LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12843-2013 proposto da:
G.E., C.S., P.A., P.S., quest’ultimo in qualità di eredi di PA.AN., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TEMBIEN 15, presso lo studio dell’avvocato FLAVIO MUSTO, rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO CARRESE;
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 220/2012 della COMM. TRIB. REG. UMBRIA, depositata il 19/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22/06/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.
RILEVATO
che:
C.S., G.E., P.S. e P.A. hanno proposto ricorso avverso la sentenza n. 220/02/2012, depositata il 19.11.2012 dalla Commissione tributaria regionale dell’Umbria, che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, aveva riconosciuto la legittimità del diniego di rimborso delle ritenute effettuate sull’indennità di esproprio di terreni in proprietà dei contribuenti.
Hanno riferito di essere stati comproprietari, con quote distinte, di suoli ubicati nel Comune di Umbertide. Per tali terreni procedettero prima alla rivalutazione, ai sensi del D.L. 24 dicembre 2005, n. 203, art. 11-quaterdecies, convertito in L. 2 dicembre 2005, n. 248, che aveva reiterato il meccanismo di rivalutazione dei suoli a vocazione edificatoria, introdotto dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, artt. 5 e 7, così rideterminandone il valore in Euro 1.212.640,00. Su tale valore fu eseguito il pagamento dell’imposta sostitutiva nella misura del 4%. Successivamente con atto notarile i terreni furono ceduti bonariamente al Comune di Umbertide, che provvide alla corresponsione dell’indennità pattuita di Euro 1.109.971,00. A tale indennità l’ente territoriale applicò la ritenuta del 20%, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, e della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 7, corrispondente ad Euro 221.994,20.
Poiché con la rivalutazione dei suoli e il pagamento dell’imposta sostitutiva non erano emerse plusvalenze in occasione della cessione bonaria (ma al più minusvalenze), così da non risultare imponibile l’operazione di cessione a tassazione separata nella misura del 20%, operata dal Comune di Umbertide, ciascuno dei comproprietari, con autonome istanze, formulò all’Agenzia richiesta di rimborso delle ritenute eseguite dall’ente territoriale. L’Ufficio emise altrettanti provvedimenti di diniego, ritenendo non spettante il rimborso. Motivò il diniego sostenendo che dalla ricostruzione del dato normativo il pagamento dell’imposta sostitutiva non faceva venir meno l’obbligo della ritenuta del 20% a titolo d’imposta sull’indennità di esproprio, non essendo stata modificata la disciplina della L. n. 413 del 1991, art. 11, così che, come previsto dalla norma, comma 2, la ritenuta andava indicata nella dichiarazione annuale, al fine di scomputarla dall’imposta dovuta o per chiederne il rimborso. Non era invece possibile richiedere il rimborso senza presentazione della dichiarazione fiscale annuale.
Contestando le ragioni del diniego, i ricorrenti adirono la commissione tributaria provinciale di Perugia, che con sentenza n. 152/04/2011 accolse il ricorso. La pronuncia fu appellata dall’Agenzia delle entrate dinanzi alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria, che con la sentenza ora al vaglio della Corte accolse le ragioni dell’Ufficio, rigettando dunque il ricorso introduttivo dei contribuenti. Il giudice regionale ha ritenuto che la disciplina non lasciava al sostituto d’imposta, erogatore della indennità di esproprio, alcuna discrezionalità nell’operare la trattenuta del 20%. Spettava invece al contribuente, mediante la presentazione della dichiarazione dei redditi, richiedere l’applicazione della tassazione ordinaria rispetto a quella fissa trattenuta dall’ente. Non avendo presentato alcuna dichiarazione, i contribuenti erano decaduti dalla facoltà di richiedere il rimborso.
I ricorrenti hanno censurato la decisione con un motivo, chiedendone la cassazione, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Nell’adunanza camerale del 22 giugno 2021 la causa è stata trattata e decisa sulla base degli atti difensivi depositati dalle parti.
CONSIDERATO
che:
con l’unico motivo i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 53 Cost., nonché della L. n. 413 del 1991, art. 11, e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67. Con esso rappresentano che il menzionato art. 11, da leggersi e ricondursi alle ipotesi contenute nell’art. 67, comma 1, lett. b) (tra le quali le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria) ha previsto che l’ente erogante applichi una ritenuta del 20% al momento della corresponsione di dette somme. Ciò, prosegue la difesa dei contribuenti, presuppone l’emersione di plusvalenze, che nel caso di specie, avendo provveduto alla rivalutazione dei cespiti e pagato l’imposta sostitutiva, non erano emerse. Non era dovuta dunque la ritenuta e negare il rimborso di quella operata comportava una violazione del principio di capacità contributiva.
L’Agenzia insiste invece sulle proprie ragioni, sostenendo che comunque il percettore dell’indennità, a fronte della ritenuta, cui l’ente era obbligato, poteva dichiarare l’indennità nella dichiarazione dei redditi, di fatto optando per la tassazione ordinaria, recuperando la ritenuta qualora ritenuta eccessiva. Non poteva invece richiedere il rimborso senza la presentazione della dichiarazione o senza inserire in dichiarazione l’indennità e l’imposta già pagata con la trattenuta del 20%.
Il motivo è fondato nei termini appresso chiariti.
