LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. PUTARUTO DONATI VISCIDO di N. Maria Giulia – Consigliere –
Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 252 del ruolo generale dell’anno 2016, proposto da:
PRO.IND. S.R.L., in persona del suo rappresentante legale pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Claudio Lucisano, presso il cui studio in Roma, Via Crescenzio n. 91, elettivamente si domicilia;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, elettivamente si domicilia;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, depositata in data 22 maggio 2015, n. 556/26/15;
sentita la relazione svolta dal consigliere Salvatore Leuzzi nella camera di consiglio del 9 giugno 2021.
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento notificato il 20 dicembre 2001 l’Agenzia delle Entrate di Torino rettificava, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 54, la dichiarazione IVA presentata dalla contribuente in relazione all’anno di imposta 2006, contestando l’esistenza di un debito di imposta pari ad Euro 160.000.
Dalle scritture contabili ispezionate e dalla documentazione esibita a fronte di invito n. ***** del ***** era emersa gl’avvenuta emissione da parte della Pro.Ind. di una fattura nei confronti di I.Co.Gi, a titolo di acconto per la cessione di immobili e il successivo storno della fattura medesima mediante nota di credito. Nella prospettazione erariale, vi erano plurimi elementi che deponevano nel senso della fittizietà del rapporto apparentemente intercorso fra le due società e della correlata inesistenza dell’operazione: identica operazione effettuata l’anno successivo dalla contribuente con altro soggetto giuridico, assenza di un preliminare di vendita; inesistenza del pagamento di acconto; compagini societarie sovrapponibili.
La CTP di Torino accoglieva il ricorso della contribuente.
La CTR del Piemonte accoglieva, invece, l’appello dell’Ufficio.
Il ricorso per cassazione della contribuente è affidato a due motivi; resiste con controricorso l’Agenzia.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, dell’art. 2697 c.c., tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1.
Nella composita censura la contribuente sostanzialmente contesta al giudice regionale d’aver ritenuto “il preliminare di compravendita documento assolutamente necessario ai fini della prova della veridicità dell’operazione posta in essere”; d’aver trascurato, inoltre, che la veridicità dell’originaria operazione sarebbe testimoniata dalla stipula di contratto di compravendita in data 2 ottobre 2007.
Con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, l’omessa disamina di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione del D.Lgs. n. 546, art. 62, c.p.c., avuto riguardo ai primi tre numeri dell’art. 360 c.p.c.
La ricorrente assume che la CTR avrebbe trascurato di considerare l’ininfluenza dell’operazione contestata, dalla quale non sarebbe derivato alcun danno per l’erario, profilo – quello dell’assenza di pregiudizio – che rileverebbe sotto i molteplici profili teste’ riportati.
I due motivi sono suscettibili di trattazione unitaria e vanno rigettati.
L’Agenzia ha rilevato che l’operazione di compravendita d’immobili cui si riferivano la fattura del 10 dicembre 2005 e la nota di credito del 27 novembre 2006 non era mai stata posta in essere.
La CTR ha valorizzato a tal fine – in modo incisivo e dettagliato – l’assenza di un preliminare di vendita, il mancato tracciamento del versamento dell’acconto, la mancata menzione nel trasferimento immobiliare del 2 ottobre 2007 di alcun riferimento all’operazione acclusa nel negozio preparatorio.
Su tali convergenti rilievi – valorizzati dalla sentenza d’appello – l’erario ha emesso l’accertamento oggetto di causa, col quale ha coerentemente ritenuto che l’IVA sulla fattura emessa fosse comunque dovuta, ai sensi del D.P.R. n. 33 del 1972, art. 21, comma 7, e che la nota con la quale era stata annullata non potesse conteggiarsi in riduzione dell’imposta dovuta, in quanto riferita ad operazione inesistente.
La società insiste che il trasferimento immobiliare programmato non era operazione fittizia, ma che erano insorte difficoltà finanziarie dell’acquirente ne avevano impedito l’esecuzione, che il preliminare non era stato conservato e che, comunque, l’operazione è stata conclusa in data 2 ottobre 2007.
