LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. GORI P. – rel. Consigliere –
Dott. ARMONE G. Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15099/2017 proposto da:
CORI DI R.A. & C. S.N.C., in persona del legale rappresentante p.t., R.A.G., A.M., STANLEYBET MALTA LIMITED, in persona del legale rappresentante pro tempore, STANLEY INTERNATIONAL BETTING LIMITED, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi, come da procure speciali in calce al ricorso, dagli avvocati Roberto A.
Jacchia, Antonella Terranova, Fabio Ferraro e Daniela Agnello, elettivamente domiciliati presso lo studio dei primi tre in Roma, alla via Vincenzo Bellini, n. 24;
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, n. 6568/29/2016 depositata il 9 dicembre 2016, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 13 maggio 2021 dal consigliere Dott. Gori Pierpaolo.
RILEVATO
che:
1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, veniva rigettato l’appello proposto dalla società Cori di R.A. & C. s.n.c., con sede in *****, dai soci R.A.G. e A.M., da Stanleybet Malta Limited e da Stanley International Betting Limited avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Sondrio n. 20/1/2014 in relazione all’avviso di accertamento per Giochi e Lotterie 2007-2012.
2. Emerge dalla sentenza impugnata che tale società ha svolto per conto delle coobligate solidali Stanley International Betting Limited (SIB) con sede in Liverpool e, controllata indiretta, Stanleybet Malta Limited (SB) con sede in La Valletta, priva di concessione, un’attività di raccolta di scommesse sportive a quota fissa; ad avviso dell’Agenzia delle dogane, che ha al riguardo fatto leva sugli esiti di una verifica fiscale svoltasi mediante accesso nei locali dell’agenzia di scommesse, la ditta individuale quale centro trasmissione dati (CTD) non si è limitata a trasmettere i dati informatici al bookmaker estero, ma ha sollecitato e raccolto le scommesse per poi, successivamente, pagare le vincite ai giocatori.
3. Ne è seguito un avviso di accertamento col quale l’Agenzia, per gli anni d’imposta 2007-2012 ha recuperato l’imposta unica prevista dal D.Lgs. 23 dicembre 1998. L’impugnazione proposta dai contribuenti è stata rigettata sia in primo che in secondo grado.
4. Il giudice d’appello ha aderito al prevalente e consolidato orientamento giurisprudenziale di merito secondo cui il CTD svolge una funzione di ricevitoria da ritenere assimilabile alla gestione per conto terzi contemplata dalla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, indipendentemente dalla mancanza di un potere d’ingerenza nella determinazione delle condizioni delle scommesse e questa disciplina non si pone in contrasto col diritto unionale, confermando in ogni parte la decisione di prime cure.
5. Contro questa sentenza parte contribuente propone ricorso per cassazione, illustrato con memoria, che affida a nove motivi, cui l’Agenzia delle dogane e dei monopoli replica con controricorso, che parimenti illustra con memoria. Parte contribuente deposita inoltre istanza per la trattazione in pubblica udienza o per la remissione ad una pubblica udienza.
RITENUTO
che:
6. Preliminarmente, l’istanza di trattazione/remissione della causa in pubblica udienza va disattesa. In adesione all’indirizzo espresso dalle sezioni unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass., sez. un., 5 giugno 2018, n. 14437), e allorquando non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass., sez. un., 23 aprile 2020, n. 8093). In particolare, la sede dell’adunanza carnerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo.
7. Nel caso in questione, il tema oggetto del giudizio non è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte (ad es. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8721 del 2021), né è inedito, in quanto compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti da un lato dalla Corte costituzionale (con la sentenza 14 febbraio 2018, n. 27) e dall’altro da quella della Corte di Giustizia (con la sentenza in causa C-788/18, relativa giustappunto alla Stanleybet Malta Limited) e i principi da quelle Corti stabiliti risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito. Così ampie e convergenti affermazioni inducono quindi a ritenere preferibile la scelta del procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non caratterizzate da peculiare complessità (sulla medesima falsariga, si veda Cass. 20 novembre 2020, n. 26480). Ne’ la giurisprudenza penale di questa Corte richiamata nell’istanza di rimessione alla pubblica udienza è idonea a incrinare i principi in questione, per le ragioni di seguito esplicate.
