Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.30316 del 27/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10959/2015 proposto da:

ENTE FORESTE DELLA SARDEGNA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLA FALCONIERI, 100, presso lo studio dell’avvocato PAOLA FIECCHI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE MACCIOTTA;

– ricorrente –

contro

P.A.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 279/2014 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, depositata il 31/10/2014 R.G.N. 22/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/05/2021 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’.

RITENUTO

Che:

1. la Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, riformando la pronuncia del Tribunale di quest’ultima città, ha accolto la domanda con cui P.V.A. aveva domandato nei confronti dell’Ente Foreste della Sardegna (di seguito EFS, nei cui rapporti ora è subentrata ai sensi della L.R. n. 8 del 2016, art. 35, comma 6, l’Agenzia forestale regionale per lo sviluppo del territorio e dell’ambiente della Sardegna – Forestas) il pagamento del rimborso previsto dall’art. 5 del Contratto Integrativo Regionale per gli operai forestali che operassero per più di cinque ore fuori dalla sede ordinaria di lavoro senza possibilità, per ragioni di servizio, di rientrare in sede per la normale consumazione del pasto;

2. la Corte territoriale riteneva che incombesse sul datore l’allegazione della possibilità o meno di rientro in sede, poiché riguardante profilo attinente solo all’organizzazione del lavoro, rilevando come fosse mancata una corrispondente deduzione della parte convenuta;

inoltre, pur trattandosi di importi da corrispondere con la busta paga, la Corte territoriale riteneva che, per essi, non valesse la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948 c.c., n. 4, destinata solo ai pagamenti a titolo retributivo e non ai rimborsi spese, di cui quegli importi avevano la consistenza;

l’Ente Foreste veniva pertanto condannato al pagamento in favore del P. della somma di Euro 6.409,78 oltre accessori;

3. EFS ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, mentre il P. è rimasto intimato;

EFS ha infine depositato memoria.

CONSIDERATO

Che:

1. la notifica del ricorso è stata effettuata nei confronti di ” P.A.V.”, come anche a tale nome e cognome si fa riferimento nell’atto;

in realtà, dalla sentenza impugnata, come anche dagli altri atti di parte dell’Ente del giudizio di merito, si evince che il cognome corretto della parte è ” P.”;

l’indicazione di ” P.V.A.” in luogo di ” P.V.A.” è dunque frutto, come precisa lo stesso EFS nella memoria finale, di errore materiale, nel senso che il ricorso per cassazione va riferito a quella persona, che è stata parte del giudizio di merito definito con la sentenza impugnata;

tale difformità, data l’evidente riconoscibilità dell’errore, è peraltro del tutto inidonea ad inficiare in alcun modo la validità del ricorso e della sua notificazione;

quest’ultima risulta poi avviata il 20.4.2015 e si è perfezionata il successivo 21.4.2015, sicché rispetto alla sentenza, che risulta pubblicata il 31.10.2014, è rispettato, in assenza di notificazione del provvedimento, il termine lungo semestrale di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1;

2. con il primo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del combinato disposto dell’art. 414 c.p.c., art. 164 c.p.c., comma 5, dell’art. 37 del Contratto Integrativo Regionale (di seguito CIRL) del 1997 e dell’art. 5 del CIRL del 2004, nonché del combinato disposto dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., sostenendosi che erroneamente la Corte territoriale aveva inteso la sentenza di primo grado come declaratoria di nullità del ricorso introduttivo, per omessa allegazione dell’impossibilità di rientro per il pranzo in sede, trattandosi invece di pronuncia di rigetto nel merito, per mancata allegazione di quella circostanza, con modus operandi che aveva finito per violare l’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., attraverso una decisione di secondo grado, nel merito, sulla base di fatti non allegati da chi ne era onerato;

il secondo motivo denuncia direttamente la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte erroneamente ritenuto che l’impossibilità del rientro in sede costituisse fatto impeditivo del diritto azionato, mentre si trattava viceversa di fatto costitutivo;

