LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente –
Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria Giuli – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –
Dott. ARMONE Giovanni M. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2241 del ruolo generale dell’anno 2017 proposto da:
T.G., titolare della ditta individuale ” G.”, nonché
Stanleybet Malta Limited, rappresentati e difesi dagli Avv.ti Roberto A. Jacchia, Antonella Terranova, Fabio Ferraro e Daniela Agnello per procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliate in Roma, via Vincenzo Bellini, n. 24, presso lo studio dei primi tre difensori;
– ricorrenti –
contro
Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è
domiciliata;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 3621/35/2016, depositata in data 17 giugno 2016;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno 13 maggio 2021 dal Consigliere Giancarlo Triscari.
RITENUTO
che:
dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle dogane e dei monopoli aveva notificato a T.G., titolare della impresa individuale ” G.”, nonché a Stanleybet Malta Limited (di seguito: Stanleybet), quale soggetto obbligato in via solidale, un avviso di accertamento con il quale era stato contestato il mancato versamento dell’imposta unica sulle scommesse per gli anni 2009-2012, attività svolta per conto di Stanleybet; avverso l’atto impositivo T.G., quale titolare della ditta individuale, e Stanleybet avevano proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Como; avverso la pronuncia del giudice di primo grado T.G., quale titolare della ditta individuale, e Stanleybet avevano proposto appello;
la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che era legittima la pretesa impositiva, stante la non contrarietà al principio di parità di trattamento o di non discriminazione e l’intervento normativo di cui alla L. n. 220 del 2010, nonché ai principi costituzionali di eguaglianza e di capacità contributiva;
T.G., quale titolare della ditta individuale, e Stanleybet hanno quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza, illustrato con successiva memoria, affidato a nove motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle dogane e dei monopoli depositando controricorso, illustrato con successiva memoria;
le ricorrenti hanno altresì depositato istanza con la quale hanno chiesto la trattazione della causa alla pubblica udienza.
CONSIDERATO
che:
1. preliminarmente, va disattesa l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza;
in adesione all’indirizzo espresso dalle Sezioni unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass. Sez. Un., 5 giugno 2018, n. 14437), e non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass. Sez. Un., 23 aprile 2020, n. 8093);
in particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo;
nel caso in questione, il tema oggetto del giudizio è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte, ma non è inedito, in quanto compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti, da un lato, dalla Corte costituzionale (con la sentenza 14 febbraio 2018, n. 27) e, dall’altro, da quella unionale (con la sentenza in causa C-788/18, relativa alla Stanleybet Malta Limited); e i principi stabiliti da quelle Corti risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito;
così ampie e convergenti affermazioni inducono quindi a ritenere preferibile la scelta del procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non caratterizzate da peculiare complessità (sulla medesima falsariga, si veda Cass. 20 novembre 2020, n. 26480);
né può condurre a diversa considerazione la giurisprudenza penale di questa Corte cui la ricorrente fa riferimento con la memoria, secondo quanto si avrà modo di specificare in seguito;
1.1. inoltre, in via preliminare, va dato atto del fatto che l’Agenzia delle dogane, con la memoria, ha segnalato di avere emesso il provvedimento del 12 settembre 2018, n. 84124, con il quale ha provveduto, a seguito e per l’effetto della sentenza n. 27/18 della Corte costituzionale, all’annullamento parziale in autotutela dell’avviso di accertamento impugnato limitatamente agli anni di imposta 2009 e 2010 ed alla sola posizione giuridica della ditta individuale T.G., ed ha, di conseguenza, chiesto pronunciarsi la parziale cessazione della materia del contendere in relazione al contenuto dell’atto di annullamento sopra indicato;
ne consegue che, essendo venute meno le ragioni di contrasto in ordine alla pretesa fatta valere nei confronti di T.G., quale titolare della ditta individuale, relativamente agli anni 2009 e 2010, deve dichiararsi la parziale cessazione della materia del contendere;
1.2. vanno dunque esaminati i motivi di ricorso in relazione alla residua materia del contendere;
va precisato che le questioni sono già state oggetto di ripetuta e articolata disamina da parte di questa Corte a partire dalla sentenza n. 8757 del 30 marzo 2021, seguita da numerose altre (tra le tante, vd. Cass. civ. n. 8907-8911 del 2021, Cass. civ. n. 9079-9081 del 2021, Cass. civ. n. 9144-9153 del 2021, Cass. civ. n. 9160 del 2021, Cass. civ. n. 9162 del 2021, Cass. civ. n. 9168 del 2021, Cass. civ. n. 9176 del 2021, Cass. civ. n. 9178 del 2021, Cass. civ. n. 9182 del 2021, Cass. civ. n. 9184 del 2021, Cass. civ. n. 9160 del 2021, Cass. civ. n. 9516 del 2021, Cass. civ. n. 9528-9537 del 2021, Cass. civ. n. 9728-9735 del 2021), le cui motivazioni sono qui espressamente condivise e richiamate ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.;
