LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto ai n. 17880/2015 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12.
– ricorrente –
Contro
Ita Costruzioni s.r.l. in liquidazione e in concordato preventivo, persona del liquidatore societario e del liquidatore giudiziale, rappresentata e difesa dall’Avv. Marco Spadaro, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Claudio Misiani in Roma, viale Mazzini, 142, per procura speciale a margine al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 1795/16/15, depositata il 29.4.2015, notificata in data 5.5.2015.
Udita la relazione svolta alla udienza camerale del 23.6.2021 dal Consigliere Rosaria Maria Castorina.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1795/16/15, depositata il 29.4.2015, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di Ita Costruzioni s.r.l. avverso la sentenza della CTP di Siracusa che aveva accolto il ricorso della contribuente sulla impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l’ufficio recuperava a tassazione per l’anno di imposta 2005, per indebita detrazione IVA, la somma di Euro93.200,00 oltre sanzioni ed interessi.
Si contestava alla società che nelle fatture emesse dalle società Effepi Tecnologie applicate s.r.l. e Sircantieri era stata applicata l’Iva nella misura del 20% anzicché del 10%, per cui veniva recuperato il 10% indebitamente detratto.
La CTR affermava che non fosse ipotizzabile alcuna indebita detrazione Iva da parte della società appellata, anche perché le fatture ricevute erano state interamente pagate, compresa l’Iva nella percentuale richiesta, tramite bonifici bancari, così come provato dalla società e non contestato dall’Ufficio.
Avverso la decisione l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
La contribuente resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo l’Ufficio deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c.; del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
2. Con il secondo motivo deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per la causa, oggetto di discussione tra le parti, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Con il terzo motivo il vizio veniva declinato come omessa pronuncia.
Lamenta che la CTR non aveva erroneamente ritenuto sussistente l’antieconomicità senza prendere in considerazione la decisiva circostanza del legame familiare esistente con gli esponenti delle società sub-appaltatrici; la remunerazione dei cui appalti determinava l’incidenza dei costi sui ricavi pari all’83%; i reciproci rapporti contrattuali rendevano inattendibili i ricavi dichiarati per i lavori di cui al cantiere Fastaia; l’applicazione dell’aliquota del 20% anzicché del 10% nelle fatture emesse dalla EFFEPI e dalla Sircantieri non era il frutto di un mero errore quanto piuttosto circostanza strategicamente voluta.
Le censure sono suscettibili di trattazione congiunta. Esse sono inammissibili.
Con l’avviso di accertamento impugnato è stata recuperata a tassazione l’Iva indebitamente detratta derivante dalle fatture emesse dalle società Effepi Tecnologie applicate s.r.l. e Sircantieri alle quali era stata applicata l’Iva nella misura del 20% anzicché del 10%.
La CTR ha osservato: “L’Ufficio insiste nella tesi prospettata che l’aliquota applicata in percentuale maggiore di quella dovuta, sarebbe stata scientemente posta in essere per ottenere fraudolentemente una detrazione maggiore di quella dovuta da parte della Ita costruzioni destinataria delle fatture. Nella prospettazione dell’ufficio si tratterebbe di fatture “di comodo” sinonimo di “fatture inesistenti”, emesse dalle società subappaltatrici in liquidazione che non hanno poi pagato l’imposta dovuta. La tesi dell’Ufficio troverebbe conferma nella circostanza che tra i soci delle società coinvolte sussisterebbero dei rapporti di parentela. Deve però osservarsi che, come ritenuto dallo stesso Ministro delle Finanze (R.M. 334298/198) nel caso in cui sia stata emessa fattura, regolarmente registrata dal cessionario con applicazione di una aliquota superiore a quella dovuta e risultante anche nell’esemplare in possesso dell’emittente e la relativa imposta venga portata in detrazione, non è ravvisabile l’esercizio di indebita detrazione…. Non è quindi ipotizzabile alcuna indebita detrazione Iva da parte della società appellata, anche perché le fatture ricevute sono state dalla stessa interamente pagate, compresa l’Iva nella percentuale richiesta, tramite bonifici bancari, così come risulta provato dalla società e non contestato dall’Ufficio non sussistendo nel nostro sistema tributario la categoria delle fatture di comodo ipotizzata dall’Ufficio”.
La ratio che sorregge la sentenza non è stata adeguatamente impugnata non cogliendo nel segno la censura di antieconomicità delle operazioni verificate che fa riferimento all’accertamento induttivo dei redditi d’impresa, nella specie non contestato e la circostanza del legame familiare esistente con gli esponenti delle società subappaltatrici, la remunerazione dei cui appalti determinava l’incidenza dei costi sui ricavi nella misura dell’83%, estraneo alla ripresa Iva oggetto di causa.
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 4000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi e oltre rimborso forfettario spese generali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2021