3. i due motivi, data la loro connessione logica, possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati, nei limiti in cui si va a dire; la loro considerazione sollecita intanto la precisazione della portata delle diverse attività riguardanti l’introduzione dei fatti nel processo;

infatti, il ricorrente, pur sostenendo che la Corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che il Tribunale avesse ritenuto nullo il ricorso, propugna poi, in alcuni passaggi del primo motivo, il rigetto della pretesa avversaria sul solo fondamento di quella mancanza di allegazione;

3.1 il diritto qui azionato (diritto di credito all’indennità per mancata mensa) dipende in effetti da tre fatti, ovverosia dallo svolgimento dell’attività lavorativa fuori sede, dal superamento delle cinque ore di lavoro e dall’impossibilità di rientrare in sede per il pranzo;

può dunque già affermarsi l’erroneità dell’affermazione della Corte territoriale secondo cui l’impossibilità di rientrare per il pranzo sarebbe fatto impeditivo del diritto rivendicato, in quanto anche sul piano letterale, se si trattasse di eccezione, si dovrebbe avere riguardo alla possibilità di rientro e non all’impossibilità, che è ciò su cui invece fa leva la disposizione;

4. l’equivoco che pervade gli atti di causa in ordine al ricorrere, nel caso di specie, sulla base del solo contenuto del ricorso introduttivo, di una nullità del ricorso o già dei presupposti per il rigetto nel merito, si radica a ben vedere nella portata polisensa, sotto il profilo tecnico processuale, del termine “allegazioni” o del suo omologo “deduzioni”;

5. sono infatti cose diverse l’introduzione in giudizio di quanto è strettamente necessario ad individuare il diritto oggetto del processo (causa petendi) o l’oggetto della pretesa (petitum), da ciò che riguarda il più ampio ambito dei fatti di causa;

lasciando da parte, perché qui non interessa, il tema delle deduzioni riferite al petitum, fanno certamente riferimento al primo fenomeno, ovverosia alla determinazione dell’oggetto del processo sotto il profilo della causa petendi, le norme del codice di rito con cui si richiede che gli atti introduttivi contengano l’esposizione dei fatti “costituenti le ragioni della domanda” (art. 163 c.p.c., n. 4) o “sui quali si fonda la domanda” (art. 414 c.p.c., n. 4);

sempre a tale aspetto ha riguardo la norma generale dell’art. 164 c.p.c., commi 4 e 5, che sanziona come invalidi gli atti introduttivi rispetto ai quali “manca” tale esposizione di fatti;

i diritti di credito si riportano poi tradizionalmente alla categoria dei c.d. diritti eteroindividuati, sicché, rispetto ad essi, in ragione della conformazione dello specifico fenomeno giuridico interessato, per l’individuazione dell’oggetto del processo varranno sia i fatti costitutivi della fattispecie (ovverosia quello che si dice il “titolo”), sia altri elementi, come, in presenza di crediti che possano ripetutamente maturare tra le stesse parti, quelli riguardanti la loro cadenza temporale;

tuttavia, il ragionamento non tollera esasperazioni, né per quanto riguarda le modalità di ingresso nel processo dei fatti individuativi, né sotto il profilo della esatta ed immutabile precisione delle circostanze, in ogni loro minimo connotato;

5.1 infatti, sotto il profilo delle regole di ingresso dei fatti individuativi, le norme richiamate, se indicano, con la dizione “esposizione dei fatti”, la modalità canonica della forma narrativa scritta, certamente non escludono, anche in ragione della funzionalità di fondo del processo rispetto al proprio scopo di addivenire alla pronuncia di merito, che gli atti narrativi debbano essere intesi in una con il contesto in cui si inseriscono, attraverso un’interpretazione complessiva delle attività processuali;

non vi è pertanto da escludere che, ad esempio, il fatto in sé dell’evocazione di una certa norma di diritto valga in sé, in certi casi, ad acquisire al processo l’affermazione implicita del ricorrere dei fatti costitutivi in essa indicati;

analogamente, anche le produzioni documentali, ove contestualizzate logicamente rispetto agli atti di parte, possono contribuire ad identificare l’oggetto del processo;

