Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.31586 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Mar – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. LEUZZI S. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 11560 del ruolo generale dell’anno 2013, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, elettivamente si domicilia;

– ricorrente –

contro

L’Automobile s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in *****;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 178/14/12, depositata in data 13 marzo 2012;

sentita la relazione svolta dal consigliere Salvatore Leuzzi nella Camera di consiglio del 10 giugno 2021.

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia ha impugnato per cassazione la sentenza della CTR che ne ha respinto l’appello avverso la sentenza di primo grado che in accoglimento del ricorso della contribuente ha annullato gli avvisi di accertamento mediante i quali l’Ufficio, previo p.v.c. della Guardia di Finanza, aveva contestato alla società, esercente la attività di commercio di autoveicoli, per gli anni 2002, 2003, 2004, ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, un maggior reddito di impresa per indebita deduzione di costi e detrazione di IVA in relazione ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, relative all’importazione intracomunitaria di autoveicoli per il tramite di società “cartiere” fittiziamente interposte all’effettivo cedente comunitario.

Il ricorso per cassazione erariale è affidato a due motivi.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo viene censurata la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1971, artt. 19, 21,23 e 28, del D.L. n. 429 del 1982, art. 4, lett. d) (conv. con L. n. 516 del 1982, e successivamente modif. dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la CTR fatto applicazione non corretta delle regole in tema di compimento di operazioni soggettivamente inesistenti, avendo valorizzato come dirimente la mancata prova, da parte dell’Amministrazione, di un “accordo fraudolento”.

Con il secondo motivo si contesta l’omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione ad un fatto decisivo per il giudizio e sul quale le parti hanno discusso, avendo la CTR concentrato la propria motivazione sulla estraneità della contribuente al meccanismo fraudolento, senza curarsi di indagare sulla verifica della “effettività soggettiva delle operazioni intercorse con i propri fornitori.

I motivi, suscettibili di trattazione unitaria per intima connessione, si rivelano manifestamente fondati e vanno accolti.

Questa Corte, alla luce della giurisprudenza comunitaria, ha statuito il seguente condiviso principio di diritto: “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass. n. 9851 del 2018; Cass. n. 15369 del 2020).

Nella specie la CTR si è limitata a evidenziare che “le operazioni denunciate dal contribuente rappresentano un costo per la società e dalla valutazione dei fatti si ritiene che non sia stata evidenziata alcuna evasione o intento elusivo di imposte risultando tutte le operazioni effettuate non censurabili sotto il profilo fiscale e giuridico attraverso l’esibizione di regolari fatture”.

In buona sostanza, la CTR ha insistito sul profilo dell’estraneità al perimetro dell’accordo fraudolento della contribuente, ma non si è in alcuno modo soffermata sulla effettività-esistenza soggettiva delle operazioni intercorse tra essa e i propri fornitori. In particolare, il giudice a quo ha incentrato la motivazione sull’esigenza, invero eccentrica rispetto alla giurisprudenza sedimentata, della prova di un accordo fraudolento che registri la compartecipazione della contribuente verificata. Viceversa, il giudice di merito era e rimane tenuto a investigare sull’esistenza soggettiva delle operazioni e sulla consapevolezza in capo alla contribuente, quale operatore professionale e qualificato, della sussistenza del meccanismo fraudolento, al netto del proprio specifico e diretto coinvolgimento.

Il ricorso va in ultima analisi accolto. La sentenza va cassata e la causa rimessa alla CTR del Lazio, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata. Rinvia per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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