Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.31510 del 03/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13578/2017 proposto da:

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Antonio Bosio n., presso lo studio dell’avvocato Luconi Massimo, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.E., C.A.M., C.A., C.G., elettivamente domiciliati in Roma, Via Calcedonia n. 1, presso lo studio dell’avvocato C.A., che li rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 130/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, pubblicata il 27/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/07/2021 dal consigliere Dott. Paola Vella.

FATTI DI CAUSA

1. Nel lontano 1986 la signora D.E., moglie dell’avvocato C.D., agì – in forza di procura generale del 30 aprile 1985 – per l’annullamento del mutuo ipotecario quinquennale di Lire 650.000.000, stipulato il 20/09/1984 tra la Banca Popolare di Reggio Calabria (dal 1986 fusa per incorporazione nella Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a.) e il proprio marito, in stato di incapacità di intendere e di volere in quanto affetto sin dal 1981 dal morbo di Alzheimer (con atrofia cerebrale e semidemenza), nonché per la cancellazione dell’ipoteca iscritta sugli immobili di proprietà dello stesso mutuatario (per Lire 1.065.000.000) ed infine per “l’annullamento del contratto di deposito bancario e dei prelevamenti successivi alla data di detto deposito”.

1.1. Il giudizio venne interrotto per il decesso di C.D., sopravvenuto il *****, e riassunto dalla moglie, anche quale esercente della potestà sui due figli minori A.M. e G..

1.2. In data 25/01/1990 la figlia C.A. (attuale difensore degli attori) propose denunzia-querela contro il proprio zio C.G., che venne condannato per il reato di circonvenzione di incapaci ex art. 643 c.p. (poi estinto per morte del reo), per avere indotto il proprio fratello a contrarre il mutuo ipotecario oggetto del giudizio civile, espressamente destinato ad estinguere l’esposizione debitoria per oltre un miliardo e mezzo di lire che lo stesso C.G. aveva verso la Banca Popolare di Reggio Calabria – di cui per di più era consigliere – a fronte di un affidamento di duecento milioni di Lire.

1.3. All’udienza del 29/06/1991 parte attrice dichiarò che con raccomandata del 25/03/1988 – in pendenza del processo – la banca aveva comunicato a C.D. di aver operato la compensazione tra il suo credito di Lire 121.500.000 (spettantegli a titolo di rimborso di n. 3.000 azioni della stessa Banca Popolare di Reggio Calabria) e il debito (contestato) di pari importo per le rate di mutuo scadute e non pagate.

1.4. L’istruttoria si svolse con copiose produzioni documentali, prove testimoniali, l’acquisizione degli atti del processo penale (inclusa la relazione del consulente bancario) e la consulenza tecnica di parte, medica e grafologica.

1.5. In data 27/02/2001 C.A. spiegò intervento volontario nel giudizio civile, aderendo a tutte le domande già proposte e chiedendo, in particolare, il deposito del libretto al portatore nel quale la somma mutuata era stata versata, nonché le copie delle distinte dei prelevamenti eventualmente effettuati.

1.6. In data 28/10/2004, a seguito della morte del difensore di parte attrice, si costituirono due nuovi avvocati, trai quali l’avv. C.A. (anche in proprio), ribadendo le domande proposte e chiedendo anche la condanna della banca al pagamento di Euro 62.749,51 – quale “importo trattenuto indebitamente a compensazione di rate di mutuo” – nonché al risarcimento in via equitativa dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dagli attori per l’illegittimo comportamento della banca medesima.

1.7. Con sentenza del 5 settembre 2005 il Tribunale di Reggio Calabria annullò il contratto di mutuo ipotecario ai sensi dell’art. 428 c.c., dispose la cancellazione dell’ipoteca iscritta nel 1984 e rinnovata nel 2004 e condannò la banca alla restituzione della somma oggetto di indebita compensazione, rigettando invece la domanda risarcitoria.

