Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.31670 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11057 del ruolo generale dell’anno 2019 proposto da:

T.G., titolare della ditta individuale ”

G.T.”, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Roberto A. Jacchia, Antonella Terranova, Fabio Ferraro e Daniela Agnello per procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliati in Roma, via Vincenzo Bellini, n. 24, presso lo studio dei primi tre difensori;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è

domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 4317/25/2018, depositata in data 11 ottobre 2018;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno 13 maggio 2021 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

RITENUTO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle dogane e dei monopoli aveva notificato a T.G., titolare della omonima ditta individuale, un avviso di accertamento con il quale era stato contestato il mancato versamento dell’imposta unica sulle scommesse per il periodo febbraio 2012-dicembre 2012, attività svolta per conto di Stanleybet Malta Limited; avverso l’atto impositivo il contribuente aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Mantova; avverso la pronuncia del giudice di primo grado il contribuente aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: sussisteva la soggettività passiva del contribuente al pagamento dell’imposta, tenuto conto dei principi affermati dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 27/2018;

il contribuente ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza, illustrato con successiva memoria, affidato a sei motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle dogane e dei monopoli depositando controricorso, illustrato con successiva memoria;

la società ha altresì depositato istanza con la quale ha chiesto la trattazione della causa alla pubblica udienza.

CONSIDERATO

che:

preliminarmente, va disattesa l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza;

in adesione all’indirizzo espresso dalle Sezioni unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass. Sez. Un., 5 giugno 2018, n. 14437), e non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass. Sez. Un., 23 aprile 2020, n. 8093);

in particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo;

nel caso in questione, il tema oggetto del giudizio è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte, ma non è inedito, in quanto compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti, da un lato, dalla Corte costituzionale (con la sentenza 14 febbraio 2018, n. 27) e, dall’altro, da quella unionale (con la sentenza in causa C-788/18, relativa alla Stanleybet Malta Limited); e i principi stabiliti da quelle Corti risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito;

così ampie e convergenti affermazioni inducono quindi a ritenere preferibile la scelta del procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non caratterizzate da peculiare complessità (sulla medesima falsariga, si veda Cass. 20 novembre 2020, n. 26480);

né può condurre a diversa considerazione la giurisprudenza penale di questa Corte cui la ricorrente fa riferimento con la memoria, secondo quanto si avrà modo di specificare in seguito;

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4), e dell’art. 111Cost., comma 6, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3 e art. 36, comma 2, n. 4), per non avere esaminato il motivo di appello relativo alla violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, anche in relazione alla L. n. 241 del 1990, art. 3, per carenza di motivazione dell’atto impugnato;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4), e dell’art. 111Cost., comma 6, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3, e art. 36, comma 2, n. 4), per non avere esaminato il motivo di appello relativo alla violazione o falsa applicazione della L. n. 288 del 1998, art. 1, comma 2, lett. b), e degli artt. 1326, 1327 e 1336, c.c., per insussistenza del profilo territoriale del presupposto di applicazione del tributo;

con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4), e dell’art. 111Cost., comma 6, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3 e art. 36, comma 2, n. 4), per non avere esaminato la questione della violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, in materia di applicabilità dell’esimente della sanzione;

i motivi sono inammissibili perché formulati in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6);

il ricorrente, infatti, si limita a dedurre di aver proposto le censure in appello e, seppure indica l’atto processuale di gravame, omette di riprodurne il contenuto, almeno per la parte rilevante; né indica nei motivi se e dove abbia proposto le censure con il ricorso introduttivo, di cui neppure riproduce i contenuti pertinenti;

invero, in tema di ricorso per cassazione, ove la parte deduca un error in procedendo per omessa pronuncia su una domanda “e’ necessario, ai fini del rispetto del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli dell’atto d’appello con cui le censure sono state formulate” (Cass. n. 11738 del 08/06/2016; Cass. n. 19410 del 30/09/2015); né rileva l’esistenza, in relazione al vizio lamentato, del potere di diretto esame degli atti da parte della Corte che “presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso” (Cass. n. 22880 del 29/09/2017), senza necessità, dunque, per la Suprema Corte di ricercare autonomamente negli atti i corrispondenti profili ipoteticamente rilevanti (v. ora, sul punto, Sez. U, n. 34469 del 27/12/2019);

