LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10434-2020 proposto da:
C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIAGO, 9, presso lo studio dell’avvocato EDOARDO SPIGHETTI, rappresentato e difeso dall’avvocato SILVANA GUGLIELMO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso il decreto n. cronol. 3901/2019 del TRIBUNALE di CATANZARO, depositato il 02/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO DI MARZIO.
RILEVATO
che:
1. – C.A., cittadino del Mali, ricorre per sei mezzi, illustrati da memoria, nei confronti del Ministero dell’interno, contro il decreto del 2 dicembre 2019 con cui il Tribunale di Catanzaro ha respinto, in conformità alla decisione della competente Commissione territoriale, la sua domanda di protezione internazionale o umanitaria.
2. – Non svolge difese l’amministrazione intimata, nessun rilievo potendosi riconoscere ad una comparsa di costituzione depositata ai soli fini dell’eventuale partecipazione alla discussione orale.
CONSIDERATO
che:
3. – Il primo mezzo denuncia violazione e mancata applicazione delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, sostenendo che il giudice “avrebbe dovuto, con l’utilizzo dei poteri ufficiosi a degli attribuiti, che richiama ma non esercita, meglio indagare sulle questioni che riguardano la regione di provenienza”.
Il secondo mezzo denuncia violazione dell’art. 15, lettera C, c.d. Direttiva Qualifiche, evidenziando che il giudice “e’ tenuto a verificare le condizioni di persecuzione di opinioni, abitudini, pratiche sulla base di informazioni esterne e oggettive relativi alla situazione reale del paese di provenienza”.
Il terzo mezzo denuncia violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, sulla valutazione circa la mancanza di credibilità, censurando il decreto impugnato per aver ritenuto che il richiedente non provenisse, come sosteneva, dalla regione di *****, ma dal *****, per il solo fatto, secondo il ricorrente non rilevante, che parlava la lingua di *****, ed ignorava del tutto invece quella di *****.
Il quarto mezzo denuncia violazione della L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 9, per non aver debitamente citato le informazioni sul Mali.
Il quinto mezzo denuncia violazione del disposto del D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 14, lett. c, censurando nuovamente il decreto impugnato per il diniego del riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi della disposizione menzionata.
Il sesto mezzo denuncia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, con conseguente violazione dell’art. 2 Cost. e degli artt. 3 e 8Convenzione Edu, censurando il decreto impugnato per aver negato anche la protezione umanitaria.
Ritenuto che:
4. – Il ricorso è inammissibile.
4.1. – Procedendo in ordine logico, è inammissibile il terzo mezzo, concernente la credibilità del richiedente, credibilità che il Tribunale ha escluso sulla base della plausibilissima considerazione, senz’altro eccedente la soglia del “minimo costituzionale”, egli non parlava la lingua della zona di *****, dalla quale pretendeva di provenire.
Orbene, in materia di protezione internazionale, il giudizio sulla credibilità del racconto del richiedente, da effettuarsi in base ai parametri, meramente indicativi, forniti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è sindacabile in sede di legittimità nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti – oltre che per motivazione assolutamente mancante, apparente o perplessa -spettando dunque al ricorrente allegare in modo non generico il fatto storico non valutato, il dato testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua decisività per la definizione della vertenza (Cass. 2 luglio 2020, n. 13578). Dunque, in caso di giudizio di non credibilità del richiedente, delle due l’una: o la motivazione è ” sotto soglia “, e allora si ricade nell’applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione alla previsione normativa dell’obbligo di motivazione; o la motivazione c’e’, e allora non resta se non dimostrare che il giudice di merito, nel formulare il giudizio di non credibilità, ha omesso di considerare un fatto, che era stato allegato e discusso, potenzialmente decisivo, per il fine della conferma della credibilità.
Nel caso di specie: a) la motivazione, come si è detto, c’e’ ed è sicuramente sopra soglia; b) il ricorrente non ha dedotto alcuno specifico fatto storico decisivo e controverso che il giudice di merito avrebbe ignorato, ma si è affidato ad generiche prospettazioni, confinate nel mondo delle ipotesi, quali quella secondo cui il padre, autoritario perché militare, poteva avere impedito al figlio, odierno ricorrente, oltre che di andare a scuola, anche di intrattenere qualunque rapporto con i suoi simili al di fuori dell’ambito familiare, ove non si parlava la lingua di *****.
