LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. ARMONE Giovanni Maria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29481-2015 proposto da:
O.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALFREDO FERRARI;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 43/2015 della COMM. TRIBUTARIA II GRADO di TRENTO, depositata il 19/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/06/2021 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MARIA ARMONE.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. il signor O.L. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado di Trento n. 43/01/15, depositata il 19 maggio 2015, con cui, in sede di rinvio, è stato accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate, con conseguente riforma della sentenza di primo grado e conferma dell’avviso di accertamento notificato al contribuente, relativo a IRPEF, IRAP e IVA per l’anno 2003;
2. il ricorso è affidato a cinque motivi ed è illustrato con memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.;
3. l’Agenzia delle entrate resiste mediante controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 39, comma 1, lett. d), per mancanza dei presupposti richiesti per procedere alla rettifica del reddito;
2. con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 39 c.c., comma 1, lett. d), dell’art. 2729 c.c.;
3. con il terzo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione;
4. con il quarto motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., per averla condannata alla rifusione delle spese di lite anche del giudizio di cassazione in assenza di motivazione;
5. con il quinto motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 91 c.p.c., per averla condannata alla rifusione delle spese di lite anche del giudizio di cassazione nel quale pure essa era risultata vittoriosa;
6. il primo motivo è per un verso infondato, per altro inammissibile;
7. la sentenza oggi impugnata era chiamata – a seguito dei rilievi contenuti nell’ordinanza di questa S.C. n. 27429 del 2013, con cui era stata cassata con rinvio la precedente sentenza d’appello – a tener conto dei dati fattuali di causa e, di conseguenza, a verificare la sussistenza dei presupposti per l’adozione dello strumento induttivo di accertamento;
8. la CTR, a pag. 4 della sentenza, ha affermato che l’accertamento effettuato dall’Ufficio nel caso di specie era stato di tipo analitico-induttivo, da ricondurre dunque al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, e che nell’ambito di esso l’Amministrazione aveva fatto ricorso a presunzioni dotate dei requisiti di precisione gravità e concordanza richiesti dall’art. 2727 c.c.;
9. a tale conclusione, la CTR è giunta dopo aver constatato irregolarità formali delle scritture contabili: “risulta infatti che la ditta O., anziché eseguire giornalmente le registrazioni, come prescrive il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 243, annotava i corrispettivi globalmente, con la data dell’ultimo giorno del mese” (pag. 5 della sentenza); in presenza di tali irregolarità, l’Agenzia si sarebbe vista costretta “ad eseguire un raffronto fra i dati dei registri IVA ed i movimenti del conto corrente, al cui esito riscontrava la paradossale permanenza di un saldo negativo della cassa contanti, in quanto l’importo totale dei movimenti in uscita non era mai coperto dalla situazione attiva, sintomo evidente della fittizietà delle annotazioni contabili” (pag. 5);
10. in tal modo, la sentenza si sottrae alle censure che le vengono mosse con il primo motivo;
11. come più volte precisato da questa S.C. (v. da ultimo Cass. n. 6861 del 08/03/2019, Rv. 653077-01), l’accertamento analitico-induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), è quello che muove dalla incompletezza, falsità o inesattezza di singole componenti della contabilità e procede alla rettifica dei redditi dell’impresa e alla conseguente eventuale rideterminazione dell’imposta dovuta; esso si distingue da quello induttivo puro per il fatto che la “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l’Ufficio accertatore può solo completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c.;
12. affinché dunque un accertamento di tal genere possa dirsi illegittimo, con conseguente illegittimità della sentenza che lo avalli, occorre: a) o che non sussista alcuna irregolarità sostanziale della contabilità; b) o che vi sia un vizio del ragionamento presuntivo che muova dalla irregolarità pur riscontrata, vizio da far valere secondo le regole generali sulla sindacabilità di tale forma di inferenza probatoria;
13. per quanto riguarda l’aspetto sub a), va osservato che il saldo negativo di cassa e l’irregolare annotazione sul libro giornale (non negata dal ricorrente, allorché a pag. 7 del ricorso afferma “se è vero che gli incassi sono stati registrati nel mastrino del conto cassa solo il giorno finale di ciascun mese”) costituiscono formali e sostanziali difformità contabili, dovendosi pertanto giudicare infondata l’affermazione, contenuta in ricorso, secondo cui “i presupposti richiesti dalla disposizione in esame per procedere alla rettifica del reddito risultano insussistenti” (pag. 6 del ricorso);
