LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1947-2020 proposto da:
O.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38, presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
avverso il decreto n. cronologico 10358/2.019 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 28/11/2019 R.G.N. 2500/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/06/2021 dal Consigliere Dott. PAGETTA ANTONELLA.
RILEVATO IN FATTO
Che:
1. con Decreto n. 10358 del 2019 il Tribunale di Venezia ha respinto l’impugnazione proposta da O.D., cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento con il quale la Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale aveva rigettato la domanda di protezione internazionale in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa;
2. dal decreto si evince che il ricorrente ha motivato l’allontanamento dal Paese di origine con le minacce di morte ricevute dallo zio il quale, dopo avere ucciso il di lui padre, voleva impossessarsi dei relativi beni; era stato, inoltre, minacciato di morte dai componenti della setta Amorc alla quale apparteneva il padre e che volevano indurlo a prenderne il posto; egli si era rifiutato in quanto il rito di iniziazione prevedeva che venissero portate alla cerimonia sette teste di uomini, pratica in contrasto con i principi della religione cristiano pentecostale alla quale richiedente apparteneva; sequestrato dai componenti della setta era riuscito a fuggire ed aveva deciso di lasciare la Nigeria;
3. il giudice del merito ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente in quanto dalle fonti consultate risultava che la setta Amorc era un movimento mistico filosofico non dedito alla pratica dei sacrifici umani né ad atti di violenza o di imposizione ed evidenziato la esistenza di contraddizioni tra la documentazione prodotta e le dichiarazioni rese dal richiedente in ordine alla data di morte del padre e in ordine alla religione praticata (cristiano cattolica- anziché cristiano pentecostale) e tra le stesse dichiarazioni rese in merito all’epoca nella quale avrebbe appreso della appartenenza del padre alla setta in oggetto;
3.1. ha ritenuto che la complessiva non credibilità del racconto escludeva la possibilità di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); non sussistevano, inoltre, i presupposti per la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. cit. art. 14, lett. c), in quanto le fonti consultate escludevano nell’Edo State, regione di provenienza del ricorrente, una situazione di violenza generalizzata; infine non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso di soggiorno in assenza di elementi di vulnerabilità, non desumibili dal narrato stante la non credibilità dello stesso; non vi era prova, infine, del raggiungimento in Italia di un adeguato livello di integrazione;
4. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso O.D. sulla base di cinque motivi; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1 ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Che:
1. con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 censurando il provvedimento impugnato in ordine alla valutazione di non credibilità del racconto del richiedente;
2. con il secondo motivo deduce omesso/errato esame delle dichiarazioni del richiedente rese dinanzi alla Commissione Territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente; denunzia violazione del dovere di cooperazione istruttoria ed errata applicazione del criterio di distribuzione dell’onere della prova;
3. con il terzo motivo deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, omessa applicazione dell’art. 10 Cost., contraddittorietà tra le fonti citate, relativo contenuto e conclusioni raggiunte, motivazione apparente. Sostiene che il contenuto della fonte informativa richiamata dal Tribunale non giustificava le conclusioni tratte dal giudice di merito in ordine all’assenza di una situazione di violenza generalizzata da conflitto armato interno nella regione di provenienza del richiedente;
4. con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 nonché difetto di motivazione e travisamento dei fatti; si duole in particolare del difetto di istruttoria relativa alla situazione socio economica del Paese di provenienza;
5. con il quinto motivo deduce: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario; violazione e falsa applicazione dell’art. 19 D.Lgs. cit. che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo Paese di origine o ivi possa incorrere in gravi rischi; omessa applicazione dell’art. 10 Cost.; omesso esame delle condizioni personali per l’applicabilità della protezione umanitaria e della necessaria comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella del Paese di provenienza nonché delle fonti relative alla condizione socioeconomica della Nigeria; evidenzia che la condizione di vulnerabilità giustificativa della protezione umanitaria può scaturire anche dalla mancanza nel Paese di origine di condizioni dignitose di vita nel rispetto dei diritti fondamentali ex art. 2 Cost.;