8. Quanto al profilo delle esigenze difensive, che pure si affaccia nell’istanza ed è ribadito nella memoria illustrativa, va anzitutto nuovamente sottolineato che, in conformità alla giurisprudenza sovranazionale, il principio di pubblicità dell’udienza, pur previsto dall’art. 6 CEDU e avente rilievo costituzionale, non riveste carattere assoluto e vi si può derogare in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali” (in particolare, Corte Cost. 11 marzo 2011, n. 80). Ad ogni modo, queste esigenze sono anche in concreto presidiate, perché le parti hanno illustrato la propria rispettiva posizione in esito alle pronunce della Corte costituzionale e della Corte di giustizia depositando osservazioni scritte.
9. Nel merito, conformemente a quanto riferito dalle parti nelle memorie autorizzate depositate anteriormente all’adunanza, va dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione alle pretese concernenti gli anni dal 2007 al 2010 quanto alla posizione del ricevitore, poiché l’Agenzia delle dogane ha allegato e documentato il sopravvenuto, corrispondente annullamento delle proprie iniziali pretese nei suoi confronti a seguito e per effetto della sentenza n. 27/18 della Corte costituzionale.
10. In relazione alla residua materia contesa, è in primo luogo inammissibile il primo motivo di ricorso con cui si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2020, artt. 7 e 12, nonché degli artt. 24 e 97 Cost, per violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale a tutela dei diritti dei difesa, per non avere la sentenza impugnata ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento in relazione alla mancata notifica del pvc ai soggetti responsabili in solido (Stanley International Betting Limited e Stanleybet Malta Limited) e, in subordine, con richiesta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE affinché la Corte di Giustizia chiarisca se i principi unionali siano applicabili o meno anche ai tributi non armonizzati.
11. I ricorrenti infatti non indicano come e dove avrebbero dedotto la questione nel primo grado del giudizio e non trascrivono il motivo del ricorso iniziale con cui sarebbe stata posta, e ciò determina un primo profilo di inammissibilità per difetto di specificità ed autosufficienza. Trascurano poi un secondo profilo di inammissibilità, ossia che la Corte di Giustizia ha già chiarato – e ciò rende anche irrilevante la richiesta di ulteriore pregiudiziale comunitaria – come l’imposta unica scommesse sia un tributo non armonizzato per cui il contraddittorio procedimentale non è espressamente previsto, e nei confronti del CTD presso il quale è intervenuta la verifica il contraddittorio endoprocedimentale è pacificamente intervenuto con consegna al gestore di copia di p.v.c. in data 18 ottobre 2012, al termine dell’accesso (cfr. p.26 controricorso). A fronte di ciò, il giudice d’appello correttamente afferma che SIB e SB sono mere coobbligate in solido nei confronti alle quali la L. n. 212 del 2000, art. 12 non estende le garanzie del contraddittorio, come confermato dal fatto che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 64, prevede per i sostituiti ed i responsabili d’imposta la mera facoltà di intervenire nel procedimento accertativo.
Ulteriore profilo di inammissibilità, il motivo non impugna specificamente quella parte della sentenza in cui la CTR accerta che il titolare della ricevitoria informò immediatamente l’ufficio legale dei coobbligati in solido, ricevendone indicazioni sui tempi da richiedere all’amministrazione per le necessarie produzioni documentali e, dunque, anche tali soggetti sono stati messi nelle condizioni di eventualmente intervenire nel procedimento esprimendo le proprie difese non solo come avvenuto – in via mediata dando indicazioni al gestore, ma anche – se ritenuto del caso – in via immediata.
12. Il secondo motivo di ricorso, col quale si lamenta la violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 12, e dei principi di chiarezza e trasparenza amministrativa, anche in relazione alla L. n. 241 del 1990, art. 3, là dove la Commissione tributaria regionale ha ritenuto l’avviso di accertamento adeguatamente motivato, anche in ordine all’aliquota d’imposta applicata, è inammissibile per carenza di autosufficienza e perché non è congruente col contenuto della decisione.
