LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –
Dott. ARMONE Giovanni Maria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21524-2015 proposto da:
G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE MASINA;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1053/2015 della COMM. TRIB. REG. EMILIA ROMAGNA, depositata il 118/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/05/2021 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MARIA ARMONE.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. l’Agenzia delle entrate in data 9 dicembre 2013 ha notificato al signor G.M., nella qualità di titolare di una ditta individuale, un avviso di accertamento con cui accertava la maggior base imponibile dei redditi della ditta e procedeva al recupero di maggiori imposte IRPEF, IVA, IRES, IRAP e altro, relative all’anno 2010, nonché all’irrogazione delle conseguenti sanzioni;
2. avverso detto avviso il G. ha proposto ricorso davanti alla CTP di Ferrara, che lo ha tuttavia respinto integralmente;
3. la CTR dell’Emilia Romagna, con sentenza n. 1053, depositata il 18 maggio 2015, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, riconoscendo la parziale deducibilità dei costi e confermando nel resto la decisione appellata;
4. avverso la sentenza di secondo grado, propone ricorso per cassazione il G., affidato a quattro motivi;
5. resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o l’errata applicazione del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 24, conv., con modif., dalla L. 26 aprile 2012, n. 44;
2. con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la nullità della sentenza impugnata per la violazione e/o la falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, commi 1 e 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56, comma 1, dell’art. 2697 c.c.;
3. con il terzo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità dell’intero procedimento, in conseguenza delle violazioni denunciate con il precedente motivo;
4. con il quarto motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza di secondo grado, per avere la stessa dichiarato inammissibile l’eccezione di nullità dell’avviso per difetto di sottoscrizione, perché introdotta per la prima volta in appello;
5. in via logicamente preliminare, deve essere esaminato il quarto motivo, dalla cui infondatezza discende l’inammissibilità dei restanti;
6. come più volte affermato da questa S.C., anche con riferimento alla questione oggetto del presente giudizio, il processo tributario ha carattere impugnatorio, con la conseguenza che gli eventuali vizi, anche di nullità, che colpiscono l’atto amministrativo tributario si convertono in motivi di gravame;
7. ne consegue che le forme di invalidità dell’atto tributario, ove anche dal legislatore indicate sotto il nome di nullità, non sono rilevabili d’ufficio, né possono essere fatte valere per la prima volta nel giudizio di cassazione; la conversione delle ipotesi di nullità in mezzi di gravame avverso l’atto fiscale è una conseguenza della struttura impugnatoria del processo tributario, che vede la contestazione della pretesa fiscale suscettibile di essere prospettata solo attraverso specifici motivi di impugnazione dell’atto che la esprime; il giudizio tributario, difatti, è caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, e avente un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo di primo grado (con specifico riferimento alla presunta violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, v. Cass. 18/09/2015, n. 18448, 09/11/2015, n. 22810, Cass. 23/09/2020, n. 19929; in generale v. Cass. 05/12/2014, n. 25756);
8. nel caso di specie è pacifico che la nullità sia stata prospettata per la prima volta in grado d’appello (non lo discute parte ricorrente) e che sia dunque corretta l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la sua proposizione è tardiva, stante quanto disposto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, in tema di divieto di nuove eccezioni;
9. l’infondatezza del quarto motivo conduce all’inammissibilità dei primi tre: se l’eccezione era tardiva in appello, tantomeno può essere riproposta in sede di legittimità;
10. il ricorso va in conclusione rigettato;
11. le spese seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo;
12. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono inoltre i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle entrate, liquidandole in complessivi Euro 7.800,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021