Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.31569 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9488/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ PARTENOPEA COSTRUZIONI EDILSTRADALI SRL (C.F.), in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, n. 8168/01/2014, depositata il 1 ottobre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 luglio 2021 dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

RILEVATO

CHE:

La società contribuente SOCIETA’ PARTENOPEA COSTRUZIONI EDILSTRADALI SRL ha impugnato un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta 2005, redatto con metodo induttivo a termini del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2, e art. 41 con il quale, premessa l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per il periodo in oggetto e stante la parziale ottemperanza all’invito di produzione di documentazione, si rilevava l’antieconomicità della gestione e la plusvalenza derivante dalla cessione di un bene immobile; l’Ufficio accertava l’esistenza di attività non dichiarate sulla base dell’elemento certo costituito dal costo del lavoro e, previa applicazione di una percentuale di ricarico alla luce degli indici parametrici per le imprese operanti localmente nello stesso settore a termini del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-sexies recuperava maggiori IRES, IRAP e IVA.

La CTP di Napoli, previa riunione del presente giudizio ad altri giudizi, aventi ad oggetto gli avvisi di accertamento nei confronti dei soci e l’impugnazione di alcune cartelle di pagamento, ha – in particolare – rigettato nel merito il ricorso avverso l’avviso di accertamento con sentenza 540/46/2012. A seguito della sentenza di primo grado è stata emessa una cartella di pagamento n. *****, con ruolo reso esecutivo in data 4 giugno 2013 (come risulta testualmente dal ricorso), cartella contestualmente impugnata in appello anche nei confronti del concessionario della riscossione. La CTR della Campania, con sentenza in data 1 ottobre 2014, previa separazione delle altre cause, ha accolto l’appello della società contribuente.

Propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a quattro motivi; il contribuente intimato, previa riattivazione del procedimento di notificazione, non si è costituito in giudizio.

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione degli artt. 99,112,327 e 345 c.p.c., nonché del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 51, e 57 per essersi la sentenza impugnata pronunciata su una impugnazione tardiva e su una domanda nuova. Evidenzia il ricorrente che l’atto di appello sarebbe stato notificato in data 3 febbraio 2014, come si evincerebbe dal timbro postale apposto sul frontespizio dell’atto di appello, laddove la sentenza impugnata sarebbe stata pubblicata in data 2 novembre 2012, a fronte della proposizione del ricorso introduttivo in epoca successiva al 4 luglio 2009. Deduce, inoltre, il ricorrente che l’appello sarebbe inammissibile per ultrapetizione nella parte in cui ha esaminato l’impugnazione di una cartella mai oggetto di impugnazione nel corso del giudizio di primo grado.

1.2. Con il secondo motivo si deduce in via gradata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la sentenza impugnata accolto l’appello sulla base di una censura introdotta per la prima volta in grado di appello. Evidenzia il ricorrente come in primo grado la società contribuente avesse dedotto – oltre all’erronea indicazione del codice di attività, alla mancata integrazione del contraddittorio e al difetto di motivazione – la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, per non avere l’Ufficio accertato la corrispondenza della dichiarazione con i dati di bilancio. Osserva, in proposito, il ricorrente che la contestazione relativa all’erroneo utilizzo degli studi di settore è stata introdotta in grado di appello.

1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. a) e comma 2, lett. d) e art. 41, commi 1 e 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55 nonché degli artt. 2697 e 2727 c.c., nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che l’Ufficio abbia erroneamente fatto ricorso al metodo induttivo puro. Osserva il ricorrente che, in caso di accertamento condotto con metodo induttivo puro, l’Ufficio possa avvalersi di presunzioni prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza e che, nella specie, ricorressero i presupposti per procedere con tale metodo di accertamento a termini del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 posto che la contribuente non aveva prodotto la dichiarazione dei redditi del periodo di imposta oggetto di accertamento, circostanza che esimerebbe l’Ufficio dal prendere in esame le dichiarazioni degli altri periodi di imposta. Osserva, inoltre, come l’accertamento avesse preso le mosse dall’accertata antieconomicità di gestione e fossero riscontrati da elementi certi, quali l’incidenza del costo del lavoro e dalle percentuali di ricarico desunte da dichiarazioni dello stesso settore merceologico sul territorio regionale.