peraltro, con riferimento al primo motivo, nel postulare la mancata pronuncia sul difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, sia con riferimento alla esatta indicazione della genesi, natura e ragioni della pretesa non risulta neppure precisato se il pvc stesso fosse stato o meno autonomamente portato a conoscenza del contribuente;

con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione dell’art. 56 e ss. TFUE, dei principi del Diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla L. di stabilità n. 2011, art. 1, comma 66, nonché di violazione del principio di legittimo affidamento;

con quinto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione dei principi di libera prestazione di servizi e proporzionalità, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla L. di Stabilità 2011, art. 1, comma 66;

i motivi sono infondati;

va precisato che le questioni sono già state oggetto di ripetuta e articolata disamina da parte di questa Corte a partire dalla sentenza n. 8757 del 30 marzo 2021, seguita da numerose altre (tra le tante, vd. Cass. civ. nn. 8907-8911/2021, Cass. n. 9079-9081/2021, Cass. n. 9144-9153 del 2021, Cass. n. 9160 del 2021, Cass. n. 9162 del 2021, Cass. n. 9168 del 2021, Cass. n. 9176 del 2021, Cass. n. 9178 del 2021, Cass. n. 9182 del 2021, Cass. n. 9184 del 2021, Cass. n. 9160 del 2021, Cass. n. 9516 del 2021, Cass. nn. 9528-9537 del 2021, Cass. nn. 9728-9735 del 2021), le cui motivazioni sono qui espressamente condivise e richiamate ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.;

merita di essere specificamente sottolineato, peraltro, che il quadro normativo pertinente è stato sottoposto all’esame della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso, fornendo chiari elementi per la soluzione degli ulteriori dubbi prospettati con il ricorso;

ciò precisato, con riferimento alla dedotta violazione dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di legittimo affidamento, nonché di libera prestazione di servizi e di parità di trattamento, oltre che di proporzionalità, l’attenzione va rivolta agli argomenti difensivi prospettati in ricorso ed ulteriormente approfonditi in sede di memoria, relativi alle ritenute frizioni con il diritto unionale;

in memoria, inoltre, il profilo centrale della linea difensiva seguita si fonda, in sostanza, sul riconoscimento della liceità dell’attività svolta nel tempo dalla ricorrente, come riconosciuta dalla giurisprudenza penale di questa Corte il che, secondo l’assunto di parte ricorrente, comporterebbe effetti anche sul piano strettamente fiscale e, inoltre, dovrebbe indurre a ritenere che la Corte di giustizia, con la pronuncia del 26 febbraio 2020, non avrebbe preso in considerazione la specificità della “peculiare posizione” nella si sarebbe venuto a trovare il bookmaker per il quale la ricorrente operava basata sulla illegittima ed originaria discriminazione dalla stessa subita nel tempo dall’autorità nazionale;

la linea difensiva seguita dalla ricorrente, più in particolare, si fonda sulla considerazione della natura sanzionatoria dell’intervento normativo di cui alla L. n. 220 del 2010, sicché la disciplina in esso contenuta troverebbe applicazione solo con riferimento allo svolgimento di una attività di gioco illecita, dunque non anche nei confronti della ricorrente, con la conseguenza che, ove applicata nei propri confronti, deriverebbe una violazione del principio di non discriminazione, della parità di trattamento nonché di legittimo affidamento e di libertà di stabilimento, determinando, inoltre, un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità, tra le sezioni civili e quelle penali, in ordine alla questione;

le considerazioni difensive in esame non possono trovare accoglimento;

va premesso che le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata, sicché rileva l’art. 56 TFUE, e, sul punto, la Corte di Giustizia, 26 febbraio 2020, causa C-788/18, ha preso diretta e specifica cognizione proprio delle medesime questioni sollevate con il ricorso, ed ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (punto 21 di Corte giust. in causa C-788/18), di modo che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la Stanleybet Malta, nello Stato membro interessato”;