Sotto un primo profilo, a fronte dell’affermazione contenuta a pag.3 della sentenza secondo cui “l’avviso di accertamento (…) contiene chiara ed esauriente motivazione della pretesa fiscale, l’indicazione degli imponibili rilevati e dell’imposta dovuta”, non si allega il contenuto dell’avviso, al fine di dimostrare che con esso l’Agenzia si è limitata a enunciare la pretesa impositiva, senza indicarne petitum e causa petendi e senza ricostruirne gli elementi costitutivi (tenuto conto delle precisazioni rese da questa Corte, per le quali si veda, tra le altre, Cass. 21 novembre 2018, n. 30039). Sotto un secondo aspetto, la censura ignora l’ulteriore accertamento contenuto in sentenza secondo cui “il pvc notificato a Cori Snc reca anche precisa esposizione delle aliquote applicate” (ibidem). Questa statuizione, in uno con l’accertamento del giudice d’appello dell’estensione anche all’ufficio legale delle coobbligate in solido della dettagliata e reciproca informazione e confronto circa la verifica in corso, comporta l’applicazione del principio reiteratamente affermato da questa Corte in base al quale, in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, dello statuto dei diritti del contribuente, art. 7, comma 1, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (tra le altre, Cass. 19 novembre 2019, n. 29968; 10 luglio 2020, n. 14723).
13. Il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, il settimo, l’ottavo e il nono motivo vanno esaminati insieme, perché concernono tutti, sotto diversi profili, i presupposti dell’imposta unica sulle scommesse.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla legge di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b), là dove il giudice d’appello ha ritenuto il centro di trasmissione dati soggetto passivo del tributo.
Col quarto motivo si fa valere la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 1, come interpretato dalla legge di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. a), perché la Commissione tributaria regionale avrebbe errato nel ritenere integrato il profilo oggettivo del presupposto dell’imposta unica.
Col quinto motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 111 Cost ., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3 e art. 36, comma 2, nn. 2) e 4) e art. 112 c.p.c. per non aver la CTR esaminato la doglianza di eccepita violazione e falsa applicazione della L. n. 288 del 1998, art. 1, comma 2, lett. b), e degli artt. 1326, 1327 e 1336 c.c., perché la Commissione tributaria regionale avrebbe errato nel configurare in capo al centro di trasmissione dati il profilo territoriale del tributo.
Col sesto motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. in riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, artt. 1 e 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 64, comma 3, e della legge di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b).
Col settimo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza delle leggi ex art. 3 Cost. sotto molteplici profili, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della legge di stabilità 2011, art. 1, commi 64 e 66, lett. b).
Con l’ottavo motivo di ricorso, si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione dell’art. 56 e s.s. TFUE, e dei principi del Diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 1, come interpretato dalla legge di stabilità 2011, art. 1, comma 66, nonché per violazione del principio di legittimo affidamento. In subordine, è stato chiesto il rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, comma 2.
Con il nono motivo si sottolinea la violazione o falsa applicazione del principio dell’equo processo stabilito dall’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dell’art. 117 Cost., comma 1, sempre con riguardo alle norme in questione.
14. I motivi non possono trovare ingresso. La Corte rammenta che sin dalle origini il tributo sui giochi e le scommesse, che è frutto del percorso evolutivo iniziato con la tassa di lotteria (D.Lgs. 14 aprile 1948, n. 496, art. 6), è stato pensato in relazione alle attività di gioco: già nella relazione ministeriale al disegno di legge istitutivo dell’imposta unica n. 2033 presentato il 15 giugno 1951, si leggeva, quanto ai giochi riservati al CONI e all’UNIRE, che questi “debbono allo Stato, per l’esercizio delle attività di giuoco predette, la corresponsione di una tassa di lotteria”. Sicché il presupposto dell’imposizione non è stato correlato alla giocata in sé, ma alla prestazione di un servizio, che e’, appunto, il servizio di gioco. Il prelievo colpisce dunque il prodotto che è offerto al consumatore tramite l’organizzazione dell’attività, sotto forma di servizio.
15. E queste ragioni di ordine storico e sistematico innervano il quadro normativo odierno, che è così articolato:
– conformemente al D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, volto al riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma della L. 3 agosto 1998, n. 288, art. 1, comma 2, l’imposta unica è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero;
– Il suddetto D.Lgs. n. 504 del 1988, art. 3, intitolato ai soggetti passivi, stabilisce che “Soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”; a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, “a) (…) l’imposta unica (…) è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze -amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) il D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze -amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”;
– il decreto economia e finanze D.M. 1 marzo 2006, n. 111, art. 16 prevede che il concessionario effettui il pagamento delle somme dovute a titolo di imposta unica;
– ai sensi della L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 644, lett. g), l’imposta unica si applica “su di un imponibile forfetario coincidente con il triplo della media della raccolta effettuata nella provincia ove è ubicato l’esercizio o il punto di raccolta, desunta dai dati registrati nel totalizzatore nazionale per il periodo d’imposta antecedente a quello di riferimento”.