Giova osservare che, nel regime ordinario dell’IVA (e cioè a prescindere dalla disposizione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7), l’emissione della fattura come il pagamento di un acconto in tanto rendono “esigibile” l’imposta in quanto di quest’ultima sussista il presupposto, costituito dalla cessione imponibile.
Questa Corte ha da tempo affermato (in base al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4) che tale presupposto è costituito anche da un negozio soltanto obbligatorio (Cass. n. 705 del 1992, Cass. n. 371 del 1998). Ma da una obbligazione giuridicamente vincolante non può prescindersi, perché l’obbligazione tributaria (e, quanto all’IVA, la sua connessa detraibilità) non è liberamente disponibile dal contribuente.
Vertendosi in materia di diritti immobiliari, poiché non è documentata nemmeno la stipula di un contratto preliminare, la emissione della fattura è avvenuta nella specie senza alcuna giustificazione giuridica: a fronte pertanto di una operazione che il Fisco ha legittimamente considerato inesistente, rimane dovuta l’imposta sulla fattura emessa ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7.
In altri termini, in tema di IVA, la speciale procedura di variazione prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, presuppone indefettibilmente, come si desume univocamente dalla considerazione della funzione perseguita dalla norma, che l’operazione per la quale sia stata emessa fattura, da rettificare perché venuta meno in tutto o in parte in conseguenza di uno degli specifici motivi indicati nel comma 2 della norma stessa, sia una operazione vera e reale e non già del tutto inesistente.
Ciò discende anche dal disposto del D.P.R. n. 633, menzionato art. 21, comma 7, il quale – nel prevedere, allo scopo di ricondurre a coerenza il sistema impositivo dell’IVA, fondato sui principi della rivalsa e della detrazione, che, se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, “l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura” – da un lato incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta sulla base dell’applicazione del solo principio di cartolarità, e, dall’altro, incide indirettamente, in combinato disposto con lo stesso D.P.R., art. 19, comma 1, e art. 26, comma 3, anche sul destinatario della fattura medesima, il quale non può esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta in totale carenza del suo presupposto, e cioè dell’acquisto (o dell’importazione) di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione (Cass. n. 12353 del 2005; Cass. n. 7289 del 2001).
Alla stregua dei rammentati principi e delle norme richiamate, deve ritenersi che, nel caso, la contribuente, si è sottratta al pagamento dell’imposta dovuta, emettendo fattura per operazione inesistente e stornandola, poi, attraverso l’emissione di nota di accredito di pari importo, in buona sostanza, compiendo un’operazione elusiva.
La contribuente sembra voler sostenere che, anche muovendo dall’assunto che la fattura fosse stata emessa a fronte di operazione inesistente, la emissione della nota di credito, annullando la seconda di esse, avrebbe risolto l’obbligazione tributaria sorta con la sua emissione. Ma la tesi non ha pregio. La ratio sottostante alla disposizione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, è stata da questa Corte ravvisata nella esigenza “di ricondurre a coerenza il sistema impositivo dell’iva, fondato sui principi della rivalsa e della detrazione artt. 18 e 19, secondo cui, siccome l’emissione della fattura legittima il suo destinatario ad un credito di imposta nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, è necessario che il soggetto che la emette sia debitore, nei confronti della stessa, della corrispondente imposta” (Cass. n. 7289 del 2001). In linea con tale esigenza, anche la Corte di giustizia Europea (in causa C-454/98) ha affermato che la pretesa di sottrarsi al pagamento dell’iva dovuta su fatture emesse per operazioni inesistenti va riconosciuta fondata “allorché colui che ha emesso la fattura ha, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di entrate fiscali” riuscendo “a farsi restituire e a distruggere le fatture prima del loro uso da parte del destinatario”. Nella specie viceversa non risulta che la società contribuente si sia data carico di dimostrare che la fattura annullata con la nota di credito in questione fosse stata distrutta e non inserita dal destinatario nel conteggio dell’imposta da lui stesso dovuta.
Il ricorso va, dunque, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza nella misura esplicitata in dispositivo. Raddoppio contributo, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigettato il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 9 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021