va osservato, in generale, che, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale, costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: di conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C-42/07);

il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 64, i propri obiettivi, tra i quali si colloca “…l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”;

la prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte giust. in causa C-788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte giust. 1 dicembre 2011, causa C-253/09, punto 83);

la Corte di Giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmaker nazionali e bookmaker esteri, anzi, come ha pure sottolineato la Corte costituzionale (ancora con la sentenza n. 27/18), a seguire la tesi prospettata in ricorso si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione…”;

va evidenziato, a tal proposito, che la Corte di giustizia, se, col punto 17, in relazione al bookmaker, oltre che stabilire in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, col punto 24 specifica, in concreto, che, “…la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri”; sicché, conclude col punto 24, “…rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la Stanleybet Malta non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale”. Quanto al centro trasmissione dati, il punto 26 si limita a ribadire che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse “allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali” ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), ma ciò non toglie (punto 28) che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro;

la diversità della situazione, pertanto, è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero: nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce “…un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti” (Corte giust. 19 dicembre 2018, causa C-375/17, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, punto 66, richiamata al punto 18 della sentenza in causa C-788/18, cit.); e ciò in conformità agli obiettivi esplicitamente perseguiti dal legislatore italiano (L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 644), come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia. Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminatoria;

le suddette considerazioni rendono dunque priva di ogni fondamento sia l’asserita assimilazione dell’imposizione alle sanzioni, ipotizzandone una oggettiva finalità afflittiva, che, invece, è del tutto assente attesa la riferibilità della pretesa ad ordinari, seppur specifici, meccanismi impositivi, che l’assenza, come su evidenziato, di caratteri discriminatori, sia la prospettata esistenza di un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità in ordine alla questione;

la ricorrente, infatti, è considerata soggetto passivo d’imposta proprio per avere realizzato il presupposto impositivo dell’imposta in esame;

la giurisprudenza penale di questa Corte (Cass. pen., 10 settembre 2020, n. 25439), poi, ha esaminato la questione relativa alla realizzazione del reato di cui alla L. n. 401 del 1989, art. 4, comma 4-bis, ritenendo di dovere escludere la sussistenza del reato de quo in base alla considerazione che il bookmaker estero era stato “illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni…e la successiva trasmissione di dette scommesse all’allibratore non possono essere punite ai sensi della L. n. 401 del 1989, art. 4, comma 4 bis, dovendosi disapplicare la disciplina penale nazionale per contrasto con la normativa dell’Unione Europea”;

il riconoscimento della natura non illecita dell’attività svolta dal bookmaker estero privo di concessione, tuttavia, non implica la sottrazione dello stesso, e della ricevitoria, dall’ambito della disciplina dell’imposta unica, anzi, postula proprio la realizzazione del presupposto di imposta, secondo la specifica declinazione contenuta nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, che ha, come visto, disposto che: “Ferma restando l’obbligatorietà, ai sensi della legislazione vigente, di licenze, autorizzazioni e concessioni nazionali per l’esercizio dei concorsi pronostici e delle scommesse, e conseguentemente l’immediata chiusura dell’esercizio nel caso in cui il relativo titolare ovvero esercente risulti sprovvisto di tali titoli abilitativi, ai soli fini tributari: a) il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, si interpreta nel senso che l’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”; l’applicabilità della previsione normativa in esame esclude altresì che possa porsi una questione di violazione del principio di non discriminazione o di libertà di stabilimento, secondo quanto ulteriormente esposto in memoria, basata sulla considerazione della natura lecita dell’attività svolta, ovvero ancora che possa ritenersi che la Corte di Giustizia, con la pronuncia citata non abbia preso in considerazione la “specifica situazione” nella quale il bokmaker estero ha dovuto operare;

a parte il rilievo che la effettiva lesione del pregiudizio subito risulta solo affermato, ma non concretamente precisato e specificato, quel che rileva, come detto, è il fatto che la ricorrente, per il fatto di avere realizzato in Italia l’attività di trasmissione dati per conto del bookmaker estero, ha realizzato il presupposto dell’imposta e, dunque, è da considerarsi soggetto passivo del tributo e, sotto tale profilo, va fatto richiamo alla pronuncia della Corte di giustizia che, sul punto, ha escluso ogni violazione dei principi unionali citati;

