Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.31665 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta M.C. – Presidente –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 22540/2014 proposto da:

Agenzia delle Entrate rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12;

– ricorrente –

contro

B.A.;

– intimata –

Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale della Campania n. 1439134/2014 depositata il 12/02/2014.

Udita la relazione del Consigliere Dott. Catello Pandolfi nella Camera di consiglio del 9/02/2021.

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR Campania n. 1439/34/2014, depositata il 12.02.2014.

La vicenda trae origine dalla vendita da parte di B.A. di un terreno in ***** (*****).

Per tale operazione l’Ufficio aveva notificato alla venditrice un avviso di accertamento *****, per l’anno 2006, di maggiori IRPEF, addizionali e sanzioni a seguito della determinazione della plusvalenza realizzata dalla vendita medesima.

Peraltro, ai fini dell’imposta di registro, per la stessa compravendita era stata dichiarato un prezzo di vendita pari ad Euro 1.088.640,00 a fronte del quale era stato accertato dall’Ufficio il prezzo di Euro 1.633.050,00 e l’avviso di liquidazione relativo all’imposta di registro era stato impugnato.

Sulla base dei dati relativi all’imposta di registro, l’ufficio aveva calcolato ai fini IRPEF una plusvalenza di Euro 541.492,00.

La contribuente aveva opposto l’avviso di accertamento oggetto del giudizio. La CTP di Napoli aveva accolto il ricorso e la CTR aveva respinto l’appello dell’Amministrazione, confermando il primo giudizio.

L’Ufficio ricorre deducendo un unico motivo per violazione dell’art. 295 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto il giudice regionale non aveva sospeso il giudizio relativo alla determinazione del reddito dal plusvalenza malgrado fosse ancora in corso l’appello relativo al contenzioso sulla determinazione dell’imposta di registro, avente carattere pregiudiziale rispetto al giudizio in tema di IRPEF.

Non si è costituita la contribuente rimasta intimata.

CONSIDERATO

che:

L’Ufficio ha, dunque, ritenuto che la decisione del giudice regionale adito in tema di determinazione dell’imposta sul reddito fosse stata illegittima in quanto adottata quando era ancora pendente la causa pregiudiziale e ciò nondimeno definendo la causa pregiudicata.

Quanto dedotto dalla ricorrente, perché sussista l’interesse concreto e attuale all’impugnazione, implica però che il rapporto di pregiudizialità sia tuttora pendente Questa Corte ha, infatti, affermato che “La sospensione del processo presuppone che il rapporto di pregiudizialità tra due cause sia concreto ed attuale, nel senso che la causa ritenuta pregiudiziale deve essere tuttora pendente, non giustificandosi diversamente la sospensione, che si tradurrebbe in un inutile intralcio all’esercizio della giurisdizione…” (Sez. 6 – 3, 21/10/2019, n. 26716).

Nel caso in esame, la suddetta condizione non sussiste. Ed infatti, quando è stata adottata la sentenza della CTR della Campania n. 1439/34/2014, depositata il 10/02/2014, qui impugnata, era stata già emessa la sentenza pregiudiziale della stessa CTR n. 125/17/13, depositata il 6/05/2013.

La decisione era stata poi impugnata dalla contribuente per la sua cassazione ed il conseguente giudizio di legittimità è stato definito con l’ordinanza n. 7279 del 2019. La stessa Agenzia delle Entrate, nel corso di quel giudizio, aveva informato che la contribuente si era avvalsa della procedura di definizione agevolata di cui al D.L. n. 50 del 2017, per cui era stato dichiarato estinto, per cessazione della materia del contendere.

Ne discende l’inammissibilità del ricorso in esame per sopravvenuto difetto di interesse.

Nulla va definito sulle spese non essendosi costituita la parte intimata.

Non ricorrono le condizioni per il versamento del c.d. doppio contributo da parte della ricorrente Agenzia delle Entrate, in base al principio generale dell’assetto tributario che lo Stato e le pubbliche amministrazioni non sono tenute a versare imposte o tasse che gravano sul processo (e il doppio contributo ha natura tributaria), per le evidenti ragioni che lo Stato verrebbe ad essere al tempo stesso debitore e creditore di se stesso, con la conseguenza che l’obbligazione non sorge (Cass. n. 9938 del 2014).

P.Q.M.

Dichiara l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto d’interesse.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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