1.4. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2 e, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione degli artt. 277 e 112 c.p.c. per avere la sentenza impugnata, sul rilievo dell’errata applicazione del metodo induttivo puro, annullato l’atto impugnato, senza procedere alla rideterminazione dell’imposta dovuta. Osserva il ricorrente che, essendo il giudizio tributario volto all’accertamento della pretesa impositiva nel merito, esso deve condurre, ove il giudice ritenga invalido nel merito l’atto impugnato, alla corretta rideterminazione della pretesa impositiva, nei limiti delle contestazioni della parte contribuente.

2. Va osservato preliminarmente come l’originaria notificazione del ricorso, spedito a mezzo posta in data 1 aprile 2015, non è andata a buon fine, risultando il destinatario (domiciliatario) irreperibile, alla data del 7 aprile 2015, al domicilio indicato nella sentenza impugnata (*****), come risulta dalla cartolina di ritorno. All’esito della restituzione della suddetta cartolina, il ricorrente ha proceduto a nuove ricerche, effettuando, di iniziativa, nuova notificazione per ufficiale giudiziario, eseguita a mani proprie al medesimo indirizzo dove era stata tentata la precedente notificazione in data 1 giugno 2015. La notificazione si e’, pertanto, conclusa 55 giorni dopo l’originario accertamento del vano tentativo di notificazione, presso il medesimo luogo in cui era stata originariamente accertata l’irreperibilità del destinatario.

3. Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte richiede che – in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante – quest’ultimo, appreso l’esito negativo, deve riattivare immediatamente il procedimento notificatorio (al fine di conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria) e svolgere tempestivamente gli atti necessari al suo completamento, onde non superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., principio al quale e’, peraltro, consentito derogare in caso di circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa (Cass., Sez. U., 15 luglio 2016, n. 14594; Cass., Sez. V, 8 marzo 2017, n. 5974; Cass., Sez. VI, 31 luglio 2017, n. 19059; Cass., Sez. V, 11 maggio 2018, n. 11485; Cass., Sez. VI, 9 agosto 2018, n. 20700; Cass., Sez. VI, 26 ottobre 2018, n. 27275; Sez. Lav., 21 agosto 2020, n. 17577). Il termine pretorio di cui all’art. 325 c.p.c. dimidiato ha la funzione di ancorare a parametri certi il giudizio di diligenza sull’operato del notificante che, per cause indipendenti dalla sua volontà, non sia riuscito a completare il procedimento notificatorio e, al fine di conservare gli effetti dell’originaria notificazione, proceda di iniziativa alle opportune ricerche e alla riattivazione del procedimento notificatorio.

4. L’orientamento costituisce evoluzione del precedente orientamento, inaugurato da Cass., Sez. U., 24 luglio 2009, n. 17352, secondo cui, in caso di esito infausto del procedimento notificatorio per cause non imputabili al notificante, questi può procedere di sua iniziativa (senza, quindi, preventiva istanza al giudice) alla riattivazione del procedimento notificatorio, purché la ripresa del procedimento avvenga entro un termine ragionevolmente contenuto. Secondo l’attuale orientamento, il criterio elastico della ragionevolezza viene sostituito da un termine, che sottrae alla discrezionalità del giudicante il giudizio sulla diligenza del notificante. Al fine, pertanto, di conservare ex tunc gli effetti dell’originaria notificazione non andata a buon fine, in termini analoghi alla rinnovazione degli atti nulli, occorre che vi sia un errore nel procedimento notificatorio non imputabile alla parte notificante, che vi sia l’esercizio di una attività di impulso processuale (iniziativa) da parte del notificante e che la riattivazione del procedimento notificatorio si concluda per il notificante nel termine di cui all’art. 325 c.p.c. dimidiato (nella specie, trenta giorni).