merita di essere specificamente sottolineato, peraltro, che il quadro normativo pertinente è stato sottoposto all’esame della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso, fornendo chiari elementi per la soluzione degli ulteriori dubbi prospettati con il ricorso;
1.3. ciò precisato, con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione degli art. 49 e 56 TFUE, e dei principi del diritto dell’Unione di parità di trattamento e di non discriminazione, nonché del principio del legittimo affidamento con riferimento alla L. di stabilità 2011, art. 1, comma 66, per non avere disapplicato il D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3;
2. con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza delle leggi di cui all’art. 3 Cost., con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, e della L. di stabilità 2011, art. 1, comma 64 e 66, lett. b);
3. con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione dell’art. 53 Cost., e del principio di capacità contributiva con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, artt. 1 e 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 64, comma 3, e della L. di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b);
3.1. i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, sono infondati;
con riferimento alla dedotta violazione dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione, l’attenzione va rivolta agli argomenti difensivi prospettati in ricorso ed ulteriormente approfonditi in sede di memoria, relativi alle ritenute frizioni con il diritto unionale;
in memoria, inoltre, il profilo centrale della linea difensiva seguita si fonda, in sostanza, sul riconoscimento della liceità dell’attività svolta nel tempo dalla ricorrente, come riconosciuta dalla giurisprudenza penale di questa Corte il che, secondo l’assunto di parte ricorrente, comporterebbe effetti anche sul piano strettamente fiscale e, inoltre, dovrebbe indurre a ritenere che la Corte di giustizia, con la pronuncia del 26 febbraio 2020, non avrebbe preso in considerazione la specificità della “peculiare posizione” nella si sarebbe venuto a trovare il bookmaker per il quale la ricorrente operava basata sulla illegittima ed originaria discriminazione dalla stessa subita nel tempo dall’autorità nazionale;
la linea difensiva seguita dalle ricorrenti, più in particolare, si fonda sulla considerazione della natura sanzionatoria dell’intervento normativo di cui alla L. n. 220 del 2010, sicché la disciplina in esso contenuta troverebbe applicazione solo con riferimento allo svolgimento di una attività di gioco illecita, dunque non anche nei confronti della ricorrente, con la conseguenza che, ove applicata nei propri confronti, deriverebbe una violazione del principio di non discriminazione, della parità di trattamento nonché di legittimo affidamento e di libertà di stabilimento, determinando, inoltre, un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità, tra le sezioni civili e quelle penali, in ordine alla questione;
le considerazioni difensive in esame non possono trovare accoglimento;
va premesso che le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata, sicché rileva l’art. 56 TFUE, e, sul punto, la Corte di Giustizia, 26 febbraio 2020, causa C-788/18, ha preso diretta e specifica cognizione proprio delle medesime questioni sollevate con il ricorso, ed ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (punto 21 di Corte giust. in causa C-788/18), di modo che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la Stanleybet Malta, nello Stato membro interessato”;
va osservato, in generale, che, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale, costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: di conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C-42/07);
il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 64, i propri obiettivi, tra i quali si colloca “…l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”;
la prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte giust. in causa C-788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte giust. 1 dicembre 2011, causa C-253/09, punto 83);
la Corte di Giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmaker nazionali e bookmaker esteri, anzi, come ha pure sottolineato la Corte costituzionale (ancora con la sentenza n. 27/18), a seguire la tesi prospettata in ricorso si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione…”;
va evidenziato, a tal proposito, che la Corte di giustizia, se, col punto 17, in relazione al bookmaker, oltre che stabilire in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, col punto 24 specifica, in concreto, che, “…la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri”; sicché, conclude col punto 24, “…rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la Stanleybet Malta non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale”. Quanto al centro trasmissione dati, il punto 26 si limita a ribadire che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse “allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali” ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), ma ciò non toglie (punto 28) che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro;