6. il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di specificità. Le critiche al provvedimento impugnato si sostanziano, infatti, nella evocazione di principi di carattere generale tratti dal disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in tema di valutazione della domanda di protezione ma non individuano l’errore di diritto in concreto ascritto al giudice di merito nel pervenire alla valutazione di non attendibilità del racconto del richiedente, limitandosi a proporre una lettura alternativa delle emergenze di causa. Nel caso di specie il Tribunale ha compiuto il dovuto esame del racconto del richiedente, vagliandolo alla luce di informazioni attendibili ed aggiornate relative al Paese di provenienza e alla luce delle contraddizioni riscontrate con la documentazione prodotta e nell’ambito delle stesse dichiarazioni rese, e lo ha ritenuto e non credibile; in tale contesto la doglianza del ricorrente intesa a sollecitare un ulteriore approfondimento istruttorio costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto nel rispetto dei parametri legali dell’art. 3 D.Lgs. cit., dandone adeguata motivazione, neppure adeguatamente censurata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5;
6.1. qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), ed in applicazione dei canoni di ragionevolezza e dei criteri generali di ordine presuntivo, l’accertamento o così compiuto dal giudice di merito integra un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. (v. ex multis Cass., n. 30105/2018, n. 29279/2019);
7. il secondo motivo di ricorso è inammissibile;
7.1. la denunzia di violazione di norma di diritto non risulta incentrata sul significato e sulla portata applicativa delle disposizioni (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a 9 e b), evocate peraltro, solo nella illustrazione del motivo e non nella formale rubrica dello stesso, come prescritto in caso di vizio astrattamente riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Cass. n. 287/2016, Cass. n. 635/2015, Cass. n. 25419/2014, Cass. n. 16083/2013, n. 3010/2012) ma sulla ricognizione della concreta fattispecie a mezzo delle risultanze di causa;
7.2. la deduzione di vizio di motivazione non è conforme all’attuale configurazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il quale esige che l’omesso esame concerna un “fatto”, inteso nel senso di fatto storico -fenomenico, di rilevanza decisiva, risultante dalla sentenza medesima o dagli atti di causa, evocato nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (ex plurimis Cass. Sez. Un. 8053/2014); parte ricorrente, viceversa, non indica alcuno specifico fatto, nel senso sopra chiarito, il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di merito; la deduzione di violazione del dovere di cooperazione istruttoria è formulata, infatti, con riferimento al tema della impossibilità di ottenere protezione dall’autorità statuale, questione non espressamente trattata dal giudice di merito per cui, a fronte di ciò, onde impedire una valutazione di novità della questione, era onere del ricorrente quello di allegare l’avvenuta deduzione di esso innanzi al giudice di merito ed inoltre, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, quello di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito (Cass. 20694/2018, 15430/2018, 23675/2013), come viceversa non è avvenuto; le considerazioni che precedono assorbono l’ulteriore profilo di inammissibilità collegato alla violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, scaturente dalla omessa trascrizione o esposizione per riassunto del contenuto degli atti e dei documenti alla base delle censure articolate;
8. il terzo motivo di ricorso è inammissibile;
8.1. la denunzia di violazione di norma di diritto non risulta incentrata sul significato e sulla portata applicativa del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, come prescritto in caso di denunzia vizio astrattamente riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per cui si rinvia alle considerazioni espresse al paragrafo 7.1. ed alla giurisprudenza ivi citata;
8.2 l’affermazione relativa alla non idoneità della fonte utilizzata dal Tribunale nell’escludere i presupposti per la protezione cd sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 252 del 2007, art. 14 è apodittica e non argomentata e comunque infondata laddove si consideri che il giudice di merito ha fatto riferimento ad una pluralità di fonti tra le quali il rapporto EASO 2018, in coerenza con il dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 che impone al giudice di utilizzare, in vista della decisione, le informazioni relative alla condizione interna del Paese di provenienza o rimpatrio del richiedente, ovvero di una specifica area del Paese stesso (cd. C.O.I.), tratte dalle fonti di cui all’art. 8 citato o anche da concorrenti canali di informazione, quali i siti “internet” delle principali organizzazioni non governative attive nel settore dell’aiuto e della cooperazione internazionale, che siano adeguatamente aggiornate e tengano conto dei fatti salienti interessanti quel Paese o area, soprattutto in relazione ad eventi di pubblico dominio (v. da ultimo Cass. n. 14682/2021);