Questo quadro normativo è stato sottoposto all’esame sia della Corte costituzionale sia della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso, fornendo chiari elementi per la soluzione degli ulteriori dubbi prospettati con la memoria illustrativa.
16. La Corte costituzionale (con la sentenza 23 gennaio 2018, n. 27) ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio), ma ha riconosciuto che il legislatore con la L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, da un canto ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e, d’altro canto, ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni.
A questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al bookmaker) sia irragionevole. Entrambi i soggetti, difatti, ha sottolineato quella Corte, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione. In particolare, ha rimarcato, il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker.
17. Della sussistenza di autonomi rapporti obbligatori -che ai fini tributari sono avvinti dal nesso di solidarietà per conseguenza paritetica, e non già dipendente- non dubita, d’altronde, la giurisprudenza civile di questa Corte, la quale, sia pure con riguardo al gioco del lotto, ha chiarito, appunto, che sono due i rapporti obbligatori, quello concluso tra lo scommettitore e il raccoglitore e quello che si instaura tra lo scommettitore ed il gestore (Cass. 27 luglio 2015, n. 15731). La stessa giurisprudenza penale citata in memoria dai contribuenti (ossia Cass. 9 luglio 2020, n. 25439) evidenzia la rilevanza dei ruolo del ricevitore appartenente alla rete distributiva del bookmaker (punto 5), consistente nella “raccolta e trasmissione delle scommesse per conto di quest’ultimo, rilasciando le ricevute emesse dal terminale di gioco -con le annesse attività di incasso delle poste e di pagamento delle eventuali vincite-“.
Sicché, ha concluso la Corte costituzionale, quanto al ricevitore l’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale. Ne’, ha aggiunto, la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato. Ciò perché attraverso la regolazione delle commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera.
18. La rivalsa svolge quindi funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poiché redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, che hanno comunque realizzato, sia pure in vario modo, il presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione. Per conseguenza la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può difatti procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si è già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla L. n. 220 del 2010.
Quella Corte ha anche chiarito (punto 4.5) che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore. Ne consegue anzitutto che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011 non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker, con o senza concessione, in base alla combinazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. a), usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale.
19. Ferma restando dunque per tutti i periodi d’imposta la responsabilità del bookmaker, in relazione al ricevitore a tale conclusione deve pervenirsi per le annualità a decorrere dal 2011. Invero, va osservato che l’incostituzionalità della norma in esame è stata riscontrata dalla Corte “in ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011” con conseguente violazione dell’art. 53 Cost., “giacché l’entità delle commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristalizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla L. n. 220 del 2010” (Ibid. punto 4.5.). A fondamento, dunque, della pronuncia di incostituzionalità è stata la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti in data antecedente alla introduzione della soggettività passiva della ricevitoria del bookmaker privo di concessione, ed è stato dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura delle commissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmaker.
20. La suddetta ragione di incostituzionalità, tuttavia, non è stata ravvisata per i “rapporti successivi al 2011” (Ibid. punto 4.4.), quindi non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma. In entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, alla luce e tenendo conto proprio della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria.
In questo ambito, invero, la solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della L. n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto.
21. Una attenzione specifica, inoltre, va rivolta agli argomenti difensivi prospettati in ricorso ed ulteriormente approfonditi in sede di memoria, relativi alle ritenute frizioni con il diritto unionale e alla prospettazione di violazione del diritto di non discriminazione, di parità di trattamento e del principio di non affidamento. In memoria, inoltre, il profilo centrale della linea difensiva seguita si fonda, in sostanza, sul riconoscimento della liceità dell’attività svolta nel tempo dalla ricorrente, come riconosciuta dalla giurisprudenza penale di questa Corte il che, secondo l’assunto di parte, comporterebbe effetti anche sul piano strettamente fiscale e, inoltre, dovrebbe indurre a ritenere che la Corte di giustizia, con la pronuncia del 26 febbraio 2020, non avrebbe preso in considerazione la specificità della “peculiare posizione” nella quale la ricorrente si sarebbe venuta a trovare basata sulla illegittima ed originaria discriminazione dalla stessa subita nel tempo dall’autorità nazionale.