la diversità della situazione, pertanto, è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero: nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce “…un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti” (Corte giust. 19 dicembre 2018, causa C-375/17, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, punto 66, richiamata al punto 18 della sentenza in causa C-788/18, cit.); e ciò in conformità agli obiettivi esplicitamente perseguiti dal legislatore italiano (L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 644), come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia. Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminatoria;
le suddette considerazioni rendono dunque priva di ogni fondamento sia l’asserita assimilazione dell’imposizione alle sanzioni, ipotizzandone una oggettiva finalità afflittiva, che, invece, è del tutto assente attesa la riferibilità della pretesa ad ordinari, seppur specifici, meccanismi impositivi, che l’assenza, come su evidenziato, di caratteri discriminatori, sia la prospettata esistenza di un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità in ordine alla questione;
le ricorrenti, infatti, sono considerate soggetti passivi d’imposta proprio per avere realizzato il presupposto impositivo dell’imposta in esame;
la giurisprudenza penale di questa Corte (Cass. pen., 10 settembre 2020, n. 25439), poi, ha esaminato la questione relativa alla realizzazione del reato di cui alla L. n. 401 del 1989, art. 4, comma 4-bis, ritenendo di dovere escludere la sussistenza del reato de quo in base alla considerazione che il bookmaker estero era stato “illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni…e la successiva trasmissione di dette scommesse all’allibratore non possono essere punite ai sensi della L. n. 401 del 1989, art. 4, comma 4-bis, dovendosi disapplicare la disciplina penale nazionale per contrasto con la normativa dell’Unione Europea”;
il riconoscimento della natura non illecita dell’attività svolta dal bookmaker estero privo di concessione, tuttavia, non implica la sottrazione dello stesso, e della ricevitoria, dall’ambito della disciplina dell’imposta unica, anzi, postula proprio la realizzazione del presupposto di imposta, secondo la specifica declinazione contenuta nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, che ha, come visto, disposto che: “Ferma restando l’obbligatorietà, ai sensi della legislazione vigente, di licenze, autorizzazioni e concessioni nazionali per l’esercizio dei concorsi pronostici e delle scommesse, e conseguentemente l’immediata chiusura dell’esercizio nel caso in cui il relativo titolare ovvero esercente risulti sprovvisto di tali titoli abilitativi, ai soli fini tributari: a) il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, si interpreta nel senso che l’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”; l’applicabilità della previsione normativa in esame esclude altresì che possa porsi una questione di violazione del principio di non discriminazione o di libertà di stabilimento, secondo quanto ulteriormente esposto in memoria, basata sulla considerazione della natura lecita dell’attività svolta, ovvero ancora che possa ritenersi che la Corte di Giustizia, con la pronuncia citata non abbia preso in considerazione la “specifica situazione” nella quale il bokmaker estero ha dovuto operare;
a parte il rilievo che la effettiva lesione del pregiudizio subito risulta solo affermato, ma non concretamente precisato e specificato, quel che rileva, come detto, è il fatto che le ricorrenti, per il fatto di avere realizzato in Italia l’attività di trasmissione dati per conto del bookmaker estero, hanno realizzato il presupposto dell’imposta e, dunque, sono da considerarsi soggetti passivi del tributo e, sotto tale profilo, va fatto richiamo alla pronuncia della Corte di giustizia che, sul punto, ha escluso ogni violazione dei principi unionali citati;
quanto all’asserita violazione del principio dell’affidamento, al di là dei profili di inammissibilità della censura con riferimento alla posizione del ricevitore, in ordine alla quale, peraltro, la Corte costituzionale, con la sentenza citata, si è già espressa con la pronuncia di incostituzionalità relativamente alla portata innovativa retroattiva della norma, va rilevato, quanto alla posizione del bookmaker estero, che la stessa Corte costituzionale non ha posto in discussione il fatto che costui, anche privo di concessione, doveva essere considerato soggetto passivo dell’imposta unica anche prima della entrata in vigore della disposizione interpretativa, sicché non può porsi alcuna violazione del principio del legittimo affidamento; né può porsi una questione di violazione e falsa applicazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza, in quanto anche i suddetti profili sono stati già esaminati da questa Corte con le pronunce citate, che hanno fatto riferimento a quanto espressamente affermato sul punto dalla Corte Cost. con la sentenza n. 27/2018;
va osservato, inoltre, che non può trovare fondamento l’ulteriore profilo di censura, pure prospettato, per irragionevolezza della norma interpretativa nella parte in cui, prevedendo la imponibilità anche delle scommesse a quota fissa offerte con modalità transfrontaliera in assenza di concessione, non ha tenuto conto che il movimento delle suddette scommesse, proprio in quanto realizzate fuori sistema, non viene rilevato, sicché la base imponibile viene determinata senza considerare il movimento netto reale, essendo le stesse escluse dalla formazione del movimento netto che determina l’applicazione delle aliquote, con la conseguenza che verrebbero applicate aliquote superiori a quelle che avrebbero dovuto applicarsi per legge;
