LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. PIRARI Valeria – Consigliere –
Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
A.A., rappresentato e difeso dall’avv. Fabrizio Di Maria, ed elettivamente domiciliato in Roma, via Donizetti, n. 7, presso lo studio dell’avv. Daniela Giamportone;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
e contro
RISCOSSIONE SICILIA SPA (già SERIT SICILIA SPA), Agente per la riscossione per la Provincia di Agrigento, rappresentata e difesa dall’avv. Salvatore Buggea, ed elettivamente domiciliata in Roma, via Silvio Pellico, n. 10, presso lo studio dell’avv. Enrico Valentini.
– controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale per la Sicilia n. 2476/2014, depositata il 31/7/2014 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22/06/2021 dalla Dott.ssa Valeria Pirari.
RILEVATO
che:
1. In seguito al trasferimento, in data *****, da A.A. a C.M. della propria azienda commerciale, denominata “Life Bar”, furono notificati al primo due distinti avvisi di accertamento, uno da parte dell’Ufficio del registro di Palermo, in data *****, col quale venne rettificato il valore di avviamento, l’altro dall’Ufficio delle imposte dirette di Palermo, ai fini Irpef e Ilor per l’anno 1993, in data *****, con riguardo alle plusvalenze realizzate a seguito di tale cessione. Impugnati con distinti ricorsi i suddetti atti dal contribuente, la Commissione tributaria di primo grado di Palermo li annullò entrambi, il primo con la sentenza n. 608/12/2002 che passò in giudicato, il secondo con la sentenza n. 609/12/2002, che fu confermata dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia con sentenza n. 14/35/2006, con la quale fu rigettato l’appello. Impugnata detta sentenza dall’Ufficio, questa Corte, con ordinanza n. 25169/2008 del 18/10/2008, la cassò, rinviando la causa ad altra sezione della medesima Commissione regionale, senza che nessuna delle parti provvedesse alla riassunzione del giudizio.
L’Agente per la riscossione per la provincia di Agrigento, all’epoca Serit Sicilia s.p.a., notificò quindi al contribuente due distinte cartelle di pagamento, la prima in data *****, con cui fu chiesto il recupero delle imposte Ilor e Irpef per l’anno 1993 e la seconda in data ***** con cui fu chiesta una somma per il recupero dell’Irpef per redditi soggetti a tassazione separata per il 1993, di importo corrispondente, quanto all’Irpef, a quello chiesto con la prima cartella. I giudizi, aventi ad oggetto l’impugnazione delle due cartelle, ebbero esiti differenti: quanto a quella del 2010, la C.T.P. di Palermo dichiarò non dovuto l’importo riguardante l’Ilor, in ragione dello sgravio operato dall’Ufficio in data 21/12/2010 in corso di giudizio, e rigettò la domanda quanto all’Irpef, con la sentenza n. 106/01/2011 del 18/2/2011, contro la quale fu proposto appello (avente n. 4400/11) che fu deciso con la sentenza n. 2476/2014, depositata il 31/7/2014 e oggi impugnata; quanto alla cartella del 2011, la C.T.P. rigettò la domanda con sentenza n. 641/10/11, che fu a sua volta impugnata dal contribuente, con preliminare richiesta di riunione del procedimento a quello n. 4400/11 relativo alla prima cartella, stante l’identità di parti e presunto debito, e che fu confermata dalla C.T.R. con la sentenza n. 93/29/13, depositata il 12/6/2013, con la quale l’appello fu rigettato.
2. Contro la sentenza n. 2476/2014, il contribuente propone ricorso sulla base di tre motivi. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso, proponendo, ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo. Resiste, altresì, la Riscossione Sicilia s.p.a. (già Serit Sicilia s.p.a.) con controricorso.