pertanto, fermo che l’oggetto del processo va delimitato con gli atti introduttivi e con quelli che, in ragione della disciplina del rito, consentono la modificazione delle domande, vale il principio, che questa S.C. ha già affermato e qui si ribadisce, secondo cui “in tema di domanda giudiziale, non è necessario che l’allegazione di un fatto costitutivo (…), venga formulata nel contenuto narrativo del ricorso o della memoria di costituzione del convenuto, potendo essere individuata attraverso un esame complessivo dell’atto, senza che occorra l’uso di formule sacramentali o solenni, desumendola anche dalle deduzioni istruttorie e dalle produzioni documentali” (Cass. 9 luglio 2018, n. 17991; Cass. 29 gennaio 2015, n. 1681);

5.2 nel caso di specie, già quanto del ricorso di primo grado è stato riprodotto in sede di ricorso per cassazione individua con certezza, per il richiamo alla norma dei cui effetti si intendeva fruire, la fattispecie a triplice fondamento che è propria del diritto (astratto) rivendicato;

così come l’indicazione delle giornate di lavoro fuori sede e delle relative località, di cui dà atto la stessa Corte d’Appello, vale a concretizzare il diritto e ad esaurirne, per quanto riguarda il caso di specie, la necessaria “etero” individuazione, sotto il profilo della collocazione temporale dei singoli crediti derivanti da ciascuna giornata di lavoro in cui si sarebbero determinate le corrispondenti condizioni;

non vi dunque in ogni caso a discorrere di invalidità del ricorso introduttivo;

6. una volta individuata la situazione soggettiva rivendicata, non costituisce modificazione di essa non solo la diversa qualificazione giuridica del titolo che dipende da quegli stessi fatti (o di un minus rispetto ad essi), ma anche la valorizzazione di connotati concreti in ipotesi non esattamente coincidenti con la narrazione di chi agisce, se pur sempre interni alla situazione giuridica soggettiva individuabile quale oggetto del processo, come ad esempio accade ove venga valorizzata una diversa modalità di un certo sinistro da cui siano derivati danni (Cass. 9 novembre 2018, n. 28754), una diversa configurazione della colpa dedotta e quale in concreto accertata (Cass. 26 luglio 2012, n. 13269) o, stando al caso di specie, una particolare caratteristica dell’impossibilità di rientro per il pranzo in sede e così via;

non ogni devianza, anche con riguardo a diritti eteroindividuati, intercetta infatti una domanda nuova e ciò spiega altresì perché, rispetto a quella situazione giuridica soggettiva, l’intero novero fattuale, affermato o non affermato, sia destinato a incorrere nella preclusione del c.d. “dedotto e deducibile”, altrimenti difficilmente spiegabile, se ad ogni mutamento nella connotazione dei fatti seguisse l’individuazione di un nuovo diritto;

tutti i fatti ulteriori a quelli minimi ed indispensabili ad individuare la situazione soggettiva oggetto del processo sono “secondari” in quanto contribuiscono, nel loro insieme, alla ricostruzione della realtà su cui si deve decidere, al fine di stabilire se la situazione giuridica rivendicata sussista o meno ed assumono rilievo, come si suole dire, ai fini della prova (sulla distinzione, anche per i rapporti tra art. 112 c.p.c., ed art. 360 c.p.c., n. 5, v. Cass. 8 settembre 2016, n. 17761 e Cass. 5 febbraio 2011, n. 2805);

l’acquisizione di questi altri elementi avviene poi ad opera di chi agisce, nel che sta un ulteriore significato dell'”allegare” o “dedurre”, ma anche di chi resiste alla domanda altrui a condizione che le rispettive attività siano legalmente svolte secondo le regole che le riguardano e quindi, quanto alle parti, nel rispetto dei termini preclusivi propri dei diversi gradi per determinare l’ingresso di circostanze nel processo (Cass. 6 maggio 2020, n. 8525) quanto al giudice, deve rispettare le regole che disciplinano le sue attività, a partire dal divieto di scienza privata e fino alle regole sui poteri istruttori (Cass. 14 agosto 2019, n. 21410) ed alle acquisizioni fattuali mediante attività del c.t.u. (Cass. 27 agosto 2012 n. 14652; Cass. 14 luglio 2004, n. 13015);