il profilo di censura è inammissibile per difetto di specificità, posto che parte ricorrente postula solo in astratto la circostanza che l’applicazione della disciplina di determinazione del movimento netto sul quale commisurare l’aliquota dell’imposta unica anche nel caso di scommettitore privo di concessione avrebbe determinato l’applicazione dell’aliquota massima che diversamente, ove si fossero considerate anche le scommesse fuori sistema, non sarebbe stata applicata;
in realtà, rispetto al criterio di commisurazione dell’aliquota secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 4, comma 1, lett. b), n. 3), valevole per tutti i soggetti che svolgono l’attività di raccolta delle scommesse, in alcun modo parte ricorrente deduce o allega in ordine al fatto che l’eventuale considerazione delle scommesse “fuori sistema” avrebbe potuto incidere diversamente sulla determinazione dell’imponibile e sull’applicazione dell’aliquota operata dall’amministrazione doganale secondo le prescrizioni di legge;
né, infine, può dirsi sussistente la violazione del principio della capacità contributiva, posto che non viola il suddetto principio la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato, in quanto, attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera, assolvendo la rivalsa funzione applicativa del principio di capacità contributiva, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 27/2018;
atteso che il quadro sopra delineato, ricostruito in relazione alle intervenute pronunce della Corte di giustizia e della Corte costituzionale, risulta definito nei suoi assetti di fondo, così come chiarito dai precedenti di questa Corte in relazione a controversie aventi medesimo contenuto, non sussistono i presupposti per un ulteriore rinvio alla Corte di Giustizia, come invece sollecitato dalle ricorrenti anche in memoria;
4. con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, non avendo esaminato la doglianza relativa al mancato esame, da parte dei giudici di primo grado, del motivo di ricorso relativo alla mancata notifica del pvc al soggetto considerato responsabile in solido; nonché ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 12, nonché degli artt. 24 e 97 Cost., e del principio della necessità del contraddittorio endoprocedimentale a tutela del diritto di difesa;
5. con il quinto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, non avendo esaminato la doglianza relativa alla violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, in ordine alla illegittimità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione, anche in ordine all’aliquota di imposta applicata;
6. con il sesto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per non avere esaminato la doglianza relativa alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla L. di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b), in ordine alla qualificazione del ctd come soggetto passivo del tributo;
7. i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, sono inammissibili;
invero, le ricorrenti postulano una mancata pronuncia sui motivi di appello dalle stesse prospettati avverso la statuizione del giudice di prime cure, sicché la censura avrebbe dovuto essere prospettata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), che costituisce il rimedio processuale nel caso di error in procedendo del giudice del gravame, non essendo conferente il riferimento alla previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che attiene, invece, al vizio di motivazione per omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio;
in ogni caso, i detti motivi sono inammissibili perché difettano di specificità ed autosufficienza, non avendo parte ricorrente assolto all’onere di riportare o riprodurre in questa sede i passaggi contenuti nell’atto di appello da cui evincere che effettivamente le questioni erano state prospettate dinanzi al giudice del gravame, non avendo in alcun modo specificato, in ciascuno dei suddetti motivi, quale fosse l’esatto contenuto delle doglianze prospettate dinanzi al giudice di appello e non essendo neppure sufficiente, tal proposito, il generico richiamo di cui a pag. 10 del ricorso, al contenuto dell’atto di appello, senza alcuna indicazione delle pagine del suddetto atto nel quali i motivi erano stati specificamente prospettati, infatti, in tema di ricorso per cassazione, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto a questa Corte, ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell'”iter” processuale senza compiere generali verifiche degli atti (Cass. civ., 25 settembre 2019, n. 23834);
6. con il sesto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per non avere esaminato la doglianza relativa alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla L. di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b), in ordine alla qualificazione del ctd come soggetto passivo del tributo;
7. con il settimo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per non avere esaminato la doglianza relativa alla violazione e falsa applicazione della L. n. 288 del 1998, art. 1, comma 2, lett. b), in ordine alla sussistenza del requisito del presupposto territoriale dell’imposta;
