LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –
Dott. PERRINO A.M. – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3735/2012 R.G. proposto da:
MELLINA AGOSTA srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Stefano Betti e dall’avv. Paolo Panariti, con domicilio eletto in Roma, via Celimontana n. 38, presso lo studio dell’avv. Panariti;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 258/04/11, depositata il 15 giugno 2011.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 giugno 2021 dal Consigliere Enrico Manzon;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Cardino Alberto, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’Avv. Stefano Betti per la ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l’appello proposto dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (ora Agenzia delle dogane e dei monopoli) avverso la sentenza n. 188/33/2010 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva accolto il ricorso di MELLINA AGOSTA srl contro l’avviso di accertamento per accisa su tabacchi lavorati 2007.
La Commissione tributaria regionale, respinta in limine la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea e di rimessione alla Corte costituzionale, osservava in particolare che non potevasi considerare quale “caso fortuito o forza maggiore” lo svincolo, ancorché irregolare, dal regime sospensivo dell’accisa dei tabacchi lavorati detenuti dalla società contribuente quale depositaria fiscale degli stessi, qualora, come nel caso di specie, tale svincolo dipendesse da fatto illecito di un soggetto terzo (furto o rapina).
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la società contribuente deducendo tre motivi, poi illustrati con una memoria. Resiste con controricorso il Ministero dell’economia e delle finanze, Amministrazione autonoma Monopoli di Stato, ora Agenzia delle dogane e dei monopoli.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo ed il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 4,L. n. 342 del 2000, art. 59, ovvero del D.L. n. 331 del 1993, artt. 2 e 5, nonché della Direttiva CE 12/1992, in particolare art. 14, poiché la CTR ha ritenuto che l’illecito del terzo (nel caso di specie, rapina) non costituisca un’ipotesi di caso fortuito/forza maggiore implicante l’abbuono d’imposta.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondate.
In primo luogo va chiarito che in questo giudizio non è applicabile il D.Lgs. n. 504 del 1995, (TUA), art. 4, per la semplice e dirimente ragione che tale fonte normativa risulta applicabile alle accise sui tabacchi lavorati solamente a seguito delle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 48 del 2010, a decorrere dall’1 aprile 2010.
Tale rilievo pregiudiziale esclude di per sé la fondatezza del primo mezzo.
Al caso in esame si applica piuttosto la previgente disciplina data dal D.L. n. 331 del 1993 e, trattandosi di accisa “armonizzata”, tale normativa interna deve essere interpretata sulla base della Direttiva CE 92/12, ancorché abrogata dalla Direttiva 2008/118/CE, ma successivamente al fatto oggetto della lite (16 marzo 2007).
Ciò posto, bisogna rilevare ulteriormente in base alla richiamata normativa interna ed unionale:
– che il presupposto dell’imposta in questione è costituito dalla produzione/importazione nel territorio comunitario di tabacchi lavorati (art. 5, comma, Dir. 12/1992);
– che tuttavia il collocamento dei prodotti in un deposito autorizzato implica un regime sospensivo (art. 4, lett. c), Dir. cit.), che cessa all’atto dell’immissione al consumo, anche a causa di “svincolo irregolare” (art. 6, comma 1, Dir. cit.);
– che al verificarsi di “caso fortuito o forza maggiore”, accertati dalle Autorità interne, è consentito l’abbuono dell’imposta (id est, estinzione dell’obbligazione tributaria; art. 14, comma 1, Dir. cit.).
Questi principi comunitari sono stati recepiti dal D.L. n. 331 del 1993, artt. 2 e 5.
In particolare va sottolineato che il comma 1 di quest’ultima disposizione legislativa prevede che “In caso di perdita o distruzione di prodotti soggetti ad accisa che si trovano in regime sospensivo, è concesso l’abbuono dell’imposta quando è provato che la perdita o la distruzione dei prodotti è avvenuta per caso fortuito o per forza maggiore. Salvo che per i tabacchi lavorati, i fatti imputabili a terzi o allo stesso soggetto passivo a titolo di colpa non grave sono equiparati al caso fortuito ed alla forza maggiore”.
Proprio per i tabacchi lavorati l’esclusione dell’equiparazione dei fatti dei terzi al caso fortuito ed alla forza maggiore è dunque inequivocabilmente espressa dalla legge medesima.