La linea difensiva seguita dalla ricorrente si fonda sulla considerazione della natura sanzionatoria dell’intervento normativo di cui alla L. n. 220 del 2010, sicché la disciplina in esso contenuta troverebbe applicazione solo con riferimento allo svolgimento di una attività di gioco illecita, dunque non anche nel caso di specie, con la conseguenza che, ove applicata nei propri confronti, deriverebbe una violazione del principio di non discriminazione, della parità di trattamento nonché di legittimo affidamento e di libertà di stabilimento, determinando, inoltre, un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità, tra le sezioni civili e quelle penali, in ordine alla questione.
22. Le considerazioni difensive in esame non possono trovare accoglimento. Va ribadito che le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata, sicché rileva l’art. 56 TFUE, e, sul punto, la Corte di Giustizia, 26 febbraio 2020, causa C-788/18, ha preso diretta e specifica cognizione proprio delle medesime questioni sollevate con il ricorso, e al punto 21 della autorevole decisione ha escluso ogni forma di discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti.
In generale, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C-42/07), ed il legislatore nazionale ha espressamente proceduto a questa valutazione come esplicitato nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 64, mirando alla “tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”, nel rispetto delle sue prerogative (Corte giust. in causa C-788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte giust. 1 dicembre 2011, causa C-253/09, punto 83).
23. A ben vedere, come ha pure sottolineato la Corte costituzionale (ancora con la sentenza n. 27/18), a seguire la tesi prospettata in ricorso si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: se è vero che la Corte di giustizia al punto 17, in relazione al bookmaker reitera in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, al punto 22 specifica, in concreto, che, “la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri”; sicché, conclude col punto 24, “rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la Stanleybet Malta non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale”.
Quanto al centro trasmissione dati, il punto 26 si limita poi a ribadire che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse “allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali” ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), ma ciò non toglie (punto 28) che la situazione del centro che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro.
La diversità della situazione, pertanto, è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero: nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce “un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti” (Corte giust. 19 dicembre 2018, causa C-375/17, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, punto 66, richiamata al punto 18 della sentenza in causa C-788/18, cit.); e ciò in conformità agli obiettivi esplicitamente perseguiti dal legislatore italiano (L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 644), come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia. Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminatoria.
Le suddette considerazioni rendono dunque priva di ogni fondamento sia l’asserita assimilazione dell’imposizione alle sanzioni, ipotizzandone una oggettiva finalità afflittiva, che, invece, è del tutto assente attesa la riferibilità della pretesa ad ordinari, seppur specifici, meccanismi impositivi, sia l’assenza, come su evidenziato, di caratteri discriminatori, sia la prospettata esistenza di un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità in ordine alla questione. Stanleybet, infatti, è considerata soggetto passivo d’imposta proprio per avere realizzato, per il tramite di propri centri di trasmissione dati operanti in Italia, il presupposto impositivo dell’imposta in esame.
24. La giurisprudenza penale di questa Corte (Cass. pen., 10 settembre 2020, n. 25439), poi, ha esaminato la questione relativa all’integrazione del reato di cui alla L. n. 401 del 1989, art. 4, comma 4bis, ritenendo di dovere escluderne la sussistenza in base alla considerazione che la ricorrente era stata illegittimamente esclusa dai bandi di gara attributivi delle concessioni e che la successiva trasmissione di dette scommesse all’allibratore non può essere oggetto di punizione ai sensi della L. n. 401 del 1989, art. 4, comma 4 bis, dovendosi disapplicare la disciplina penale nazionale per contrasto con la normativa dell’Unione Europea. Il riconoscimento della natura non illecita dell’attività svolta dalla ricorrente, tuttavia, non implica la sottrazione della stessa all’ambito della disciplina dell’imposta unica, anzi, postula proprio la realizzazione del presupposto di imposta, secondo la specifica declinazione contenuta nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, che ha, come visto, disposto che: “Ferma restando l’obbligatorietà, ai sensi della legislazione vigente, di licenze, autorizzazioni e concessioni nazionali per l’esercizio dei concorsi pronostici e delle scommesse, e conseguentemente l’immediata chiusura dell’esercizio nel caso in cui il relativo titolare ovvero esercente risulti sprovvisto di tali titoli abilitativi, ai soli fini tributari: a) il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, si interpreta nel senso che l’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”.
