LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI IASI Camilla – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –
Dott. PENTA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17843-2016 proposto da:
A.E., A.A., AV.AN., A.G., quali eredi di a.a., A.L., elettivamente domiciliati in ROMA, Piazza Cavour, presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dagli avvocati ALFONSO AVITABILE e RICCARDO BARCHIESI;
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
FALLIMENTO ***** SRL;
– intimata –
avverso la sentenza n. 67/2016 della COMM. TRIB. REG. MARCHE, depositata il 02/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;
lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. VISONA’ STEFANO che ha chiesto che la Corte di Cassazione rigetti il ricorso avverso la sentenza della CTR di Ancona n. 67/2016 R. Sent. depositata il 2 febbraio 2016.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate notificava ad a.a. e A.L. l’avviso di rettifica e liquidazione n. *****, con il quale accertava un maggior valore delle aree edificabili vendute alla Edil Immobiliare s.r.l., emesso sulla base di una relazione tecnico-estimativa dell’Agenzia del territorio, determinando un maggior valore di Euro 640.427,00 rispetto a quello dichiarato di Euro 203.700,00, al qual corrispondeva la liquidazione di maggiori imposte di registro, ipotecarie e catastali, per complessivi Euro 48.040,00 e relative irrogazioni di sanzioni, per insufficiente dichiarazione di valore.
I contribuenti impugnavano l’atto impositivo dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Ancona che, con sentenza n. 252/2010, accoglieva il ricorso. La pronuncia veniva appellata dall’Agenzia delle entrate alla Commissione Tributaria Regionale delle Marche che, con sentenza n. 67/4/2016, accoglieva il gravame, assumendo la legittimità dell’atto impositivo, ritenendo corretto il criterio di valutazione utilizzato dall’Ufficio. Av.An., A.A., A.G., A.E., quali eredi di a.a. e A.L. ricorrono per la cassazione della sentenza, svolgendo tre motivi. La Procura Generale Presso la Corte Suprema di Cassazione ha depositato memorie scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione o falsa applicazione della L. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, in relazione alla L. n. 212 del 2000, art. 7, ed omessa (o inadeguata) motivazione dell’avviso di accertamento per mancata allegazione delle perizie di stima cui l’avviso fa riferimento. Secondo i ricorrenti la sentenza impugnata sarebbe viziata nella parte in cui ha ritenuto adeguatamente motivato l’avviso di accertamento che rinvii ai dati contenuti in una stima effettuata dall’UTE, senza che gli atti a cui rimanda siano mai stati allegati e/o il loro contenuto fosse integralmente riprodotto nell’avviso di accertamento. Inoltre, i giudici di appello avrebbero erroneamente ritenuto che la tardiva produzione in appello delle perizie UTE fosse sufficiente a sanare, ex tunc, l’atto impugnato ritenendolo adeguatamente motivato. I ricorrenti lamentano che le suindicate perizie sono state prodotte, per la prima volta, nel corso del giudizio di appello. A causa della mancata allegazione delle perizie non sarebbe stato possibile conoscere i motivi che hanno portato alla determinazione dei valori per mq. delle aree, sicché la loro allegazione postuma e giudiziale non ne sanerebbe la tardività, con la conseguenza che l’avviso di rettifica e liquidazione si dovrebbe considerare non motivato, quindi nullo.
2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione della L. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, in relazione alla L. n. 212 del 2000, art. 7, per erronea determinazione del valore in comune commercio delle aree compravendute e per difetto di anteriorità cronologica delle perizie comparative, in quanto la perizia UTE avrebbe preso come parametro il valore certificato in due perizie successive all’atto contestato (e, dunque, non anteriori), aventi ad oggetto immobili siti in comuni differenti, con qualificazione catastale differente, assoggettate ad un piano regolatore differente, con un indice di fabbricabilità fondiaria differente e, soprattutto, non riguardanti beni classificati C2 né F4. I terreni avrebbero ad oggetto aree con classificazione e destinazione urbanistica diversa rispetto a quella contestata dall’Agenzia delle entrate al contratto tra A. ed Edil Immobiliare. Secondo i ricorrenti l’accertamento dovrebbe essere considerato nullo in quanto il valore è stato determinato senza alcuna comparazione per l’area C2 e per l’area F4, né si comprenderebbero le ragioni che hanno portato ai valori indicati dall’Ufficio, con palese violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51.
3. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., atteso che dalla scarsa motivazione della sentenza impugnata non si evincerebbe alcuna motivazione circa il convincimento della Commissione Tributaria Regionale di attribuire maggior valore alla perizia UTE, rispetto alla perizia giurata di stima L. n. 448 del 2001, ex art. 7, allegata dai contribuenti. La perizia UTE richiamerebbe due ulteriori perizie, di cui nessuna avrebbe ad oggetto beni classificati C2 e F4, e comunque posteriori, e non antecedenti, all’atto di compravendita oggetto di causa, di cui una relativa ad un immobile ricadente su un Comune diverso da oggetto di accertamento. I ricorrenti precisano, inoltre, che per gli immobili utilizzati a comparazione sarebbero state già eseguite opere di urbanizzazione primaria, che invece erano assenti nell’immobile venduto da A., oltre al fatto che la particolare conformazione del terreno lo differenzierebbe completamente da quelli presi in considerazione quali parametro di riferimento dall’UTE.
4. Il primo motivo è fondato.
I ricorrenti lamentano il difetto di motivazione dell’atto impositivo, assumendo la mancata allegazione delle perizie di stima cui l’avviso fa riferimento. L’Agenzia delle entrate con controricorso non ha contestato che le relazioni di stima non sono state allegate all’atto impositivo, ma ha dedotto che i contribuenti, già con il ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, avevano depositato gli atti a cui faceva riferimento la perizia di stima utilizzata dall’Ufficio, eccependo la loro inutilizzabilità ai fini comparativi.
Questa Corte ha affermato, in più occasioni, che l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverossia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale.
Ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7: “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.
La motivazione dell’atto tributario costituisce lo strumento essenziale di garanzia del diritto di difesa del contribuente e, pertanto, nell’atto impositivo devono essere indicati tutti gli elementi che l’Ufficio pone alla base della pretesa fiscale.
Questi elementi costituiscono i limiti del processo tributario stante la natura impugnatoria, per cui l’Amministrazione non può integrare le proprie ragioni dopo che l’atto sia stato impugnato in Commissione Tributaria, oppure in corso di giudizio (Cass. n. 4176 del 2019).
L’Ufficio, con controricorso, ritiene che le ulteriori perizie alle quali la perizia principale (di stima “diretta” del bene) fa riferimento non dovevano essere allegate, in quanto ascritte tra quegli ulteriori elementi che potevano essere prodotti in sede giudiziale al fine di provare nel contraddittorio con il contribuente, quali elementi di fatto giustificativi della propria pretesa nel quadro del parametro prescelto.
L’assunto non può essere condiviso.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’avviso di accertamento privo, in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e della L. n. 212 del 2000, art. 7, di una congrua motivazione è illegittimo, senza che la stessa possa, peraltro, essere “integrata” in giudizio dell’Amministrazione finanziaria, in ragione della natura impugnatoria del processo tributario (Cass. n. 12400 del 2018, Cass. n. 25450 del 2018, Cass. n. 14931 del 2020).
Nella fattispecie emerge all’evidenza che le perizie estimative, richiamate dall’atto impositivo, avevano una correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, hanno giustificato l’emissione dell’atto impositivo, con la conseguenza che le stesse dovevano essere allegate. L’Ufficio, infatti, ha ritenuto a sostegno della propria pretesa di esibire in giudizio le suddette perizie, non ritenendo sufficiente quanto già riportato nella motivazione dell’avviso impugnato ai fini della prova della pretesa fiscale.
L’allegazione postuma e giudiziale ha dato sostanzialmente prova dell’insufficiente motivazione dell’avviso di accertamento, posto che tale adempimento non sarebbe stato necessario se fosse stato chiaro il percorso logico giuridico seguito dall’Amministrazione fiscale nella determinazione dei valori per mq. delle aree oggetto di tassazione.
L’inadempimento di tale obbligo motivazionale è certamente espressione della violazione dei canoni generali della collaborazione e della buona fede, atteso che le suddette perizie (di cui si è omessa l’allegazione) non erano atti conosciuti o conoscibili dal contribuente, con conseguente compressione del suo diritto di difesa (art. 24 Cost.), non essendo chiare le ragioni, già al momento della notifica dell’atto impositivo, che l’Ufficio aveva posto a supporto delle proprie richieste.
5. Dall’accoglimento del primo motivo di ricorso consegue l’assorbimento delle restanti censure. Pertanto, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va accolto il ricorso introduttivo proposto dai contribuenti in ragione del difetto di motivazione dell’atto impositivo.
Le spese di lite dei gradi di merito vanno interamente compensate tra le parti, tenuto conto del recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate rispetto all’epoca della introduzione della lite, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo proposto dai contribuenti. Compensa le spese di lite dei gradi di merito e condanna la parte soccombente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 4.100,00 per compensi, oltre esborsi di Euro 200,00, spese forfetarie nella misura del 15% e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nell’udienza pubblicata, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021