1.8. La Corte d’appello di Reggio Calabria confermò la decisione, ritenendo che le copiose prove documentali, orali e logiche (come l’assurdità di contrarre un mutuo che l’attore non era assolutamente in grado di rimborsare) fornite sulla incapacità di intendere e di volere dell’avv. C.D. fossero inconfutabili – sicché sarebbe stato semmai onere della banca dimostrare un momento di lucido intervallo in sede di stipula del mutuo – e che la prova della mala fede della banca derivasse da una serie di indizi gravi, precisi e concordanti (segnatamente: il mutuo fu concesso senza istruttoria, a favore di un soggetto segnalato alla C.R.I. come cattivo pagatore, nonostante l’avv. C.D. avesse subito un protesto e un’esecuzione mobiliare, avesse redditi pari a zero e non pagasse nemmeno il condominio del proprio studio legale; l’ipoteca fu iscritta su un immobile di valore inferiore alla somma mutuata; il Consiglio di amministrazione della banca si riunì appositamente, d’urgenza, per deliberare esclusivamente quel mutuo; la somma venne versata su un libretto al portatore e prelevata il giorno seguente – il 21 settembre 1984 – con estinzione del libretto in data 2 ottobre 1984).

Respinse poi l’eccezione di prescrizione della domanda di indebito oggettivo – pur dichiarandola ammissibile, sebbene sollevata solo con l’atto di appello e non già nel giudizio di primo grado, in quanto questo era già pendente alla data del 30 aprile 1995, con conseguente applicazione del previgente art. 342 c.p.c. – poiché, trattandosi di accertamento costitutivo, la prescrizione poteva iniziare a decorrere solo dalla relativa pronuncia giudiziale.

Rigettò infine la domanda risarcitoria per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., stante la mancata impugnazione incidentale del relativo rigetto da parte del tribunale e la mancata allegazione di condotte processuali relative alla fase di appello.

2. La Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a. ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione articolato in quattro motivi, cui D.E., C.A.M., Ca.Al. e C.G. hanno resistito con controricorso, corredato da memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 428,1425,2697 e 2729 c.c., nonché artt. 115 e 116 c.p.c., “per avere la Corte erroneamente ritenuto provato (che) la patologia del C. al momento della sottoscrizione del mutuo, aver erroneamente applicato le regole in materia di valutazione delle prove e aver così invertito l’onere probatorio”.

2.2. Il secondo mezzo denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 428 e 2697 c.c. nonché 47 Legge Notarile, “per aver la Corte erroneamente annullato il contratto di mutuo stipulato da persona la cui capacità di intendere e di volere era stata attestata dal Notaio rogante”.

2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 428 c.p.c., comma 2, “per aver la Corte erroneamente (annullato) applicato il presupposto richiesto per l’annullamento del contratto, ossia la malafede della Banca”.

2.4. Il quarto mezzo prospetta infine la nullità della sentenza “per omessa pronuncia sulla eccezione di inammissibilità e tardività della domanda attorea quanto alla ripetizione della somma di Euro 62.749,51”.

3. Tutti i motivi proposti risultano infondati o inammissibili.

4. Il primo è inammissibile poiché afferisce a questioni meritali e segnatamente alla valutazione del materiale probatorio da parte dei giudici di merito.

4.1. Al riguardo è appena il caso di richiamare il principio per cui, “in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.” (Cass. Sez. U, 20867/2020; Cass. 27703/2020).

4.2. Più in generale, risponde a consolidato indirizzo di questa Corte che la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5), senza che la parte possa rimettere in discussione la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (ex plurimis, Cass. 11863/2018, 29404/2017, 16056/2016).

5. Il secondo motivo è infondato, poiché l’art. 47 della legge notarile non prevede una specifica valutazione della capacità d’intendere e di volere del contraente da parte del Notaio, essendo questi chiamato solo ad “indagare la volontà delle parti” sul contenuto delle pattuizioni. In ogni caso, quella valutazione non sarebbe coperta da fede privilegiata né risulterebbe vincolante in sede giudiziale, nella quale il suo contenuto costituirebbe semmai oggetto di prova e accertamento.

5.1. Invero, “l’atto pubblico fa fede fino a querela di falso soltanto relativamente alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l’ha formato, alle dichiarazioni al medesimo rese ed agli altri fatti dal medesimo compiuti, non estendendosi tale efficacia probatoria anche ai giudizi valutativi eventualmente espressi, tra i quali va compreso quello relativo al possesso, da parte dei contraenti, della capacità di intendere e di volere. Ne consegue che, qualora il contratto sia stato stipulato dinanzi ad un notaio con le forme dell’atto pubblico, la prova dell’incapacità naturale di uno dei contraenti può essere data con ogni mezzo e il relativo apprezzamento costituisce giudizio riservato al giudice di merito, che sfugge al sindacato di legittimità se sorretto da congrue argomentazioni, esenti da vizi logici e da errori di diritto” (Cass. 27489/2019).