L’applicabilità della previsione normativa in esame esclude altresì che possa porsi una questione di violazione del principio di non discriminazione o di libertà di stabilimento, secondo quanto ulteriormente esposto in memoria, basata sulla considerazione della natura lecita dell’attività svolta, ovvero ancora che possa ritenersi che la Corte di Giustizia, con la pronuncia citata non abbia preso in considerazione la “specifica situazione” nella quale la ricorrente ha dovuto operare.
A parte il rilievo che il pregiudizio subito risulta solo affermato, ma non concretamente precisato e specificato, quel che rileva è che la ricorrente, per il fatto di avere realizzato in Italia l’attività di gestione della raccolta delle scommesse per il tramite di propri centri di trasmissione dati, ha realizzato il presupposto dell’imposta e, dunque, è da considerarsi soggetto passivo del tributo e, sotto tale profilo, va fatto richiamo alla pronuncia della Corte di giustizia che, sul punto, ha escluso ogni violazione dei principi unionali citati.
25. Le considerazioni sopra espresse costituiscono i profili di fondo sulla cui linea deve ritenersi che le ragioni di censura prospettate sono infondate.
26. In particolare, è infondato il terzo motivo di ricorso, col quale si assume che la funzione gestoria postuli l’assunzione del rischio d’impresa, l’esercizio della funzione decisionale e organizzatoria in ordine alla fissazione degli eventi oggetto di scommessa, delle quote e dei criteri di accettazione e la titolarità del rapporto giuridico di scommessa con lo scommettitore, in base alle considerazioni che precedono in ordine all’accezione di gestione del ricevitore, come illustrata da Corte Cost. n. 27 del 2018 e confermata dalla giurisprudenza civile e penale di questa Corte.
27. E’ infondato il quarto motivo, col quale si torna a sostenere l’irrilevanza dell’attività svolta dalla ricevitoria.
28. E’ infondato il quinto motivo, da un lato in quanto ai fini dell’art. 112 c.p.c. la pronuncia sul motivo, individuato con precisione a pag. 2 della sentenza (“4. Violazione e falsa applicazione della L. n. 288 del 1988, art. 1, comma 2, lett. b) (…)”), è espressamente intervenuta alle pagg. 3 e s.s. (“In ordine alle doglianze sub 3. – 4. – 5. sopra esposte, tutte afferenti a diversi ma strettamente connessi aspetti dell’applicabilità del tributo al caso in questione (…)”). Dall’altro, sotto il profilo della violazione di legge, in quanto con il mezzo si fa leva, in relazione al ricevitore, sulla conclusione del contratto di scommessa, perché il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta (così Cass. n. 15731/15, cit.); attività, queste, tutte svolte in Italia.
29. E’ infondato il sesto motivo, là dove si sostiene che sia compatibile col principio di capacità contributiva soltanto un meccanismo d’imposizione che consenta di far gravare sui soli scommettitori l’onere del tributo, giacché e’, invece, il meccanismo di traslazione dell’imposta tra bookmaker e ricevitore a garantire l’osservanza dei principio in questione.