Il plesso normativo de quo è peraltro già stato oggetto di analisi ermeneutica da parte di questa Corte, che ha statuito il principio di diritto secondo il quale ” In tema di accise, l’abbuono dell’imposta non è previsto nell’ipotesi di svincolo irregolare della merce dal regime di sospensione, ma solo in quella di ammanchi, riconducibili a caso fortuito o a forza maggiore, che abbiano determinato la perdita o distruzione del bene in senso oggettivo, ossia in riferimento alla sua esistenza ed alla sua idoneità al consumo, situazione che non ricorre ove il prodotto sia stato sottratto ad opera di terzi, trattandosi di circostanza che non ne esclude l’immissione nel circuito commerciale” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 16966 del 11/08/2016, Rv. 640957 – 01).
Il Collegio ritiene di dover dare seguito a tale arresto giurisprudenziale, anche nella considerazione dell’evoluzione giurisprudenziale unionale.
In particolare la Corte di giustizia UE ha osservato che il legislatore dell’Unione ha conferito un ruolo centrale al depositario autorizzato (v., in tal senso, Corte giust. 2 giugno 2016, causa C-81/15, Kapnoviomichania Karelia, punti 31 e 32), in virtù del quale il regime di responsabilità nell’ambito della procedura di circolazione dei prodotti soggetti ad accisa e sottoposti a un regime sospensivo si traduce in un regime di responsabilità per tutti i rischi inerenti a tale circolazione.
Soltanto in relazione a responsabilità diverse da quella concernente il pagamento dei diritti di accisa, il depositario autorizzato può sottrarvisi provando di aver adottato tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a essere partecipe di un’evasione fiscale: è in questo caso, estraneo e ulteriore all’ipotesi di responsabilità per il pagamento dei diritti di accisa, che la giurisprudenza unionale (Corte giust. in causa C-81/15, cit., a proposito di sanzioni scaturenti da attività di contrabbando) ha disposto che occorre considerare che detta responsabilità aggravata del depositario autorizzato implica che costui possa essere dichiarato responsabile in solido per il pagamento delle somme corrispondenti alle sanzioni pecuniarie inflitte, anche se l’atto di contrabbando è stato commesso da persone con cui egli non ha scelto di collaborare e che essa dà origine, de facto, ad un sistema di responsabilità solidale oggettiva, che deve essere considerata come sproporzionata.
In questa cornice, quindi, va inquadrata la nozione di forza maggiore che la Corte di giustizia (con la sentenza 18 dicembre 2007, causa C-314/06, Societe’ Pipeline Mediterranee et Rhone (SPMR)) riferisce a circostanze estranee al depositario autorizzato, anormali e imprevedibili, le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso da parte sua, che possono anche oggettivamente sfuggire al suo controllo o situarsi al di fuori del suo ambito di responsabilità.
La norma interna va quindi interpretata in modo conforme a quella unionale; il che conduce ad escludere che di per sé il furto o la rapina esonerino il soggetto passivo dal pagamento dei diritti di accisa, anche se questi risulti del tutto estraneo alla condotta dei terzi, qualora non abbia determinato la distruzione o la perdita irrimediabile dei prodotti.
Una tale interpretazione non si pone, d’altronde, in frizione col principio di uguaglianza stabilito dall’art. 3 Cost., né con quello di capacità contributiva fissato dall’art. 53 Cost..
La Corte costituzionale (sentenza n. 373/1988), difatti, ha già avuto occasione di escludere, con riguardo al T.U. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 37, interpretato autenticamente dal D.L. 31 ottobre 1980, n. 693, art. 23 ter convertito con L. 22 dicembre 1980, n. 891, la violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui dispone che l’obbligazione tributaria doganale è esclusa solo nel caso di perdita della merce, da intendere come dispersione e non come sottrazione della disponibilità della cosa; e, quanto al principio di capacità contributiva, ha rimarcato che la capacità contributiva consiste nell’idoneità ad eseguire la prestazione coattivamente imposta, correlata non già alla concreta capacità del singolo contribuente, bensì al presupposto economico al quale l’obbligazione è collegata. Sicché quando tale presupposto sussista e sia, come nella specie, non irragionevolmente definito dal legislatore, l’imposizione della prestazione tributaria è certamente legittima, e gli accadimenti successivi non sono idonei, salvo diversa disposizione di legge, ad escluderne la sussistenza.