CONSIDERATO
che:
Premessa la richiesta di riunione del ricorso con quello pendente avente R.G.N. 1954/14, vertendo i due ricorsi sul medesimo tributo ed essendo pertanto connessi soggettivamente e oggettivamente;
1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 63, e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, lett. c), in relazione all’art. 2945 c.c., comma 3, e all’art. 310 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. affermato la tempestività della notifica della cartella, siccome avvenuta il 15/6/2011, ossia entro il termine di decadenza dei due anni previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, lett. c), sostenendo che la relativa decorrenza andasse individuata nella data di scadenza del termine per la riassunzione del giudizio di rinvio, ossia nel 15/10/2009, senza considerare che con l’estinzione dell’intero processo, derivante dalla mancata riassunzione nel termine perentorio di un anno e quarantasei giorni dalla pubblicazione della sentenza di cassazione che aveva rinviato la causa ad altra sezione della medesima C.T.R., sarebbe dovuto essere applicato l’art. 2945 c.c., comma 3, in relazione all’art. 310 c.p.c., che comporta la caducazione dell’effetto sospensivo prodotto dalla proposizione del ricorso, restando fermo il solo effetto interruttivo dell’atto introduttivo, a decorrere dal quale va calcolato il periodo di prescrizione. Pertanto, alla data di notifica della cartella, ossia al *****, il tributo era abbondantemente prescritto, sia che si fosse fatto decorrere il relativo termine dalla notifica dell’avviso di accertamento, il 6/12/1999, sia dalla notifica del ricorso avverso detto avviso di accertamento, il 4/2/2000.
2. Con la seconda censura, si lamenta la nullità della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, per avere il giudice d’appello del tutto omesso di motivare in ordine alla doglianza con la quale era stata evidenziata l’impossibilità di calcolare validamente l’imposta Irpef sulla base del valore di avviamento giudicato illegittimo con la sentenza n. 608/12/2002, passata in giudicato.
3. Con il terzo motivo, si lamenta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, per avere la C.T.R. del tutto omesso di motivare in merito alla lamentata illegittimità delle sanzioni irrogate, sia in ragione della illegittimità della cartella e della correlativa iscrizione a ruolo, oltreché della infondatezza delle pretese impositive con esse fatte valere dall’Ufficio, sia della loro entità, siccome superiore alla misura del 30 per cento, come invece previsto dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13.
4. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, l’Agenzia delle Entrate lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 15, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la C.T.R. omesso di motivare in merito alla scelta di compensare le spese di lite, in deroga al principio della soccombenza, benché l’art. 92 c.p.c., comma 2, preveda tale possibilità soltanto in caso di “gravi ed eccezionali ragioni” da indicare espressamente in motivazione.
5. Preliminarmente, si rileva la tardività del deposito della memoria illustrativa, in quanto pervenuta soltanto in data 15/6/2021 e dunque fuori termine.
Al riguardo deve confermarsi il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, ai fini della tempestività delle memorie ex art. 380 bis c.p.c., inviate a mezzo posta, rileva la data della loro ricezione da parte della Cancelleria, e non quella della spedizione, non essendo applicabile analogicamente l’art. 134 disp. att. c.p.c., comma 5, il quale consente di dare per avvenuto il deposito nel giorno della spedizione esclusivamente con riferimento al ricorso ed al controricorso (Cass., Sez. 3, 27/11/2018, n. 30592).
Ancora preliminarmente, questa Corte ritiene di non dover procedere alla riunione del presente giudizio con quello avente n. R.G.N. 1954/14, non tanto perché non vi è concordia tra le parti in merito alla identità di petitum (stesso tributo e anno di imposta, secondo i contribuenti, rispettivamente tributo e sanzioni, secondo l’Ufficio), ma anche perché, ad eccezione della prima censura, avente identico contenuto in entrambi i ricorsi, diversi sono il numero dei motivi e il contenuto degli stessi, oltre ad essere stato proposto ricorso incidentale soltanto nel presente, sicché la riunione dei procedimenti appare inopportuna in ragione dell’inevitabile diversità degli elementi da valutare.
Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile.
L’inammissibilità deriva non dalla violazione del principio della “doppia conforme”, come rilevato dall’Agenzia delle Entrate, posto che la previsione della inammissibilità di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”, non si applica, agli effetti del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv. in L. n. 134 del 2012, per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11 settembre 2012 (vedi Cass., Sez. 5, 11/5/2018, n. 11439), essendo stato il giudizio introdotto il 11/7/2011, bensì in ragione della formulazione della censura, contenente più motivi di doglianza, e della mancata ottemperanza al dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella nuova formulazione disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, nonché, infine, della mancata indicazione di elementi che consentano di discostarsi dall’orientamento di questa Corte in merito alla questione proposta.
Quanto al primo punto, si osserva come l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisca ragione di inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass., Sez. 2, 23/10/2018, n. 26790), aspetto quest’ultimo non rispettato dal ricorrente, non essendo possibile comprendere dalla censura proposta quale parte di essa si riferisca al profilo ricondotto all’art. 360, comma 1, n. 5.
Quanto alla seconda questione, il novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introduce infatti un vizio specifico denunciabile per cassazione e afferente all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148), indicazioni queste non rilevabili in alcun modo nella censura in esame.
Quanto, infine, alla terza questione, si osserva come, in tema di ricorso per cassazione, lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, imponga, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c., e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti” (cfr. Cass., Sez. U, 21/03/2017, n. 7155).
Orbene, il ricorrente non ha fornito elementi per discostarsi dall’orientamento pacifico di questa Corte, espresso anche in un caso del tutto simile a quello di specie (cfr. Sez. 5, 15/01/2016, n. 556), secondo cui, in ragione della peculiare natura della pretesa tributaria (in quanto necessariamente incorporata in atto impositivo), il dies a quo del termine di prescrizione (come di quello di decadenza) debba essere ancorato, in caso di estinzione del processo per omessa riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio, alla data di scadenza del termine utile per la (non attuata) riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio, atteso che soltanto con l’estinzione del processo ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, comma 2, per omessa riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio, l’avviso di accertamento impugnato (e della pretesa tributaria in esso incorporata), in quanto oggetto del giudizio e non atto processuale, si consolida, divenendo definitivo (cfr. Cass., Sez., 6-5" 19/10/2015, n. 21143; Cass., Cass., Sez. 5, 3/7/2013, n. 16689; Cass., Sez. 6 – 5, 23/11/2016, n. 23922; Cass., Sez. 5, 13/12/2018, n. 32276), e che pertanto è soltanto da tale momento che l’Amministrazione può, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 14 e 15, far valere in modo definitivo e compiuto il proprio credito, attivando la relativa procedura di riscossione, a maggior ragione quando si sia in presenza, come nella specie, di sentenze in primo e secondo grado a sé sfavorevoli, dato l’obbligo di restituzione del tributo eventualmente corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dal giudice tributario, sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 comma 2 (Cass., Sez. 5, 15/01/2016, n. 556; Cass., Sez. 6 – 5, 12/04/2017, n. 9521). Pertanto in tale ipotesi, non può trovare applicazione la regola generale dettata dall’art. 2945 c.c., comma 3, come suggerito dal ricorrente, in quanto, ove venisse meno l’effetto sospensivo previsto da tale disposizione, comma 2, la prescrizione maturerebbe anteriormente alla definitività dell’atto in favore dell’unica parte processuale (il contribuente) interessata alla riassunzione, proprio al fine di evitare che l’atto impugnato diventi definitivo (Cass., Sez. 5, 18/11/2016, n. 23502).
E’ dunque a questi principi che si è conformata la C.T.R., allorché ha affermato, con la sentenza n. 93/29/13, la tempestività della notifica della cartella impugnata (avvenuta il 15/6/2011), avendo fatto decorrere il termine di prescrizione dalla scadenza del termine per la riassunzione del giudizio avente ad oggetto l’avviso di accertamento (15/20/2009), come anche affermato con la sentenza n. 2476/30/14.