14. in senso contrario, non basta contrapporre alla irregolare annotazione la registrazione fatta nel registro dei corrispettivi, sul presupposto che la ditta avrebbe di fatto utilizzato “il registro dei corrispettivi quale sezionale del libro giornale” (v. pag. 7 del ricorso), poiché un simile tipo di censura costituisce un invito alla rivisitazione dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito, come tale inammissibile;
15. né può dirsi che la mancata considerazione della annotazione nel registro dei corrispettivi possa rilevare come vizio di motivazione nei ristretti limiti oggi consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, ossia come omesso esame di un fatto decisivo e controverso per il giudizio: non solo e non tanto perché il ricorrente non ha rubricato in tal senso la censura, ma perché non ha dato conto di aver fatto valere tale omissione nel corso del giudizio di merito e dunque non ha dimostrato che il fatto che assume trascurato dal giudice di merito fosse stato portato alla sua attenzione nel corso del processo e possa pertanto dirsi controverso;
16. quanto ai presunti vizi che colpirebbero il ragionamento presuntivo, va osservato che la sentenza impugnata ha dato ampio conto sia dei fatti noti da cui ha preso le mosse l’accertamento sia delle ragioni per cui tali fatti costituissero indizi gravi e, unitariamente considerati, concordanti;
17. anche sotto questo profilo, la sentenza è pertanto immune dai vizi denunciati con il primo motivo;
18. parimenti infondato è il secondo motivo;
19. la CTR ha affermato che l’accertamento dell’Amministrazione non si è basato sugli studi di settore, in tal modo espressamente sconfessando la censura già mossa in appello (pag. 6);
20. parte ricorrente reitera in sede di legittimità la stessa contestazione (v. pag. 10, dove afferma che “l’Agenzia delle Entrate ha fatto riferimento agli Studi di settore, su cui ha basato il primo passaggio di tutto il procedimento ricostruttivo”), ma in tal modo finisce anche sotto questo aspetto con il pretendere che il Collegio metta in discussione un accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito;
21. la censura è tra l’altro contraddittoria con quella mossa con il primo motivo: se infatti si riconosce, sia pure per negarne l’idoneità, che la sentenza impugnata ha preso le mosse dalla irregolarità contabile costituita dalla mancata annotazione sul libro giornale per costruire l’accertamento presuntivo dei maggiori redditi, si sta implicitamente confermando che l’accertamento compiuto è di tipo analitico-induttivo;
22. il terzo, il quarto e il quinto motivo, da trattarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati;
23. tutti tali motivi ruotano intorno alla circostanza che il giudice del rinvio avrebbe addossato all’ O. anche le spese del precedente giudizio di legittimità;
24. secondo il ricorrente, la sentenza oggi impugnata sarebbe viziata, sotto il profilo della pronuncia sulle spese: a) per avere omesso di decidere sull’espressa richiesta in tal senso formulata dall’odierno ricorrente; b) per difetto di motivazione; c) per averlo condannato alle spese di un giudizio, quello di legittimità, in cui lo stesso era risultato vittorioso, avendo la Cassazione accolto il ricorso da lui proposto e, con ordinanza di manifesta fondatezza, cassato con rinvio la precedente sentenza d’appello;
25. il terzo e il quarto motivo sono palesemente infondati, poiché il giudice del rinvio, condannando l’ O. al pagamento di tutte le spese sulla base della soccombenza (v. la sintetica ma esaustiva formula che chiude la sentenza), si è certamente pronunciato sulla richiesta di rifusione delle spese, rigettandola, e ha motivato tale scelta appunto con la soccombenza;
26. anche il quinto motivo è infondato, poiché la scelta compiuta dal giudice del rinvio e il richiamo alla soccombenza rendono la sua decisione non solo adeguatamente motivata, ma anche corretta, conformandosi al principio costantemente affermato da questa Corte e pienamente condiviso dal Collegio, secondo cui il giudice del rinvio ben può regolare secondo l’esito definitivo della lite e con considerazione globale di essa, secondo il criterio della soccombenza finale, anche nel caso in cui la lite abbia percorso più fasi con alterne vicende per le parti, inclusa l’ipotesi in cui il ricorrente vittorioso in via provvisoria nel giudizio di legittimità, risulti soccombente in via definitiva (Cass. 12/09/2014, n. 19345, Rv. 633115-01, Cass. 07/02/2007, n. 2634, Rv. 594750-01);
27. il ricorso va in conclusione rigettato;
28. le spese seguono la soccombenza e si liquidando nella misura indicata in dispositivo;
29. inoltre, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidandole in complessivi Euro 7.200,00, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2021
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