in sostanza, il principio di c.d. acquisizione consente di valorizzare, per la decisione di merito, qualunque elemento fattuale legalmente acquisito al materiale di causa e ritenuto provato, essendosi affermato che il giudice non va oltre l’oggetto del processo quando “renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall’istante” e quando decida “mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati” (Cass. 11 gennaio 2019, n. 513; Cass. 25 settembre 2009, n. 20652);

6.1 è dunque vera l’affermazione del ricorrente secondo cui la Corte d’Appello, creando un’equazione necessaria tra difetto di allegazione e nullità del ricorso ha espresso un ragionamento in diritto non necessariamente vero, perché solo la mancata allegazione di un elemento indispensabile ad individuare la situazione giuridica soggettiva azionata può avere un tale effetto;

ragionamento che è nel caso di specie anche errato, in quanto dallo stralcio della sentenza di primo grado riportato nel ricorso si evince che il giudice non dubitò di quale fosse l’oggetto del processo, ma ritenne che la mancanza di “allegazione e prova” imponesse una “pronuncia di rigetto nel merito”, tra l’altro per “carenza” che “investe…. la causa petendi sottesa – e quindi ritenuta in sé individuata, n.d.r. – alla pretesa azionata”;

tale conclusione è possibile, ove si consideri un ancora più ristretto significato dell'”allegare” o “dedurre”, pur rientrante nell’ambito di ciò che interessa “ai fini della prova”, che consiste nel manifestare i fatti in modo più o meno diretto, circostanziato o articolato, attraverso la narrazione discorsiva, quale contegno che può avere in sé rilievo, ove tenuto o, al contrario, ove mancato, ai fini della maturazione del convincimento giudiziale (art. 116 c.p.c., comma 2); nel caso di specie, il rilievo da parte del Tribunale della mancata allegazione, in una con il rigetto del merito, non poteva che avere tale significato di valorizzazione del contegno ai fini del giudizio di merito, poi sostenuto dal richiamo all’assenza di prova aliunde;

7. tutto ciò posto, la Corte d’Appello ha però deciso la causa nel merito, sicché la pur fondata critica rispetto all’erronea valutazione della portata della sentenza del Tribunale non può far tout court risorgere quanto deciso dal primo giudice; la valutazione va infatti incentrata sul contenuto della decisione di secondo grado, ormai definitivamente sostituitasi alla pronuncia da essa riformata;

8. le censure si rivelano in proposito non solo fondate, ma anche decisive rispetto all’accoglimento del ricorso per cassazione, nella parte in cui esse muovono sul piano delle regole da osservare nel giudizio e quindi alla violazione, da parte della Corte territoriale, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.;

la sentenza impugnata, rispetto all’elemento della possibilità/impossibilità di rientro in sede, non contiene alcuna valutazione del complessivo materiale di causa, tutto arrestandosi al rilievo per cui “incombeva alla parte convenuta l’allegazione della possibilità di rientro presso la sede di appartenenza”;

così facendo la Corte territoriale ha direttamente applicato, per il solo fatto che parte convenuta non avesse esplicitamente affermato l’inesistenza di un elemento della fattispecie, la regola finale di giudizio di cui all’art. 2697 c.c.;

e’ stato però in tal modo commesso un duplice errore, in quanto, al contempo, si è deciso non sulla base di una valutazione di incompiutezza del materiale complessivamente acquisito, come è imposto dall’art. 115 c.p.c., ma con diretta applicazione, omisso medio, della regola finale di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., ed oltre a ciò si è applicata tale regola addossando sulla parte convenuta un onere che semmai, data la struttura della fattispecie come sopra ricostruita, gravava sulla parte ricorrente;

