LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria Giuli – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Mar – Consigliere –
Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –
Dott. MELE F. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29173-2015 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore por tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
H.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA N. 322, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO CROCE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANGELA MARIA MONTI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1993/2015 della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA, depositata il 12/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MELE.
Per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 1993/2015 depositata il 12.5.2015, non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10 giugno 2021 dal relatore, cons. Francesco Mele.
RILEVATO
Che:
H.M. proponeva ricorso avverso avviso di accertamento -relativo all’anno 2008 – con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava un maggior reddito di lavoro autonomo e un maggior reddito imponibile ai fini Iva, Irap ed Irpef; l’avviso traeva origine dalla verifica effettuata dalla G. d. F. nei confronti della ditta Riccadomus International srl, nel cui libro paga risultavano diversi dipendenti, tra cui la predetta H., che in realtà come emerso per effetto della successiva istruttoria posta in essere – tali non erano, dovendosi gli stessi qualificare quali intermediari del commercio e quindi lavoratori autonomi.
Nel contraddittorio tra le parti, la Commissione Tributaria Provinciale di Lodi accoglieva il ricorso con sentenza, che, gravata di appello da parte dell’Ufficio, era confermata dalla CTR.
Per la cassazione cella sopra menzionata sentenza, l’Agenzia delle Entrate propone ricorso, al quale resiste con controricorso la contribuente.
CONSIDERATO
che:
Il ricorso consta di tre motivi che recano: 1) “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2700 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; 2) “Contraddittorietà ed illogicità della motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4”; 3) “Violazione dell’art. 2697 c.c. – onere della prova – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omessa motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1. n. 4 – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 64”.
Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere riconosciuto valore probatorio alle buste paga dell’Inail e agli estratti conto dell’Inps, non considerando che le prime sono predisposte dal datore di lavoro e, quanto ai secondi, che l’Inps si limita a certificare le dichiarazioni contributive.
Il motivo non è fondato.
La CTR, invero, nel richiamare tutta la produzione documentale riversata in atti, fa poi esplicito riferimento – oltre che ai documenti su cui si sofferma l’attenzione critica della ricorrente – agli istituti (la cui sussistenza è testimoniata dalla predetta documentazione) della indennità di trasferta, del premio di produzione, del rimborso chilometrico, delle ferie, delle festività non godute, istituti – tutti – tipici del rapporto di lavoro subordinato. A fronte di tali risultanze – ritenute sufficienti ad accogliere le istanze della contribuente – la CTR ha rilevato, concludendo sul punto, con il sottolineare che “l’amministrazione deve fornire la prova degli elementi fatto giustificativi dell’an e del quantum accertati”.
– Con il secondo motivo, l’Ufficio censura la sentenza per motivazione illogica e contraddittoria, in cui ravvisa la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, così denunciando un error in procedendo, tale da comportare la “nullità della sentenza o del procedimento”.
Il motivo non è fondato.
La ricorrente, invero, lungi dal precisare in cosa consista la violazione della norma processuale (e quale essa sia), si limita a censurare la sentenza per avere attribuito rilievo agli elementi sopra indicati pur in presenza del “pacifica inesistenza della società”; così argomentando l’Ufficio pone in discussione la valutazione delle prove – e la loro idoneità – così come effettuata dl giudice del merito e finisce col formulare una critica dell’apprezzamento di merito, che non può trovare ingresso nel giudizio per cassazione.
– Con il terzo motivo, la ricorrente ha errato nel rigettare l’appello dell’Ufficio ritenendo provato il rapporto di lavoro subordinato in capo alla contribuente.
Il motivo non è fondato.
La ricorrente ritorna, ancora una volta, a censurare la valutazione delle prove effettuata dalla CTR; si tratta di motivo esposto in modo discorsivo, privo della necessaria specificità, con assenza di una precisa distinzione delle censure formulate – attinenti alla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – che sono quindi trattate in modo “cumulativo”, dando luogo ad una inammissibile mescolanza di doglianze.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese che liquida in Euro 4.100,00 oltre Euro 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021