LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8350-2015 proposto da:
S.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ADRIANA, 15, presso lo studio dell’avvocato STEFANO ROMANO, rappresentato e difeso dall’avvocato D.S.;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 8105/2014 della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA, depositata il 23/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/06/2021 dal Consigliere Dott. MARIA ELENA MELE.
RITENUTO
che:
L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di liquidazione dell’imposta di registro e contestuale irrogazione di sanzioni nei confronti di S.D. in relazione alla sentenza emessa dal Tribunale civile di S. Maria Capua Vetere nel giudizio tra la Bierre sas di R.G.A. e la Panta Service.
Avverso tale atto il contribuente proponeva ricorso eccependo la propria carenza di legittimazione passiva in quanto egli aveva rivestito il ruolo di curatore fallimentare della Bierre sas solo in epoca antecedente al giudizio concluso con la sentenza tassata. Deduceva altresì l’illegittimità dell’avviso impugnato per mancata allegazione al medesimo della suddetta sentenza. L’Agenzia delle entrate, costituitasi in giudizio, affermava la legittimità del provvedimento impugnato sostenendo che il contribuente doveva ritenersi soggetto passivo d’imposta essendo specificamente richiamato dalla sentenza.
La Commissione tributaria provinciale di Caserta rigettava il ricorso in quanto il contribuente non aveva provato di non rivestire la qualità di curatore fallimentare al momento della pronuncia della sentenza.
Tale decisione era confermata dalla Commissione tributaria regionale della Campania che rigettava l’appello proposto dallo S. ritenendo che questi non avesse assolto all’onere di provare la dedotta carenza di legittimazione passiva.
Il contribuente ha proposto ricorso per la cassazione di tale pronuncia affidato a due motivi.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo di gravame, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, comma 1, in tema di erronea ovvero illegittima ripartizione dell’onere probatorio tra le parti in causa del processo tributario, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il ricorrente sostiene di aver eccepito fin dal giudizio di primo grado la propria carenza di legittimazione passiva rispetto al debito tributario attribuitogli, non avendo mai rivestito la qualità di legale rappresentante della società Bierre sas, e avendo assunto solo la qualità di curatore fallimentare della stessa per un lasso di tempo antecedente alla instaurazione del giudizio in esito al quale è stata pronunciata la sentenza tassata. Da lungo tempo altro era il curatore fallimentare.
A fronte di tale deduzione, gravava sull’Agenzia delle entrate l’onere di dimostrare che il contribuente fosse ancora curatore al momento della sentenza, ma l’Ufficio non aveva fornito tale prova. La CTR, tuttavia, fondando la decisione su una sentenza che neppure era stata acquisita agli atti, in violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, comma 1, aveva ritenuto il ricorrente soggetto passivo d’imposta nonostante egli fosse rimasto estraneo al procedimento avanti al tribunale civile.
Con il secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., degli artt. 115 e 116 c.p.c., e della L. n. 212 del 2000, art. 7, in tema di mancata allegazione del provvedimento giudiziale da cui scaturisce l’obbligo di pagamento dell’imposta di registro, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La CTR avrebbe dedotto che il contribuente era a conoscenza della sentenza tassata dalla mera menzione della stessa nell’avviso di liquidazione, senza che essa fosse materialmente allegata a tale atto, né mai versata agli atti del giudizio. Inoltre, il giudice d’appello ha escluso che la mancata allegazione del provvedimento giudiziario integrasse la violazione dell’obbligo di motivazione, in tal modo violando il diritto di difesa del contribuente.
Il ricorrente ha altresì formulato istanza ex art. 369 c.p.c. di trasmissione degli atti del fascicolo.
Il primo motivo è infondato.
Preliminarmente si rileva che, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Sez. 6 – 3, n. 26769 del 23/10/2018, Rv. 650892 – 01; Sez. 3, n. 13395 del 29/05/2018, Rv. 649038-01).
Nella specie la dedotta violazione non sussiste.
Il presupposto per l’applicazione dell’imposta di registro sugli atti giudiziari ed il conseguente obbligo di registrazione in termine fisso si rinviene nel combinato disposto del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 37, e, della Tariffa allegata allo stesso, parte I, art. 8. Ai sensi dell’art. 37 cit. sono soggetti all’imposta di registro “gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio (…), anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato”. Il TUR, tariffa, parte I, art. 8, alle lettere dalla a) alla g) contiene un’elencazione tassativa dei suddetti atti, soggetti a registrazione in termine fisso e individuando la relativa imposta.
Inoltre, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, comma 1, dispone che soggetti tenuti al pagamento dell’imposta sono, tra gli altri, le parti in causa. Tale previsione deve intendersi riferita a tutti coloro che abbiano preso parte al giudizio, nei confronti dei quali la pronuncia giurisdizionale si è espressa nella parte dispositiva e la cui sfera giuridica sia in qualche modo interessata dagli effetti di tale decisione, in quanto la finalità di detta norma è quella di rafforzare la posizione dell’erario nei confronti dei contribuenti in vista della proficua riscossione delle imposte, salvo il diritto per ciascuno di essi di rivalersi nei confronti di colui che è civilmente tenuto al pagamento (ex plurimis Cass. n. 29158 del 2018).