Ciò detto, è cosa nota che il giudizio di non credibilità preclude l’accesso alla protezione sussidiaria (almeno) nelle ipotesi considerate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) (Sez. 6-1, n. 4892/2019, Rv. 652755-01; Sez. 1, n. 15794/2019; Rv. 654624-02; Id., n. 17174/2019, Rv. 654654-01; Sez. 6-1, n. 33096/2018, Rv. 652571-01) 4.2. – Il primo, secondo, quarto e quinto motivo reiterano sovrapponibili doglianze concernenti la circostanza secondo cui il Tribunale sarebbe venuto meno al proprio dovere di cooperazione istruttoria: affermazione, questa, evidentemente svolta nel disinteresse per il reale contenuto del provvedimento impugnato, il quale, alla pagina 9, richiama il più recente rapporto EASO, identificandolo attraverso il relativo link ipertestuale, e ne desume che la regione di provenienza del richiedente, il *****, è una delle aree più tranquille del paese ed è stata risparmiata da specifiche azioni di combattimento, sicché “Si tratta, come è chiaro, i numeri che appaiono ben lontani dal delineare una situazione di minaccia generalizzata nella regione di *****. In definitiva, la situazione della zona di provenienza del ricorrente… non è tale da far ritenere sussistente una situazione di conflitto generalizzato ai sensi dell’art. 14, lett. c.
Ora, siffatta affermazione perfettamente armonia con il principio che qui si ribadisce secondo cui: “In materia di protezione internazionale, il conflitto armato interno, tale da comportare minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ricorre in situazione in cui le forze armate governative di uno Stato si scontrano con uno o più gruppi armati antagonisti, o nella quale due o più gruppi armati si contendono tra loro il controllo militare di un dato territorio, purché detto conflitto ascenda ad un grado di violenza indiscriminata talmente intenso ed imperversante da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nella regione di provenienza – tenuto conto dell’impiego di metodi e tattiche di combattimento che incrementano il rischio per i civili, o direttamente mirano ai civili, della diffusione, tra le parti in conflitto, di tali metodi o tattiche, della generalizzazione, invece, localizzazione del combattimento, del numero di civili uccisi, feriti, sfollati a causa del combattimento – correrebbe individualmente, per la sua sola presenza su quel territorio, la minaccia contemplata dalla norma”.
A fronte di ciò, le censure spiegate mirano a ribaltare il giudizio di merito svolto dal Tribunale, per di più attraverso il richiamo a fonti che neppure riguardano specificamente la zona di provenienza del richiedente, sull’assunto, smentito dall’accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito, che egli non provenisse dal *****.
4.3. – E’ inammissibile il sesto mezzo.
Si tratta di una censura standardizzata, che si protrae per oltre quattro pagine, con lo svolgimento di considerazioni di ordine generale sulla protezione umanitaria, senza che sia detta neppure una comprensibile parola sul perché C.A. sarebbe persona individualmente vulnerabile.
Con particolare riguardo ad un non meglio identificato contratto di lavoro e buste paga, il Tribunale avrebbe omesso di considerare, è agevole osservare che, alla lettura del ricorso, non riesce a comprendersi di che cosa il ricorrente stia parlando, di quale lavoro e con quali caratteristiche, senza dire che detto contratto di lavoro e dette buste paga non sono neppure localizzate come richiesto dall’art. 366 c.p.c, n. 6.
Ma, ove pure volesse ritenersi che il contenuto del ricorso possa essere integrato ai fini dell’autosufficienza con il contenuto della sentenza impugnata (e così non e’), sta di fatto che il Tribunale, contrariamente a quanto sostenuto il ricorso, si sofferma sul tema ed afferma espressamente che il richiedente aveva lavorato per un mese circa, e che al momento della decisione era privo di fonte di sostentamento, sicché era da escludere una integrazione sociale 44 economica in Italia, mancando peraltro di una stabile situazione alloggiativa, e mostrando una scarsissima conoscenza della lingua italiana.
5. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 18 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021