LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 15021 del ruolo generale dell’anno 2015, proposto da Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, elettivamente si domicilia;
– ricorrente –
contro
Società “Unione Italiana Vini s.c.a.r.l.”, in persona del rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Angelo Cuva e dall’Avv. Giovanni Palmeri, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza del Fante n. 2, presso lo studio di quest’ultimo;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata in data 11 dicembre 2014, n. 6565/2014;
sentita la relazione svolta dal consigliere Salvatore Leuzzi nella camera di consiglio dell’11 maggio 2021.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate operava un recupero fiscale con riferimento a costi ritenuti – rispettivamente – indeducibili ai fini Ires e indetraibili ai fini IVA. Gli avvisi di accertamento hanno investito gli anni 2006 e 2007.
I costi hanno riguardato le fatture emesse nei confronti della contribuente-controricorrente da una società controllata, con riferimento ad un contratto di servizi di consulenza organizzativa e informatica.
Negli atti impositivi si sottolinea la genericità delle fatture recanti la dicitura “Prestazioni di servizi in riferimento al contratto EIQS-UIV”; si rimarca, inoltre, la mancanza di documenti dimostrativi dell’effettività delle prestazioni e idonei a dare un valore (una quantificazione) a ciascuna di esse.
La CTP ha accolto, dopo averli riuniti, i ricorsi avverso gli avvisi di accertamento, che sono stati annullati.
La CTR ha confermato la sentenza di primo grado, respingendo il gravame erariale.
Tre i motivi del ricorso per cassazione dell’Agenzia.
Resiste con controricorso la contribuente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia adduce la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 2, lett. g), avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto sufficiente ad assolvere all’onere di indicazione della natura, quantità e qualità dei beni contemplato dal rammentato art. 21 il mero rinvio al contratto intervenuto tra le parti.
Con il secondo motivo di ricorso, viene contestata, a tenore dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 109 TUIR, comma 5, in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, e all’art. 2697 c.c., per avere la CTR fatto mal governo degli oneri probatori, gravando l’Amministrazione dell’onere di fornire elementi presuntivi idonei a dimostrare la riferibilità delle fatture ad operazioni inesistenti, ancorché incombesse sul contribuente l’onere di dimostrare la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 109 anzidetto per la deducibilità del costo dal reddito imponibile.
Con il terzo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 109TUIR, comma 5, per avere la CTR ritenuto idonei a dimostrare la sussistenza dei requisiti di cui a detta norma i “calendari con cui EIQS programmava e pianificava i servizi svolti”.
I primi due motivi sono suscettibili di trattazione unitaria per intima connessione; afferiscono entrambi, difatti, l’asserita irregolarità della fatturazione e l’inidoneità delle singole fatture a sorreggere la deduzione dei costi in esse rappresentati.
Nello specifico, la prima censura adombra la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 2, lett. g), denunciando la mancanza dei requisiti minimi delle fatture, recanti nella specie il richiamo al contratto intercorso fra le parti. Il secondo mezzo assume la violazione dell’art. 109 TUIR, comma 5, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, e dell’art. 2697 c.c., evidenziando che, in mancanza di specifica descrizione dell’attività, la prestazione non potesse essere considerata certa e determinata o “sicuramente inerente”.
Il complesso censorio è infondato.
Il riferimento ad un contratto di servizi pacificamente in essere tra le parti deve ritenersi idoneo, infatti, a rispettare i requisiti minimi dell’art. 21 cit., ancorché l’Agenzia insista sulla doverosa “elencazione” didascalica – nel corpo delle fatture – delle prestazioni di servizi puntualmente rese, non appagandosi di una descrizione compendiosa.
In realtà, il rinvio per relationem al titolo negoziale – il cui testo è riportato per ampio stralcio in ricorso tanto da far piena luce sull’oggetto negoziale – risponde all’esigenza di specificità descrittiva in punto di natura, quantità e qualità delle prestazioni.
Proprio l’ampiezza dei servizi da espletare in forza del contratto – i cui dettagli operativi sono stati letteralmente richiamati in dettaglio nel testo dell’odierna impugnazione – postula la declinazione riassuntiva in fattura dell’oggetto dei servizi resi, non giustificandosi la pretesa di una descrizione analitica e parcellizzata delle prestazioni ricadenti nel perimetro dell’attività” contrattualizzata.
Non va, peraltro, trascurato il principio recentemente affermato da questa Corte, secondo cui: “In tema di IVA, ai fini della detrazione, le fatture per prestazioni di servizi devono contenere l’indicazione dell’entità e della natura degli stessi, nonché la specificazione della data nella quale sono stati effettuati o ultimati, come previsto dalla Dir. 2006/112/CE, art. 226, punti 6 e 7: peraltro, l’Amministrazione finanziaria deve tenere conto anche delle informazioni complementari eventualmente fornite dal soggetto passivo d’imposta, come si evince dall’art. 219 detta Dir., che assimila alle fatture tutti i documenti o messaggi che modificano o fanno specifico e inequivoco riferimento ad esse” (Cass. n. 29290 del 2018).
La regolarità delle fatture – da reputarsi, per quanto esposto, redatte in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dalla D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21 (v., anche, art. 226 Dir. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006) – implicava la presunzione di veridicità di quanto in esse riportato, con conseguente onere dell’Agenzia di fornire prova dell’indeducibilità, per non inerenza, del costo (cfr. Cass. n. 7881 del 2016; n. 21446 del 2014, n. 24426 del 2013, n. 5748 del 2010).
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Esso contesta la violazione dell’art. 109 TUIR per difetto del requisito dell’inerenza fra prestazioni oggetto del contratto e attività d’impresa.
Con ogni evidenza esso verte su un profilo che in precedenza non risulta essere stato censurato, essendosi l’Agenzia concentrata sulla ritenuta – qui esclusa irregolarità delle fatture.
La circostanza che nella sentenza d’appello venga valorizzato l’elemento costituito dai calendari con cui EIQS programmava e pianificava i servizi svolti non contraddice la circostanza di tardiva deduzione, solo in questa sede, del profilo dell’inerenza. D’altronde, in costanza di giudizio non sono stati veicolati assunti e aspetti tesi ad escludere l’inerenza che possano dirsi sorvolati od obliterati dal giudice di merito e tanto depone per l’inammissibilità della censura solo oggi agitata.
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza, nella misura esplicitata in dispositivo.
PQM
Rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore della controricorrente di Euro 3.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese forfettarie nella misura del 15.
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021