5. Il suddetto orientamento consente, peraltro, di valorizzare circostanze eccezionali al fine di derogare al rispetto del suddetto termine entro cui il procedimento notificatorio andrebbe concluso. Questa clausola di salvaguardia si impone in forza della giurisprudenza della Corte EDU, secondo la quale la restrizione del diritto all’accesso a un giudice si giustifica, a termini dell’art. 6 p. 1 CEDU a meno che non persegua uno scopo legittimo e se esista un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (Corte EDU, 4 febbraio 2014, Staibano e altri c. Italia, p. 27; Corte EDU, 24 settembre 2013, Pennino c. Italia, p. 73; Corte EDU, Papon c. Francia, 25 luglio 2002, p. 90; Corte EDU, 14 dicembre 1999, Khalfaoui c. Francia, p.p. 35-36; Cass., Sez. U., 7 novembre 2017, n. 26338).

6. Questa soluzione è conforme al principio secondo cui il processo non può essere fine a se stesso (“Selbstzweck”), dovendo le forme processuali risultare funzionali alla migliore qualità della decisione di merito (Corte Cost., 12 marzo 2007, n. 77; Corte Cost., 9 luglio 2021, n. 148), al fine di evitare, nel rispetto dei diritti costituzionali di difesa e di effettività della tutela giudiziaria (artt. 24 e 111 Cost.), di imporre oneri alle parti tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale (Corte Cost., 13 dicembre 2019, n. 271; Corte Cost., 14 luglio 2017, n. 199; Corte Cost., 2016, n. 121; Corte Cost., 3 marzo 30 maggio 2016, n. 44). Una sanzione processuale che comporti l’assoluzione dall’onere di osservanza del giudizio precludendo l’accesso al giudice o, comunque, impedendo una decisione nel merito – deve, pertanto, ritenersi compatibile con l’art. 6 p. 1, Convenzione EDU solo se risponda al principio di proporzionalità, nonché a obiettive esigenze di buona amministrazione della giustizia, soprattutto ove riguardi regole prevedibili e sanzioni prevenibili con l’ordinaria diligenza (Cass., Sez. U., 30 giugno 2021, n. 18490; Cass., Sez. V, 24 giugno 2021, n. 18176; Cass., Sez. V, 9 marzo 2021, n. 6406; Cass., 26 febbraio 2020, n. 5164; Cass., Sez. VI, 15 febbraio 2018, n. 3789), facendo così “prevalere le interpretazioni dirette a consentire al processo di giungere al suo sbocco naturale (Adreyev vs. Estonia; Reklous & Davourlis vs. Grecia; Efstathiou et autres vs. Grecia), senza enfatizzare un fin de non-recevoir non riscontrabile nei dati convenzionali di riferimento dell’art. 6 CEDU” (Cass., Sez. U., 29 maggio 2017, n. 13452). Occorre, pertanto, verificare se sussistano nella specie circostanze eccezionali che consentano di derogare al rigoroso rispetto del termine ex art. 325 c.p.c. dimidiato.

7. Nella specie risulta per tabulas che il notificante, dopo avere tentato la notificazione al domicilio risultante dalla sentenza impugnata, ha eseguito nuove ricerche che lo hanno portato a rinvenire l’effettivo domicilio del destinatario nel medesimo luogo in cui l’originaria notificazione non era andata a buon fine. La riattivazione del procedimento notificatorio nel caso di specie, oltre a non rientrare, propriamente, nel caso esaminato da Cass., Sez. U., n. 14594/2016 cit., avente ad oggetto il trasferimento del domicilio del destinatario (cfr. punto 19 sent. ult. cit.), deve ritenersi ascrivibile a un evento patologico del procedimento notificatorio, consistente in una attestazione ideologicamente e gravemente errata del primo agente notificatore, evento tale da consentire di attivare la menzionata clausola di salvaguardia.

