponibili (Cass. n. 22418 del 2020; Cass. n. 10480 del 2018) senza che assuma alcuna rilevanza la sua qualifica soggettiva di lavoratore dipendente, autonomo o imprenditore, dato che la presunzione legale relativa alla prima parte del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 (consistente nel fatto che i “dati” e gli “elementi” acquisiti attraverso le indagini bancarie possono essere posti a base degli accertamenti e rettifiche, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38-41, D.P.R. n. 633 del 1972, degli artt. 54 e 55 per l’IVA, se il contribuente non dimostra di averne tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta, o che essi non hanno rilevanza allo stesso fine), trova applicazione anche a soggetti diversi dagli imprenditori e dai lavoratori autonomi in virtù della portata generale del disposto normativo (Cass. n. 22418 del 2020; Cass. n. 15050 del 2014).

La Commissione Tributaria Regionale non si è attenuta ai suddetti principi là dove – affermando che nel caso dei conti cointestati dell’amministratore e socio P.S. con P.P. e con P.G., tenuto conto che i cointestatari avevano redditi propri e non erano nel 2008 soci della società, risulta corretto attribuire all’amministratore e ad entrate societarie solo quanto può correttamente attribuirsi, dai conti in questione, a S., in base alla presunzione che le entrate appartengano per la metà a ciascuno dei cointestatari del conto; la somma di 9.000 Euro, poi, ben può costituire la retribuzione di G., quale dipendente, data in un’unica tranche, dopo che la società aveva acquisito notevoli entrate – per un verso ha trascurato che non è sufficiente ad escludere l’operatività della presunzione legale della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari il mero riferimento alla contitolarità del conto con il parente non impiegato nell’azienda ed alla commistione tra consumi familiari ed attività imprenditoriale, essendo necessaria la prova analitica dell’estraneità ai fatti imponibili degli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria e per un altro verso non ha distribuito in maniera corretta l’onere della prova gravando della stessa eccessivamente, in maniera erronea, l’Ufficio, perché non ha considerato l’esistenza di una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente solo attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze, circostanze che non si sono realizzate nel caso di specie.

Ritenuto pertanto che i motivi di impugnazione dell’Agenzia delle entrate sono entrambi fondati e che conseguentemente il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2021

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