9. il terzo motivo riguarda il tema della prescrizione e con esso si afferma che, data la natura retributiva della prestazione e la previsione del pagamento di essa all’interno delle buste paga, troverebbe applicazione la prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 2948 c.p.c., n. 4, sicché è denunciata violazione e/o falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) degli artt. 2946 e 2948 c.c.;

sul punto la Corte territoriale ha ritenuto che il credito avesse la natura di rimborso spese;

tale conclusione integra un’interpretazione della norma collettiva da cui il diritto deriva e come tale essa non è censurata con le forme proprie e necessarie; infatti, trattandosi di norma integrativa regionale, per giunta di regione a statuto speciale, l’interpretazione data non è soggetta al controllo diretto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, ma deve essere mediata dalla deduzione di un vizio ermeneutico (artt. 1362 c.c. e segg.), di cui non vi è traccia;

la qualificazione resiste pertanto all’impugnativa;

d’altra parte, il rimborso spese, per sua natura, non può dirsi prestazione “da pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, in quanto la norma non fa riferimento al fatto accidentale che certi pagamenti avvengano con la busta paga (come è nel caso di specie) e quindi eventualmente con cadenza mensile, ma a quello strutturale per cui si tratti di pagamenti rispetto ai quali i ripetersi nel tempo sempre uguale nel tempo delle obbligazioni proprie del rapporto di durata preveda quella cadenza fissa;

il che, per quanto concerne il rapporto di lavoro, ha riguardo alla remunerazione del lavoro svolto, anche per straordinario o in trasferta (Cass. 1 febbraio 1988, n. 862), in espressione del sinallagma di scambio tra prestazioni di lavoro e loro compenso, ma non al determinarsi dei presupposti per il rimborso delle spese;

10. il quarto motivo sostiene infine la nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4) per violazione dell’art. 112 c.p.c., sul presupposto che, con la memoria di costituzione in appello sarebbe stata sollevata eccezione di inammissibilità del gravame, per violazione delle regole contenutistiche di cui all’art. 342 c.p.c., profili rispetto al quale la sentenza nulla aveva poi motivato;

il motivo risulta formulato con modalità generiche che lo rendono inammissibile;

la Corte territoriale, nel riferire del gravame, assume esservi stati profili di censura rispetto alla sentenza del Tribunale, sia in merito all’erronea trattazione della questione sulla validità o meno del ricorso, sia sulla fondatezza della pretesa azionata;

a fronte di ciò, il motivo di ricorso per cassazione consta di valutazioni giuridiche in ordine alla mancanza nell’appello dell’individuazione delle parti del provvedimento impugnato ed al fatto che il gravame conterrebbe – si afferma una sovrapposizione tra decisum e ratio decidendi;

tutto ciò senza agganci argomentativi rispetto al tenore concreto dell’atto di appello, di cui non è riportato alcuno stralcio, sicché la censura, formulata con modalità non consentite di eccessiva astrattezza, risulta carente dei requisiti di specificità complessivamente richiesti dall’art. 366 c.p.c.;

11. in definitiva, non accogliendosi il quarto motivo, il giudizio di appello è da aversi per ritualmente introdotto;

l’accoglimento dei primi due motivi, nei sensi di cui sopra, non può però certamente giungere, sul presupposto della sola mancata “allegazione” nel senso visto al punto 6.1, alla definizione della causa in questa sede, in quanto quel contegno, quali che siano le sue concrete caratteristiche, rileva semmai “ai fini della prova” e quindi il suo apprezzamento è rimesso al giudice del merito, nel contesto di tutti gli elementi di causa, in una valutazione di fatto ed in esercizio di libero convincimento, che qui non può essere svolta;

tutto ciò comporta la cassazione della sentenza, con rinvio del processo affinché la Corte territoriale verifichi, sulla base del materiale di causa o eventualmente anche di quanto legalmente acquisibile ad essa, se la domanda fosse o meno fondata nel merito.

PQM

La Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, rigetta il terzo ed il quarto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Cagliari, sezione lo distaccata di Sassari, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2021

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