Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.31643 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15349-2016 proposto da:

S.A., rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO SPANTINI;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO *****, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ESCHILO 37, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BIAGINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA SILVIA GENEROTTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 283/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 07/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/06/2021 dal Consigliere SCARPA ANTONIO.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. S.A. ha proposto ricorso articolato in sette motivi avverso la sentenza n. 283/2015 della Corte d’appello di Perugia, pubblicata il 7 maggio 2015.

Resiste con controricorso il Condominio *****.

2. La Corte d’appello di Perugia ha dichiarato inammissibile l’appello formulato da S.A. contro la sentenza resa il 13 giugno 2011 dal Tribunale di Perugia, Sezione distaccata di Città di Castello, recante declaratoria di cessazione della materia del contendere in Ordine alla impugnazione ex art. 1137 c.c., della deliberazione assembleare approvata il 7 giugno 2007 dal Condominio *****, con condanna alle spese dello S. in forza del principio della soccombenza virtuale. La Corte d’appello ha rilevato che, a seguito delle delibere del 30 ottobre 2007 e del 7 marzo 2008, l’attore aveva egli stesso concluso per la dichiarazione di cessazione della materia del contendere, avendo le nuove decisioni dell’assemblea regolato la stessa materia di quella oggetto della delibera 7 giugno 2007. La Corte d’appello, delibata pertanto l’insussistenza della cause di nullità o di annullabilità, nonché l’inammissibilità delle domande nuove proposte in corso di giudizio, ha confermato la valutazione di soccombenza virtuale dello S. ai fini della regolamentazione delle spese di lite.

3. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e art. 380 bis.1, c.p.c..

3.1. Il controricorrente ha depositato memoria.

3.2. Il ricorrente ha depositato in modalità telematica memoria il 4 giugno 2021 (data accettazione 7 giugno 2021), e dunque senza osservare il termine di dieci giorni di cui all’art. 380- bis.1, c.p.c.. In data 10 giugno 2021 il medesimo ricorrente ha poi depositato istanza di rimessione in termini, deducendo di essere incorso in decadenza per causa non imputabile a seguito della mancata accettazione della memoria presentata il 1 giugno 2021 ed evidenziando il malfunzionamento del tool/software prescelto dal difensore avvocato Paolo Spantini per la gestione del deposito telematico degli atti processuali. Il cattivo funzionamento del software per il deposito degli atti processuali o la mancata assistenza della società produttrice, tuttavia, non connotano, ad avviso del Collegio, un evento che presenti il carattere dell’assolutezza necessario per affermare la sussistenza di una causa non imputabile ai sensi dell’art. 153 c.p.c., comma 2.

4. Il primo motivo del ricorso di S.A. allega l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), consistente nell’avvenuta emissione di una fattura da parte dell’appaltatore dei lavori verso il Condominio per opere su parti private.

Il secondo motivo denuncia l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), del contenuto del computo metrico “lista delle lavorazioni” approvato con la deliberazione del 7 giugno 2007.

Il terzo motivo censura “il travisamento della prova”, sempre in ordine al contenuto del computo metrico “lista delle lavorazioni”, approvato dall’assemblea condominiale.

Il quarto motivo lamenta ancora “il travisamento della prova”, di nuovo per l’avvenuta emissione di una fattura da parte dell’appaltatore di lavori condominiali su parti private.

Il quinto motivo del ricorso di S.A. denuncia la violazione degli artt. 1102 e 1117 c.c., perché l’assemblea, con la Delib. del 7 giugno 2007, esorbitando dai poteri attribuiti dalla legge, avrebbe approvato anche lavori che interessavano parti private dell’edificio, senza il consenso degli interessati.

Il sesto motivo allega la violazione dell’art. 1136 c.c. e art. 67 disp. att. c.c., nonché del D.Lgs. n. 196 del 2003, anche sotto forma di eccesso di potere, per avere la maggioranza dell’assemblea imposto la partecipazione alla discussione di due persone non legittimate, nella specie un avvocato ed un geometra.

Il settimo motivo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 1105,1136 e 1139 c.c., giacché l’assemblea avrebbe deliberato il conferimento di un incarico professionale relativo allo studio di fattibilità dei lavori da effettuare, senza che tale argomento fosse previsto in alcun punto dell’ordine del giorno.

3. I motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, in quanto, come anche eccepito dal controricorrente, sono tutti affetti da una pregiudiziale ragione di inammissibilità per carenza di riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata.