8. Soluzione, del resto, conforme all principio secondo cui l’interpretazione di una regola processuale deve andare nella direzione (virtuosa) di disincentivare comportamenti puramente idiosincratici o distorsivi, tali da favorire soluzioni assolutorie dall’osservanza del giudizio in conseguenza di vizi puramente formali che invece – ove portassero alla preclusione dell’accesso alla tutela giurisdizionale per la parte avversaria (nella specie, il ricorrente) potrebbero provocare il rischio di incremento di tali situazioni distorsive (con conseguente moltiplicazione di eventi in cui il criterio di collegamento tra destinatario della notificazione e luogo, non necessariamente fisico, della stessa venga meno fittiziamente), anziché incentivare comportamenti efficienti.

9. Deve, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto: “In caso di notificazione di atti processuali non andata a buon fine per fatto altrui, il fatto che la notificazione non sia andata a buon fine per ragioni imputabili al solo agente notificatore – il quale fornisca attestazioni ideologicamente errate circa la non effettività del domicilio del destinatario invece rimasto inalterato e positivamente riscontrato dal altro agente notificatore in successivo accesso integra una di quelle circostanze eccezionali, di cui va data prova rigorosa, che consente al notificante incolpevole di conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria anche se abbia riattivato il processo notificatorio senza il rigoroso rispetto del limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c. stabilito da Cass., Sez. U., 15 luglio 2016, n. 14594”. La rinnovazione della notificazione, in quanto completata nel caso di specie cinquantacinque giorni dopo l’originario tentativo di notificazione non andata a buon fine, deve considerarsi tempestiva.

10. Il primo motivo è fondato. La sentenza di primo grado è stata depositata nel corso dell’anno 2012, laddove l’appello è stato proposto a mezzo posta, con atto spedito in data 6 febbraio 2014, come risulta dal timbro postale apposto sul frontespizio dell’atto di appello, trascritto dal ricorrente nel ricorso. Dovendosi applicare l’art. 327 c.p.c., nella formulazione successiva alla L. 18 giugno 2009, n. 69 (trattandosi di avviso notificato in data 17 febbraio 2010 – come risulta dalla cartella il cui contenuto è stato trascritto dal ricorrente – e impugnato con ricorso successivamente depositato), l’appello è inammissibile in quanto tardivo, perché proposto oltre il termine perentorio di cui all’art. 327 c.p.c..

11. L’appello e’, ulteriormente, inammissibile quanto all’impugnazione della cartella di pagamento n. *****, in quanto impugnata direttamente in appello trattandosi di ruolo dichiarato esecutivo in data 4 giugno 2013 successivamente al deposito della sentenza impugnata – la cui impugnazione costituisce motivo nuovo, inammissibile in appello (Cass., Sez. V, 23 luglio 2020, n. 15730; Cass., Sez. VI, 8 luglio 2016, n. 14074). Va, pertanto, dichiarata l’inammissibilità dell’appello avverso l’impugnazione della cartella di pagamento, in quanto motivo nuovo.

12. Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione al primo motivo e, previo assorbimento degli altri motivi, la sentenza va cassata, dichiarandosi inammissibile l’appello nel suo complesso. Non vi è luogo a provvedere in ordine all’ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti di Equitalia Sud, presente in grado di appello e non evocata nel presente giudizio, posto che il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o qualora questo sia prima facie infondato, di definire con immediatezza il procedimento, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e non essendovi, in concreto, esigenze di tutela del contraddittorio (Cass., Sez. VI, 8 luglio 2020, n. 14213; Cass., Sez. II, 10 maggio 2018, n. 11287).

13. Le spese del giudizio di appello sono compensate, stante la peculiarità della questione; le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte, accoglie il primo motivo, dichiara assorbiti gli ulteriori motivi e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata; dichiara compensate le spese del giudizio di appello; condanna l’intimato al pagamento delle spese processuali in favore del ricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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