7.3. quanto all’asserita violazione del principio dell’affidamento, al di là dei profili di inammissibilità della censura con riferimento alla posizione del ricevitore, in ordine alla quale, peraltro, la Corte costituzionale, con la sentenza citata, si è già espressa con la pronuncia di incostituzionalità relativamente alla portata innovativa retroattiva della norma, va rilevato, quanto alla posizione del bookmaker estero, che la stessa Corte costituzionale non ha posto in discussione il fatto che costui, anche privo di concessione, doveva essere considerato soggetto passivo dell’imposta unica anche prima della entrata in vigore della disposizione interpretativa, sicché non può porsi alcuna violazione del principio del legittimo affidamento; con il sesto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 64, comma 3, in relazione all’art. 3 Cost., comma 1, e art. 53 Cost., comma 1, a valle della sentenza n. 27/2018 della Corte costituzionale;

in particolare, parte ricorrente deduce che la sentenza della Corte costituzionale avrebbe depotenziato la natura dipendente della responsabilità solidale posta a carico del bookmaker estero per conto del quale opera il ricevitore nazionale, privilegiando una ricostruzione interamente privatistica della solidarietà, dando in tal modo per scontato che la traslazione dell’onere dell’imposta unica, dal ricevitore italiano percosso al bookmaker estero destinato a venire inciso, debba e comunque possa avvenire negozialmente agendo sull’entità delle commissioni;

sotto tale profilo, parte ricorrente evidenzia che la pronuncia della Corte costituzionale non ha precisato se il trasferimento inter partes dell’onere del tributo sia da intendersi come traslazione economica o giuridica, essendo stato tale profilo estraneo al perimetro della materia giudicata, ma potrebbe ravvisarsi una violazione dell’art. 3, Cost., essendo state le parti lasciate libere di negoziare l’an, il quantum ed il quomodo dell’incisione del ricevitore, nonché dell’art. 53 Cost., posto che un patto con il quale si lasciasse gravare l’onere del tributo, od una parte eccessiva e non proporzionale sul solo ricevitore, non sarebbe rispettoso del suddetto principio;

il motivo è inammissibile;

va osservato, in primo luogo, che la Corte costituzionale, con la pronuncia n. 27/2018, ha escluso, con riferimento ai rapporti successivi al 2011, quale quello di specie, la violazione dell’art. 53 Cost., atteso che, poiché il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi ed il bookmaker è disciplinato da un contratto dal quale sono regolate le stesse commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato, il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera;

la questione, poi, relativa alla violazione dell’art. 3 Cost., è stata ricostruita in termini ipotetici, evidenziando il fatto che soggetti in posizione e con caratteristiche oggettivamente diverse, come il bookmaker ed il suo ricevitore, sono sostanzialmente trattati in modo eguale, lasciando le stesse libere di negoziare l’an, il quantum ed il quomodo dell’incisione del ricevitore per effetto dell’Imposta unica, senza, tuttavia, che sia stato fornito alcun riscontro fattuale a quanto solo genericamente, ed in via ipotetica, prospettato, in particolare alla circostanza che, nel caso concreto, parte ricorrente non abbia potuto, in via negoziale, trasferire negozialmente sul bookmaker l’onere del pagamento dell’imposta;

in conclusione, i motivi sono infondati, con conseguente rigetto del ricorso;

con riferimento alle spese di lite, sussistono giusti motivi per la compensazione delle stesse atteso che l’intervento risolutore delle questioni, in epoca successiva alla proposizione del ricorso, ad opera della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia giustifica la compensazione delle spese di giudizio;

si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e compensa le spese di lite.

dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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