3.1. La Corte d’appello di Perugia ha confermato la valutazione operata in primo grado dal Tribunale circa la cessazione della materia del contendere tra le parti, in applicazione del principio, più volte affermato in giurisprudenza, secondo cui, in tema di impugnazione delle delibere condominiali, la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall’assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere, analogamente a quanto disposto dall’art. 2377 c.c., comma 8, dettato in tema di società di capitali (Cass. Sez. 6 – 2, 08/06/2020, n. 10847; Cass. Sez. 6 – 2, 11/08/2017, n. 20071; Cass. Sez. 2, 10/02/2010, n. 2999; Cass. Sez. 2, 28/06/2004, n. 11961), rimanendo affidata soltanto la pronuncia finale sulle spese, analogamente a quanto disposto dall’art. 2377 c.c., comma 8, (il quale espressamente prevede, peraltro, nel testo successivo al D.Lgs. n. 6 del 2003, che “… il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società…”), ad una valutazione di soccombenza virtuale. La cessazione della materia del contendere conseguente alla revoca assembleare della delibera impugnata si verifica anche quando la stessa sia stata sostituita con altra dopo la proposizione dell’impugnazione ex art. 1137 c.c., in quanto la sussistenza dell’interesse ad agire deve valutarsi non solo nel momento in cui è proposta l’azione, ma anche al momento della decisione. Per di più, la sentenza impugnata ha evidenziato come lo stesso S.A. avesse dato atto, sia davanti al Tribunale che davanti alla Corte d’appello, del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottoposto ai giudici conclusioni in tal senso.

Perché possa verificarsi la rinnovazione sanante con effetti retroattivi, alla stregua dell’art. 2377 c.c., comma 8, è necessario che la deliberazione impugnata sia sostituita con altra che abbia un identico contenuto, e che cioè provveda sui medesimi argomenti, della prima deliberazione, ferma soltanto l’avvenuta rimozione dell’iniziale causa di invalidità (Cass. Sez. 2, 09/12/1997, n. 12439; Cass. Sez. 2, 30/12/1992, n. 13740; Cass. Sez. 2, 19/04/1988, n. 3069). Ove, invece, l’assemblea decida di revocare la precedente deliberazione e di adottarne altra avente una portata organizzativa del tutto nuova, gli effetti di quest’ultima decorrono soltanto da quando sia stata assunta.

Ai fini della pronuncia finale sulle spese, regolata sulla base di una valutazione di soccombenza virtuale, il giudice del merito deve espressamente procedere ad un complessivo ed unitario giudizio circa l’originaria fondatezza delle contrapposte domande ed eccezioni proposte dalle parti, al fine di decidere circa la incidenza della potenziale soccombenza sull’onere delle spese. Tale valutazione di fondatezza delle contrapposte domande ed eccezioni proposte dalle parti, posta a fondamento della condanna alle spese dell’attore S.A., è stata compiuta dal Tribunale e poi condivisa dalla Corte di Perugia.

Il ricorrente avrebbe potuto dolersi nel merito contestando l’esistenza del presupposto per emettere la declaratoria di cessazione della materia del contendere, in ragione del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio (Cass. Sez. U, 09/07/1997, n. 6226, Cass. Sez. 3, 01/06/2004, n. 10478; Cass. Sez. 1, 28/05/2012, n. 8448; Cass. Sez. 6 – L, 13/07/2016, n. 14341).

Le decisioni del Tribunale e della Corte d’appello, invero, hanno affermato che fosse venuto meno il dovere del giudice di pronunziare sul merito della domanda, essendo svanito l’interesse delle parti alla decisione, con conseguente pronuncia a finale di rito.

I sette motivi del ricorso per cassazione non sono, allora, diretti a contestare preliminarmente l’esistenza del presupposto per emettere la declaratoria di cessazione della materia del contendere, ma formulano censure tutte relative alla validità della deliberazione assembleare 7 giugno 2007, da intendersi precluse per difetto di interesse (Cass. Sez. U, 09/07/1997, n. 6226, Cass. Sez. 3, 01/06/2004, n. 10478; Cass. Sez. 1, 28/05/2012, n. 8448; Cass. Sez. 6 – L, 13/07/2016, n. 14341).

Essendo sottratta all’ambito del devoluto in sede di legittimità la statuizione di cessazione della materia del contendere, la quale perciò è coperta da giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2, va invero ulteriormente evidenziato come spetti al giudice del merito, nel caso in cui dichiari cessata la materia del contendere, di deliberare, appunto – con apprezzamento di fatto la cui motivazione non postula certo di dar conto di tutte le risultanze probatorie e che è sindacabile in cassazione solo quando, a sua giustificazione, siano enunciati motivi formalmente illogici – il fondamento della domanda per decidere sulle spese secondo il principio della soccombenza virtuale, e cioè per decidere se la domanda avrebbe dovuto essere accolta o rigettata nel caso in cui non fosse intervenuta la cessazione della materia del contendere.

4. Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 11 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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