Ne deriva l’infondatezza del motivo.
6. Sono parimenti inammissibili la seconda e la terza censura del ricorso principale.
In entrambi i casi, infatti, il contribuente lamenta aspetti afferenti alla pretesa sostanziale (calcolo dell’Irpef e sanzioni), benché questa sia divenuta definitiva per effetto della mancata riassunzione del processo davanti al giudice del rinvio. Come questa Corte ha già affermato, infatti, la cartella esattoriale di pagamento, quando faccia seguito ad un avviso di accertamento divenuto definitivo, si esaurisce in un’intimazione di pagamento della somma dovuta in base all’avviso e non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo, con la conseguenza che, in base al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 3, essa resta sindacabile in giudizio solo per vizi propri e non per questioni attinenti all’atto di accertamento da cui è sorto il debito, le quali non possono essere fatte valere con l’impugnazione della cartella, una volta che sia definito con sentenza irrevocabile il giudizio tributario, salvo che il contribuente non sia venuto a conoscenza della pretesa impositiva solo con la notificazione della cartella predetta (vedi Cass., Sez. 5, 29/07/2011, n. 16641; Cass., Sez. 6-5, 11/3/2015, n. 4818.
Ne consegue l’inammissibilità dei motivi.
6. La censura proposta con il ricorso incidentale è invece fondata.
Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 1, seconda parte, stabilisce, infatti, che “la Commissione tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell’art. 92 c.p.c., comma 2”, il quale, nella formulazione vigente ratione temporis, stabiliva che “se concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”. In proposito, costituisce principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui le “gravi ed eccezionali ragioni” debbano essere indicate esplicitamente dal giudice nella motivazione per giustificare la compensazione totale o parziale delle spese (per tutte, Cass., Sez. 5, 25/01/2019, n. 2206), senza che tale onere possa dirsi assolto attraverso una formula generica, quale, nella specie, “in considerazione della peculiarità della questione trattata, il merito delle pronunce nei vari gradi di giudizio”, in quanto inidonea a consentire il necessario controllo, richiedendosi invece la menzione di specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa (Cass., Sez. 6 – 5, 25/09/2017, n. 22310).
In ragione dunque della sostanziale assenza di motivazione sul punto, la censura deve trovare accoglimento, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla C.T.R. per la Sicilia perché si pronunci sul punto, mancando, nella specie, la cognizione di elementi di fatto sui due gradi del giudizio di merito che consentano l’applicazione del principio recentemente pronunciato, secondo cui, qualora sia impugnata per cassazione la compensazione delle spese compiuta dal giudice di merito e non siano necessari accertamenti di fatto, alla luce del principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., che impone di non trasferire una causa dall’uno all’altro giudice quando il giudice rinviante potrebbe da sé svolgere le attività richieste al giudice cui la causa è rinviata, è consentito alla Corte decidere la causa nel merito ex art. 384 c.p.c., liquidando le spese non solo del giudizio di legittimità, ma anche dei gradi di merito, in quanto sarebbe del tutto illogico imporre il giudizio di rinvio, al solo fine di provvedere ad una liquidazione che, in quanto ancorata a parametri di legge, ben può essere direttamente compiuta dal giudice di legittimità (Cass., Sez. L, 24/05/2021, n. 14199).
5. In conclusione, dichiarata l’inammissibilità del ricorso principale e la fondatezza di quello incidentale, la sentenza deve essere cassata, con riguardo all’unico motivo accolto, con rinvio alla C.T.R. per la Sicilia, che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso principale; in accoglimento del ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza e rinvia alla C.T.R. per la Sicilia, in diversa composizione, anche sulle spese di legittimità. Doppio contributo a carico del ricorrente principale.
Così deciso in Roma, il 22 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021