8. con l’ottavo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per non avere esaminato la doglianza relativa alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 1, come interpretato dalla L. di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b), in ordine alla sussistenza del presupposto oggettivo di applicazione del tributo;
8.1. I motivi, che possono essere esaminati unitariamente, sono inammissibili e, comunque, infondati;
anche in questo caso, va ravvisata il non corretto richiamo al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), posto che, in realtà, parte ricorrente censura la sentenza per non avere pronunciato su specifiche ragioni di doglianza, sicché avrebbe dovuto essere prospettato un error in procedendo, censurabile secondo la previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4); peraltro, le questioni risultano risolte dal giudice del gravame mediante il riferimento alla norma di interpretazione autentica, da essa richiamata, di cui alla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. a) e b);
merita di essere specificamente sottolineato, in ogni caso, che il quadro normativo pertinente è stato sottoposto all’esame della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso, fornendo chiari elementi per la soluzione degli ulteriori dubbi prospettati con il ricorso;
con riferimento, all’ambito soggettivo ed oggettivo (di cui al sesto e ottavo motivo) la Corte costituzionale ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio), ma ha riconosciuto che il legislatore, con la L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio ed ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di bookmakers privi di concessione, al versamento del tributo e delle relative sanzioni, svolgendo anch’esse una attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione; a questo riguardo ha Corte costituzionale ha precisato che entrambi i soggetti (ricevitore e bookmaker) partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione. In particolare, il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker;
la incostituzionalità della norma in esame è stata riscontrata dalla Corte “in ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011” con conseguente violazione dell’art. 53 Cost., “giacché l’entità delle commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristalizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto H profilo tributario, precedente alla L. n. 220 del 2010”.
la suddetta ragione di incostituzionalità, tuttavia, non è stata ravvisata per i “rapporti successivi al 2011", quindi non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma;
con riferimento, poi, al presupposto territoriale del tributo (di cui al settimo motivo di ricorso) si è già precisato da questa Corte, con le pronunce citate, che non rileva la conclusione del contratto di scommessa poiché il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta (così Cass. n. 15731 del 2015, cit.), attività, queste, tutte svolte in Italia;
9. con il nono motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del principio dell’equo processo di cui alla Convenzione Europea di Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali del 1950, art. 6, e dell’art. 117 Cost., comma 1, con riferimento alla L. di stabilità 2011, art. 1, corna 66, lett. b);
9.1 il motivo è infondato;
ed invero, la compatibilità costituzionale dell’effetto retroattivo della legge in relazione all’art. 6 Cedu, s’incentra sul rispetto del principio di affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico come specchio della ragionevolezza della legge; sicché occorre che l’intervento legislativo con effetti retroattivi sia sorretto da motivi imperativi d’interesse generale (tra varie, Corte Cost. 13 luglio 2017, n. 176);
nel caso in esame sussiste il motivo imperativo, proprio delle leggi interpretative, di sciogliere incertezze, giacché la Corte costituzionale, con la sentenza n. 27/18, ha appunto riconosciuto alla L. n. 220 del 2010 la funzione di risolvere l’incertezza inerente all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3;
va conseguentemente disattesa la richiesta di rimessione alla Corte costituzionale, manifestamente infondata;
in conclusione, va dichiarata va dichiarata la cessazione della materia del contendere per gli anni 2009 e 2010 relativamente alla pretesa fatta valere nei confronti di T.G. quale titolare della ditta individuale ” G.”, per il resto, il ricorso va rigettato;
con riferimento alle spese di lite del presente giudizio, l’intervento risolutore delle questioni, in epoca successiva alla proposizione del ricorso, ad opera della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente Stanleybet, il cui ricorso è stato totalmente rigettato, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
PQM
La Corte:
dichiara cessata la materia del contendere per gli anni 2009 e 2010 relativamente alla pretesa fatta valere nei confronti di T.G. quale titolare della ditta individuale ” G.”, rigetta per il resto il ricorso e compensa le spese di lite del presente giudizio;
dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente Stanleybet, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 13 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021