30. E’ infondato il settimo motivo, col quale si fa leva sui principi di uguaglianza e di ragionevolezza delle leggi, già esaminati da Corte Cost. n. 27 del 2018. Inoltre, non può trovare ingresso l’ulteriore profilo di censura, pure prospettato nell’ambito del motivo di ricorso, relativo alla irragionevolezza della norma interpretativa nella parte in cui, prevedendo la imponibilità anche delle scommesse a quota fissa offerte con modalità transfrontaliera in assenza di concessione, non ha tenuto conto del fatto che il movimento delle suddette scommesse, proprio in quanto realizzate fuori sistema, non viene rilevato, sicché la base imponibile viene determinata senza considerare il movimento netto reale, essendo le stesse escluse dalla formazione del movimento netto che determina l’applicazione delle aliquote, con la conseguenza che verrebbero applicate aliquote superiori a quelle che avrebbero dovuto applicarsi per legge. Il profilo di censura è inammissibile per difetto di specificità, posto che parte ricorrente postula solo in astratto la circostanza che l’applicazione della disciplina di determinazione del movimento netto sul quale commisurare l’aliquota dell’imposta unica anche nel caso di scommettitore privo di concessione, avrebbe determinato l’applicazione dell’aliquota massima che diversamente, ove si fossero considerate anche le scommesse fuori sistema, non sarebbe stata applicata. In realtà, rispetto al criterio di commisurazione dell’aliquota secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 4, comma 1, lett. b), n. 3), valevole per tutti i soggetti che svolgono l’attività di raccolta delle scommesse, in alcun modo parte ricorrente deduce o allega in ordine al fatto che l’eventuale considerazione delle scommesse “fuori sistema” avrebbe potuto incidere diversamente sulla determinazione dell’imponibile e sull’applicazione dell’aliquota operata dall’amministrazione doganale secondo le prescrizioni di legge.
31. E’ infondato anche l’ottavo motivo, e non accoglibile la richiesta di rinvio pregiudiziale, alla luce della giurisprudenza unionale già sopra illustrata con riferimento anche alle deduzioni contenute nella memoria autorizzata, dal momento che la Corte di giustizia ha già risolto, tra l’altro, le questioni di parità di trattamento e non discriminazione. Al riguardo, giova rammentare che le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata, sicché i giochi d’azzardo rilevano, ai fini del diritto unionale, in relazione alle norme concernenti la libera prestazione di servizi presidiata dall’art. 56 TFUE (Corte giust. 26 febbraio 2020, causa C-788/18, punto 17).
Inoltre, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, come sopra visto gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: ne consegue che, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C-42/07 punti 56, 57 e 59 e giurisprudenza citata).
32. Si ribadisce che il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 64, i propri obiettivi, tra i quali si colloca “l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”. La prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte giust. in causa C-788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte giust. 1 dicembre 2011, causa C-253/09, punto 83).
In questo contesto la normativa italiana, come già segnalato, ha superato il vaglio della giurisprudenza unionale. La Corte di giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti, di modo che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la Stanleybet Malta, nello Stato membro interessato” (punti 21 e 24 di Corte giust. in causa C-788/18).
33. Anzi, come ha sottolineato la Corte costituzionale con la sentenza n. 27/18 aderendo alla giurisprudenza tributaria consolidatasi sul punto, a seguire la tesi prospettata in ricorso e ribadita in memoria si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione” (punto 4.3. sentenza Consulta cit.).
Ne’ v’e’ l’incongruenza alcuna nella più volte citata sentenza della Corte di Giustizia. Quanto al centro trasmissione dati, col punto 26 ci si limita a ribadire che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse “allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali” ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b). Ma ciò non toglie, si aggiunge al punto 28, che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro.
La statuizione non è affatto oscura, come si deduce in memoria, giacché la diversità della situazione è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero: nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce “un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti” (Corte giust. 19 dicembre 2018, causa C-375/17, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, punto 66), e ciò in conformità agli obiettivi perseguiti dal legislatore italiano, dinanzi indicati, come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia. Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminator a.
34. Con riferimento, infine, alla questione della violazione del principio dell’affidamento, la stessa è stata prospettata in relazione alla portata innovativa della disposizione interpretativa della legge del 2010 che avrebbe introdotto, improvvisamente e imprevedibilmente la responsabilità delle ricevitorie dei bookmaker privi di concessione. Il profilo di censura è inammissibile, posto che la ricorrente prospetta ragioni di lesione del principio del legittimo affidamento che non attengono al bookmaker. La Corte costituzionale in ogni caso, con la sentenza citata, si è già espressa con la pronuncia di incostituzionalità con riferimento alla posizione del bookmaker estero, senza porre in discussione il fatto che esso, privo di concessione, dovesse essere considerato soggetto passivo dell’imposta unica anche prima della entrata in vigore della disposizione interpretativa, sicché non può porsi alcuna violazione del principio del legittimo affidamento.
