Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.31605 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 878-2019 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dagli avvocati MARCO MAINETTI, LUCA VERGA;

– ricorrente –

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato GIAN ALBERTO FERRETTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO MONACO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

P.G., elettivamente domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dagli avvocati MARCO MAINETTI, LUCA VERGA;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 2487/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 18/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 17/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

RITENUTO

che:

1. – P.G. ricorre quale erede di F.M.. Quest’ultima aveva inizialmente agito in giudizio nei confronti del nipote F.G., assumendo di avere affidato a costui la gestione di 41391,13 Euro, somma di cui ha chiesto poi, inutilmente, la restituzione. Il giudizio, in cui F.M. ha preteso la restituzione del denaro, intervenuto il decesso dell’attrice, è stato riassunto, per l’appunto, dalla P. che ha esibito a fondamento della propria legittimazione attiva un testamento olografo che la istituiva erede universale della F..

2. – Il Tribunale di Varese ha accolto la domanda, mentre la Corte di Appello di Milano ha ritenuto non provato il rapporto di mandato invocato dalla P. (e, prima di lei, da F.M.), ed ha altresì rigettato la domanda, che il Tribunale aveva dichiarato tardiva, del F.G. di difetto di legittimazione attiva della P., e di annullamento del testamento olografo.

3. – Il ricorso è basato su due motivi. V’e’ controricorso del F., che, con altri due motivi, propone ricorso incidentale e memorie.

CONSIDERATO

che:

4. – I due motivi del ricorso principale contestano il capo di sentenza che ha ritenuto non provato il rapporto di mandato.

5. – Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c., e dell’art. 1713 c.c..

Secondo la ricorrente la Corte non avrebbe considerato che la prova del mandato era nella non contestazione che ne era derivata dal comportamento processuale del resistente, il quale, nel costituirsi in giudizio, non aveva affatto negato di aver ricevuto l’incarico di gestione: solo con la memoria istruttoria aveva allegato di aver ricevuto una liberalità.

Secondo la ricorrente, in sostanza, il comportamento tenuto dalla controparte, manifestato dalla tardiva e neanche univoca contestazione, non è stata valutato correttamente dal giudice di appello.

Il motivo è inammissibile.

Infatti, il giudizio se una condotta processuale costituisca o meno contestazione sufficiente dei fatti allegati da controparte, è un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in Cassazione solo sotto il profilo del difetto di motivazione (Cass. n. 3680/2019; Cass. n. 27490/2019).

Va inoltre ricordato che la contestazione dei fatti è validamente effettuata se formulata entro il termine di cui all’art. 183 c.c. (Cass. n. 31402/2019).

6. – Il secondo motivo, in effetti, censura la decisione impugnata proprio per difetto di motivazione sufficiente, attribuendole di non avere adeguatamente reso conto del suo giudizio sulla condotta di non contestazione di controparte.

Il motivo è infondato.

A prescindere dalla circostanza che il motivo si risolve, in realtà, nella censura di erronea valutazione di uno o più documenti, cui la Corte di Appello ha fatto riferimento per fondare il suo giudizio, ed in particolare la lettera del nipote alla zia in cui il primo avrebbe ammesso di dover fare rendiconto; il che conduce a ritenere il motivo inammissibile perché volto a censurare l’apprezzamento di prove documentali; a prescindere da ciò, il difetto di motivazione presuppone la mancanza assoluta di argomenti posti a giustificazione della decisione, che invece nella sentenza impugnata sono evidenti: la Corte di Appello nega valore confessorio- o di ammissione- alla lettera del nipote, peraltro proveniente dal difensore di questi- in quanto ritiene che l’intento del dichiarante era di adire ad un qualche conciliazione, intento che dunque faceva escludere ammissione di fatti a proprio sfavore.

L’accertamento di questa volontà è accertamento in fatto, che nella decisione è adeguatamente motivato.

7. – Parimenti inammissibili sono i due motivi di ricorso incidentale, che possono esaminarsi insieme.

8. – Entrambi attengono, il primo per violazione dell’art. 591 c.c., il secondo per difetto di motivazione, al rigetto della domanda che il F. aveva avanzato, dopo la riassunzione del giudizio in primo grado, di annullamento del testamento olografo, in base al quale la P. aveva agito in riassunzione.

La Corte di Appello ha rigettato la domanda sostenendo che dall’esame degli atti, ed in particolare della CTU, era emerso che non v’era alcuna prova che, al momento della redazione del testamento, la F. fosse incapace di intendere o di volere, essendo diventata tale solo in seguito.

Con il primo motivo questa ratio è contestata dicendo che la Corte ha frainteso la norma sulla incapacità naturale, che presuppone che venga meno o la facoltà di intendere o quella di volere, alternativamente, perché vi sia lo stato di incapacità, non essendo invece necessario che quelle due facoltà vengano meno insieme.

Il motivo è infondato.

In realtà nella ratio della decisione non v’e’ affatto una affermazione simile; v’e’ piuttosto una valutazione tratta dalla CTU, da cui i giudici di merito ricavano la conclusione che, sebbene al tempo del testamento vi fosse una riduzione delle capacità cognitive, meglio un loro deterioramento, ciò non ha inciso sulla capacità di intendere e di volere, intesa dalla Corte come complessivo stato di capacità negoziale.

In sostanza, la Corte di Appello non attribuisce alla norma un significato contrario al suo senso letterale, ma fonda la decisione su un apprezzamento di fatto, legato alla CTU esperita in giudizio.

Il secondo motivo è allo stesso modo inammissibile: si ritiene che la Corte di merito ha fornito una motivazione contraddittoria o insufficiente di quel suo convincimento, in quanto, dopo avere preso atto del “decadimento cognitivo” ha però escluso l’incapacità di volere.

Nessuna contraddizione né difetto di motivazione è però ricavabile da questa ratio, dove il giudizio è di complessiva capacità di testare, o meglio, di insufficienza di prove circa l’incapacità di farlo.

Del resto, il “progressivo decadimento delle capacità cognitive” non significa necessariamente perdita di queste ultime, ed è in astratto compatibile, con un giudizio che riconosce la capacità di testare.

La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese.

PQM

La Corte rigetta ricorso principale ed incidentale. Spese compensate. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, e del controricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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