Nella specie, il contribuente ha contestato la propria carenza di legittimazione passiva, sostenendo di non essere più curatore della società Bierre all’epoca in cui si è svolto il giudizio conclusosi con la sentenza tassata. Tuttavia, come risulta dallo stesso ricorso introduttivo del presente giudizio, l’Agenzia delle entrate nelle proprie difese ha affermato che lo S. era il soggetto “appositamente e specificamente richiamato nella sentenza” e che questa lo indicava quale curatore fallimentare di una delle parti del giudizio.
Inoltre, la CTR nella sentenza impugnata afferma che “Invero, la parte appellante è proprio quella chiamata in causa nella sentenza (che quindi ben conosceva)”.
Poiché soggetto passivo dell’imposta di registro sugli atti giudiziari sono ex lege le parti in causa, e poiché dalle difese dell’Ufficio e da quanto accertato dal giudice d’appello risulta che nella sentenza sottoposta a tassazione il contribuente era specificamente indicato come il curatore di una delle parti del giudizio, correttamente la CTR ha ritenuto che fosse onere di costui dimostrare il contrario. Tale onere nella specie non risulta adempiuto, dal momento che lo S. si è limitato a contestare genericamente di non rivestire più il ruolo di curatore durante lo svolgimento del giudizio civile.
Il secondo motivo è infondato.
Secondo l’orientamento prevalente di questa Corte cui il Collegio intende dare seguito, in tema di imposta di registro, l’avviso di liquidazione emesso D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 54, comma 5, in relazione a un atto giudiziario deve contenere l’indicazione dell’imponibile, l’aliquota applicata e l’imposta liquidata, ma non deve necessariamente recare, in allegato, la sentenza o il suo contenuto essenziale rispondendo l’obbligo di motivazione di cui all’art. 7 St. contr. all’esigenza di garantire il pieno e immediato esercizio delle facoltà difensive del contribuente, senza costringerlo ad attività di ricerca, e non riguardando perciò atti o documenti da lui conosciuti o conoscibili, sempre che il contenuto delle informazioni fornite garantisca la conoscenza dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa fiscale e si tratti di informazioni facilmente intellegibili (Cass., Sez. 5, n. 239 del 12/01/2021, Rv. 660232-01). Inoltre, questa Corte ha ritenuto che l’Amministrazione finanziaria sia esonerata dall’obbligo di allegare all’avviso di liquidazione la sentenza su cui esso si fonda quando il contribuente sia stato parte del relativo giudizio, essendone perciò a conoscenza; diversamente tale incombente si risolverebbe in un adempimento superfluo ed ultroneo che, da un lato, determinerebbe un eccessivo aggravamento degli oneri connessi all’esercizio della potestà impositiva e, dall’altro, non varrebbe a fornire elementi utili e significativi per la tutela del diritto di difesa nei confronti della pretesa tributaria, ponendosi così in contrasto con i canoni generali della collaborazione e della buona fede (Cass., Sez. 5, n. 21713 del 08/10/2020, Rv. 660076-01).
Si è altresì precisato che, ai fini del corretto adempimento dell’onere motivazionale dell’avviso di liquidazione ex art. 7 St. contr., l’allegazione materiale dell’atto giudiziario assoggettato ad imposizione – che non ha la finalità di procurarne, oltre alla conoscenza legale, anche la disponibilità documentale – è necessaria tutte le volte in cui l’avviso non riproduca o non menzioni le enunciazioni o le statuizioni soggette ad imposta di registro, sempre che il contribuente si sia trovato nell’incolpevole impossibilità di averne conoscenza, potendo peraltro l’avviso di liquidazione limitarsi anche ad indicare solamente la data e il numero della sentenza civile laddove sia certo o presumibile che il contribuente ne abbia avuto pregressa conoscenza e purché sia garantita in ogni caso l’agevole intellegibilità dei valori imponibili, delle aliquote applicate e dell’imposta liquidata (Cass., Sez. 6-5, n. 9344 del 07/04/2021, Rv. 660886 – 01).
Nella specie, il giudice di merito ha accertato che il contribuente era a conoscenza della sentenza soggetta a tassazione, essendo stato dalla stessa chiamato in causa. Ha infatti affermato che “Invero, la parte appellante è proprio quella chiamata in causa nella sentenza (che quindi ben conosceva) per la quale aveva ex lege l’obbligo di registrazione (nella qualità di curatore fallimentare e con vincolo di solidarietà passiva)”. Il ricorrente non ha contestato tale circostanza e neppure ha affermato di non conoscere la sentenza, essendosi invece limitato a dedurre che essa non era allegata all’atto impugnato e che non era stata versata in atti.
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente condannata al pagamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 800,00, oltre spese prenotate a debito. Visto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021
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