35. Non sussistono, per tali ragioni, i presupposti per un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, neppure ponendosi una questione di interpretazione della precedente statuizione della Corte: le questioni sollecitate in memoria, per un verso, si risolvono in una critica della sentenza resa nella causa C-788/18, che si rivela sterile per le ragioni esplicate, e, per altro verso, sembrano postulare che la Corte di giustizia abbia riconosciuto nella propria giurisprudenza precedente la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei centri di trasmissione dati, mentre la stessa Corte, “pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale” (Corte giust., in causa C-375/17, cit., punto 67).
In questo quadro, si ribadisce che la giurisprudenza penale di questa Corte citata in memoria (Cass. pen. 9 luglio 2020, n. 25439) è irrilevante. Essa si riferisce difatti alla diversa questione della rilevanza penale dell’attività d’intermediazione e di raccolta delle scommesse, che questa Corte ha escluso, in base alla giurisprudenza unionale, qualora l’attività di raccolta sia compiuta in Italia da soggetti appartenenti alla rete commerciale di un bookmaker operante nell’ambito dell’Unione Europea che sia stato illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni: e ciò perché in tal caso rileva la non conformità agli artt. 49 e 56 TFUE del regime concessorio interno. Difatti, ha sottolineato questa Corte con la sentenza in questione, “In forza dei principi affermati dalla Corte di giustizia (…) il mancato rispetto della disciplina amministrativa che non sia conforme al diritto dell’Unione Europea non può comportare l’applicazione di sanzioni penali”. Il fatto che non si risponda del reato di esercizio abusivo di attività di gioco o discommessa, previsto e punito dalla L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, commi 1 e 4-bis, nessuna influenza produce sulla soggettività passiva della imposta unica sulle scommesse, che il D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 riferisce a chiunque, con o senza concessione, gestisce i concorsi pronostici o le scommesse.
36. Infondato è il nono motivo di ricorso, col quale si prospetta l’incompatibilità dell’interpretazione retroattiva della norma interpretativa contenuta nella legge di stabilità per il 2011 con i principi dell’equo processo stabiliti dall’art. 6 CEDU. La compatibilità costituzionale dell’effetto retroattivo della legge in relazione all’art. 6 Cedu s’incentra sul rispetto del principio di affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico come specchio della ragionevolezza della legge; sicché occorre che l’intervento legislativo con effetti retroattivi sia sorretto da motivi imperativi d’interesse generale (tra varie, Corte Cost. 13 luglio 2017, n. 176). Laddove nel caso in esame sussiste il motivo imperativo, proprio delle leggi interpretative, di sciogliere incertezze, giacché la Corte costituzionale, con la sentenza n. 27/18, ha appunto riconosciuto alla L. n. 220 del 2010 la funzione di risolvere l’incertezza inerente all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3. 32. Infondato è il nono motivo di ricorso, col quale si prospetta l’incompatibilità dell’interpretazione retroattiva della norma interpretativa contenuta nella legge di stabilità per il 2011 con i principi dell’equo processo stabiliti dall’art. 6 CEDU. La compatibilità costituzionale dell’effetto retroattivo della legge in relazione all’art. 6 Cedu s’incentra sul rispetto del principio di affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico come specchio della ragionevolezza della legge; sicché occorre che l’intervento legislativo con effetti retroattivi sia sorretto da motivi imperativi d’interesse generale (tra varie, Corte Cost. 13 luglio 2017, n. 176). Laddove nel caso in esame sussiste il motivo imperativo, proprio delle leggi interpretative, di sciogliere incertezze, giacché la Corte costituzionale, con la sentenza n. 27/18, ha appunto riconosciuto alla L. n. 220 del 2010 la funzione di risolvere l’incertezza inerente all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3.
37. In conclusione, per la parte della materia del contendere non cessata, tutti i motivi di ricorso presentano profili di inammissibilità e di infondatezza, con conseguente complessivo rigetto.
L’intervento risolutore delle questioni in epoca successiva alla proposizione del ricorso, ad opera della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia, giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
PQM
Dichiara la cessazione della materia del contendere in relazione alle pretese concernenti gli anni dal 2007 al 2010 quanto alla posizione del ricevitore e dei suoi soci e rigetta il r corso nel resto, compensando le spese di lite.
La Corte dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, in presenza di soccombenza dei contribuenti sussistono i presupposti per il versamento in solido dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 13 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021
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