6. Il terzo mezzo è parimenti inammissibile poiché involge adduce questioni di merito, peraltro veicolate da affermazioni che stridono con i fatti giudizialmente accertati, in sede civile e penale, anche alla luce dell’ispezione della Banca d’Italia, che ha fatto emergere gravi anomalie della vicenda (cfr. pag. 39, 40, 42 e 43 del controricorso).

7. In ogni caso, con riguardo alla questione principale sottesa ai primi tre motivi, vale la pena di sottolineare che la decisione impugnata risulta conforme ai principi affermati da questa Corte, in base ai quali: i) ai fini della sussistenza dell’incapacità di intendere e di volere, costituente causa di annullamento del negozio ex art. 428 c.c., non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente che esse siano menomate, sì da impedire comunque la formazione di una volontà cosciente; la prova di tale condizione non richiede la dimostrazione che il soggetto, al momento di compiere l’atto, versava in uno stato patologico tale da far venir meno, in modo totale e assoluto, le facoltà psichiche, essendo sufficiente accertare che queste erano perturbate al punto da impedirgli una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio e, quindi, il formarsi di una volontà cosciente, e può essere data con ogni mezzo o in base ad indizi e presunzioni, che anche da soli, se del caso, possono essere decisivi per la sua configurabilità, essendo il giudice di merito libero di utilizzare, ai fini del proprio convincimento, anche le prove raccolte in un giudizio intercorso tra le stesse parti o tra altre, secondo una valutazione incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da congrue argomentazioni, scevre da vizi logici ed errori di diritto (Cass. 13659/2017); ii) in tema di incapacità naturale conseguente ad infermità psichica, accertata la totale incapacità di un soggetto in due periodi prossimi nel tempo, la sussistenza di tale condizione è presunta, iuris tantum, anche nel periodo intermedio, sicché la parte che sostiene la validità dell’atto compiuto è tenuta a provare che il soggetto ha agito in una fase di lucido intervallo o di remissione della patologia” (Cass. 4316/2016, in fattispecie di grave demenza senile).

8. Il quarto motivo è infondato, poiché la corte territoriale si è in realtà puntualmente pronunciata sul secondo motivo d’appello, con cui la banca aveva sostenuto che l’azione di ripetizione della somma di Euro 62.749,51 “era stata promossa oltre il termine di prescrizione, atteso che la domanda di condanna della banca alla restituzione dell’importo compensato era stata avanzata per la prima volta nella comparsa di costituzione depositata in data 281.0.2004”.

8.1. Ed invero, oltre a rigettare l’eccezione di prescrizione – con una statuizione non impugnata, sulla quale si è pertanto formato il giudicato interno – la corte territoriale ha espressamente rilevato la sua novità, “in quanto non sollevata tempestivamente dall’istituto appellante nel giudizio di primo grado in conseguenza della domanda di condanna avanzata nella menzionata comparsa”; e però ne ha confermato l’ammissibilità, trattandosi di “procedimento pendente alla data del 30 aprile 1995” (Cass. 8229/1997), con conseguente inapplicabilità del riformato art. 342 c.p.c.

8.2. Ciò premesso, deve considerarsi che, prima della “novella” di cui alla L. n. 353 del 1990, nel giudizio di primo grado il divieto di proporre domande nuove discendeva da un interesse privato, alla cui violazione non conseguiva una nullità rilevabile d’ufficio, essendo esso unicamente funzionale ad evitare rallentamenti nel corso del processo e l’aggravamento dell’onere di difesa della controparte, con la conseguenza che la parte interessata poteva rinunciare ad eccepirla accettando il contraddittorio, anche implicitamente o per fatti concludenti, sulla nuova domanda, senza che nel prosieguo del giudizio, in appello ed in cassazione, potesse più essere dedotta quella preclusione (Cass. 4007/2006; conf. Cass. 20953/2006, 4366/2012, 28812/2013).

8.3. Pertanto, la banca non poteva far valere (solo) nel secondo grado di giudizio la preclusione, ai sensi del novellato art. 183 c.p.c., della domanda “nuova” (peraltro scaturita da un fatto sopravvenuto nel corso del processo) cui non si era opposta nel giudizio di primo grado, dovendo leggersi in tal senso, sul punto, la ratio decidendi della decisione impugnata.

9. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna della banca ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti, liquidate in dispositivo.

9. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto (Cass. Sez. U, 20867/2020 e 4315/2020).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi oltre a spese forfettarie nella misura del 15%, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2021

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