8.3. l’assunto inteso a contestare la concludenza delle informazioni tratte dalle fonti esaminate nel senso fatto proprio dal giudice di merito è inammissibile in quanto esprime un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa invocando nella sostanza un diverso apprezzamento di merito delle stesse, sindacato precluso al giudice di legittimità. A riguardo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte ha affermato che in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. n. 26728/2019). Come invece non avvenuto. Questa Corte, infatti, non può spingersi sino alla valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito, laddove nel motivo di censura non vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il giudice territoriale ha deciso siano state superate da altre e più aggiornate fonti qualificate. Solo laddove dalla censura emerga la precisa dimostrazione di quanto precede potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede;
9. il quarto motivo di ricorso è inammissibile per difetto di specificità e pertinenza con le ragioni alla base della decisione di rigetto della domanda relativa alla protezione umanitaria; in particolare parte ricorrente non si confronta con l’affermazione del giudice di merito secondo il quale la non credibilità e genericità del narrato costituivano ragioni sufficienti per il rigetto della protezione umanitaria; tanto assorbe la necessità di esame delle ulteriori doglianze articolate;
10.il quinto motivo di ricorso è inammissibile;
10.1. la denunzia di plurime violazioni di norme di diritto non risulta, incentrata sul significato e sulla portata applicativa delle norme evocate in rubrica, come prescritto in caso di vizio astrattamente riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Cass. n. 287/2016, n. 635/2015, n. 25419/2014, n. 16083/2013, n. 3010/2012), ma sulla ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, astrattamente incrinabile solo mediante deduzione del mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;
10.2. la doglianza incentrata sulla violazione del dovere di cooperazione istruttoria per non avere il giudice di verificato la condizione di vulnerabilità del richiedente sulla base della indagine socio politica della Nigeria è anch’essa inammissibile. Questa Corte ha chiarito che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 27336/2018, n. 19197/2015). Il richiedente è dunque tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007 (Cass. n. 15794 /2019). In particolare è stato precisato che in tema di protezione umanitaria, nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, vigente ratione temporis, ai fini dell’accertamento della situazione di vulnerabilità allegata dal richiedente, il giudice del merito, in virtù del proprio dovere di collaborazione istruttoria officiosa, è tenuto ad operare una comparazione tra la condizione nella quale verrebbe a trovarsi lo straniero nel paese di provenienza, da valutarsi all’attualità, e quella di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, tenendo conto, ove allegata, anche della condizione economico-sociale del paese di origine, dovendosi verificare se ivi si sia determinata una situazione, dettata da ragioni d’instabilità politica o altro, di assoluta ed inemendabile povertà per alcuni strati della popolazione, o per tipologie soggettive analoghe a quelle del ricorrente, e di conseguente impossibilità di poter provvedere almeno al proprio sostentamento, dovendosi ritenere configurabile, anche in tale ipotesi, la violazione dei diritti umani, al di sotto del loro nucleo essenziale (Cass. n. 16119/2020);
10.3. i principi richiamati danno contezza della valutazione di inammissibilità della censura relativa alla violazione del dovere di cooperazione istruttoria in relazione alla situazione socio -economica della Nigeria non avendo parte ricorrente allegato e dimostrato, mediante trascrizione o esposizione per riassunto degli atti di riferimento, come prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, se ed in che termini tale questione aveva costituito oggetto di rituale e tempestiva allegazione nel giudizio di merito (Cass. 20694/2018, 15430/2018, 23675/2013);
10.4. inammissibile infine, in quanto espressione di mero dissenso valutativo è poi l’assunto, privo peraltro di specifici riferimenti agli atti e documenti di causa, della avvenuta integrazione del richiedente negata dal giudice di merito sulla base di un apprezzamento di fatto delle risultanze di causa non sindacabile in sede di legittimità;
11. non si fa luogo alla rifusione delle spese nei confronti della parte intimata che si è limitata al deposito di memoria di costituzione al fine della discussione, alla quale non è seguita alcuna concreta attività difensiva;
12. la Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021