E, sulla base delle suesposte pronunce della Corte di giustizia, non vi è alcuna ragione per ritenere superata questa giurisprudenza costituzionale ovvero per rimettere la questione di compatibilità della normativa interna, quale applicabile ratione temporis, con quella unionale alla Corte di giustizia medesima.
Da ultimo, sul punto, vi è da prendere in esame la disposizione legislativa di cui alla L. n. 342 del 2000, art. 59, novellante gli artt. 4-7, TUA, secondo la quale ” 1. Al testo unico approvato con D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’art. 4, comma 1, il secondo periodo è sostituito dai seguenti: “I fatti compiuti da terzi non imputabili al soggetto passivo a titolo di dolo o colpa grave e quelli imputabili allo stesso soggetto passivo a titolo di colpa non grave sono equiparati al caso fortuito ed alla forza maggiore. Qualora, a seguito del verificarsi di reati ad opera di terzi, si instauri procedimento penale, la procedura di riscossione dei diritti di accisa resta sospesa sino a che non sia intervenuto decreto di archiviazione o sentenza irrevocabile ai sensi dell’art. 648 c.p.p.. Ove non risulti il coinvolgimento nei fatti del soggetto passivo e siano individuati gli effettivi responsabili, o i medesimi siano ignoti, è concesso l’abbuono dell’imposta a favore del soggetto passivo e si procede all’eventuale recupero nei confronti dell’effettivo responsabile”; b) all’art. 7, comma 1, all’alinea, le parole: “che comporti l’esigibilità dell’imposta”, sono sostituite dalle seguenti: “per la quale non sia previsto un abbuono d’imposta ai sensi dell’art. 4". 2. Per i furti e le irregolarità nella circolazione dell’alcole nonché dei tabacchi lavorati compiuti sino alla data di entrata in vigore della presente legge, ove l’azienda italiana garante risulti estranea al fatto criminoso, viene disposto lo sgravio dell’accisa. 3. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai procedimenti in corso”.
In realtà queste norme sono solo apparentemente confliggenti con il quadro normativo di diritto interno che sopra si è delineato.
Infatti l’unico “punto di tangenza” tra le due discipline è quello di cui alla L. n. 342 del 2000, art. 59, comma 2 poiché in esso si fa riferimento ai “tabacchi lavorati”.
E’ tuttavia chiara la non rilevanza di tale disposizione legislativa nel caso di specie, trattandosi di norma palesemente con natura intertemporale, come tale riferita ai fatti precedenti l’entrata in vigore della fonte normativa che la contiene e che quindi non può essere applicata al fatto oggetto del presente giudizio, di molto successivo.
In ogni caso va comunque dato seguito al principio di diritto che “In materia di accise, il furto del prodotto.. ad opera di terzi e senza coinvolgimento nei fatti del soggetto passivo di per sé non esime, ai sensi del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 4, comma 1, come modificato dall’art. 59 della L. 21 novembre 2000, n. 342, dal pagamento dell’imposta, che resta abbuonata solo nell’ipotesi – la cui prova deve essere fornita dall’obbligato – di dispersione o distruzione del prodotto atteso che solo in questo caso ne resta impedita l’immissione nel consumo, laddove la sottrazione determina soltanto il venir meno della disponibilità del bene da parte del soggetto per effetto dello spossessamento, ma non ne impedisce l’ingresso nel circuito commerciale” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 27825 del 12/12/2013, Rv. 629639 – 01).
Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4-la ricorrente denuncia il vizio motivazionale della sentenza impugnata, poiché la CTR ha apoditticamente escluso di dover rimettere gli atti alla Corte di giustizia UE.
La censura è inammissibile.
Va infatti ribadito che “La mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2, ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un “error in procedendo”, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perché erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto” (Cass., Sez. U, n. 2731 del 02/02/2017, Rv. 642269 – 01).
Sulla base delle considerazioni sviluppate in ordine ai primi due mezzi, è del tutto evidente che non si profila alcuna ragione di contrasto tra normativa interna e comunitaria, applicabili ratione temporis, secondo la linea evolutiva della giurisprudenza della Corte di giustizia.
In conclusione il ricorso va rigettato.
La complessità e relativa novità delle questioni giuridiche oggetto del giudizio inducono a compensarne le spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021