La L. n. 413 del 1991, art. 11, prescrive nei commi 5 e 6, che “5. Per le plusvalenze conseguenti alla percezione, da parte di soggetti che non esercitano imprese commerciali, di indennità di esproprio o di somme percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi nonché di somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazione di urgenza divenute illegittime relativamente a terreni destinati ad opere pubbliche o ad infrastrutture urbane all’interno delle zone omogenee di tipo A, B, C, D di cui al D.M. 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, definite dagli strumenti urbanistici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica ed economica e popolare di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni, si applicano le disposizioni di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 81, comma 1, lett. b) (ora art. 67, comma 1, lett. b), u.p., e successive modificazioni, introdotta dal presente art., comma 1, lett. f) 6. Le indennità di occupazione e gli interessi comunque dovuti sulle somme di cui al comma 5, costituiscono reddito imponibile e concorrono alla formazione dei redditi diversi di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 81, e successive modificazioni, come modificato dal presente art., comma 1”. La medesima norma, comma 7, prescrive che “Gli enti eroganti, all’atto della corresponsione delle somme di cui ai commi 5 e 6, comprese le somme per occupazione temporanea, risarcimento danni da occupazione acquisitiva, rivalutazione ed interessi, devono operare una ritenuta a titolo di imposta nella misura del 20 per cento. E’ facoltà del contribuente optare, in sede di dichiarazione annuale dei redditi, per la tassazione ordinaria, nel qual caso la ritenuta si considera effettuata a titolo di acconto”.
I contribuenti sostengono che, avendo già assolto, con il procedimento di rivalutazione del bene fondiario e la corresponsione dell’imposta sostitutiva, attivato ai sensi del citato D.L. 24 dicembre 2005, art. 11-quaterdecies, nulla dovevano e pertanto legittima era stata la richiesta di rimborso.
Occorre allora inquadrare la fattispecie nella disciplina applicata, secondo i principi giuridici che presidiano la sua interpretazione e ciò tanto con riguardo alla normativa sull’imposta sostitutiva, quanto al meccanismo della tassazione separata con ritenuta del 20%.
Sotto il primo profilo è intanto pacifico che prima della cessione bonaria dei suoli i contribuenti avevano proceduto alla loro rivalutazione assolvendo gli obblighi d’imposta. Ebbene, il meccanismo di stima del valore dell’immobile, in luogo del calcolo della plusvalenza a partire dal suo costo storico, introdotto con L. n. 448 del 2001, è stato prorogato da una molteplicità di disposizioni legislative, a partire dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 39, comma 14-undecies, convertito con modificazioni con la L. 24 novembre 2003, n. 325, e dal D.L. 24 dicembre 2003, n. 355, convertito con modificazioni in L. 27 febbraio 2004, n. 47, art. 6-bis comma 1, sino alla L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, commi 1053-1054, per quello che qui interessa. E’ stato affermato che “La sostituzione, in luogo del costo o valore di acquisto, del valore così determinato sulla base di una perizia giurata di stima ha, dunque, il vantaggio di affrancare dalle plusvalenze latenti maturate fino all’1.1.2002, in caso di successiva vendita, la base imponibile da assoggettare a tassazione e lo “svantaggio” di imporre al soggetto che si avvale di tale meccanismo il pagamento di un’imposta che sostituisce quella che avrebbe dovuto assolvere solo nel caso dell’insorgenza del presupposto impositivo che, rispetto alle plusvalenze immobiliari, è rappresentato da una fattispecie traslativa a titolo oneroso.” (così, Sez. U, 31/01/2020, n. 2321). Se di meccanismo agevolativo può senz’altro parlarsi, si tratta di un meccanismo del tutto peculiare. E infatti secondo la ratio della disciplina al contribuente è concesso, in vista di una futura ma non sicura cessione del proprio terreno, di ottenere un risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti dovuta sulla plusvalenza, pagando in via di anticipazione, ma ad una aliquota inferiore (del 4%), l’imposta sostitutiva; all’Amministrazione invece è data l’opportunità, per evidenti ragioni di cassa, di ricevere un immediato introito fiscale. Il vantaggio per il contribuente è identificabile nella prospettiva di un risparmio d’imposta, in cambio del rischio di non alienare mai quel suolo o di alienarlo ad un prezzo inferiore, tale da perdere in tutto o in parte i benefici del pagamento anticipato dell’imposta sostitutiva; il vantaggio per l’Amministrazione finanziaria sta nell’incassare con certezza ed immediatamente una imposta, in cambio in una aliquota inferiore (cfr. Cass., 31/01/2019, n. 2894).
Quanto al secondo profilo, per rispondere alla denunciata violazione del principio di capacità contributiva, è utile fare cenno alla giurisprudenza, che anche nel solco dei principi Euro-unitari, si è occupata della materia. A tal fine va rammentato che vi è chi ha rilevato che la tassabilità delle plusvalenze per redditi diversi, realizzate a seguito della percezione di indennità di esproprio o somme comunque percepite nell’ambito di procedure ablative di terreni, disciplinata dalla L. n. 413 del 1991, art. 11, commi 5, 6 e 7, che ha esteso alla suddetta fattispecie il trattamento fiscale regolato dall’art. 67, comma 1, lett. b) cit., incontra il limite, secondo la giurisprudenza comunitaria, della corresponsione in favore del privato di un valore indennitario adeguato rispetto al valore di mercato del bene. Sul punto sarebbero invocabili pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che avrebbero ritenuto la disciplina italiana in contrasto con il Protocollo Addizionale n. 1 CEDU, art. 1, e con il Trattato di Maasctricht, art. 6. Questa Corte è ripetutamente intervenuta in materia, escludendo, sebbene con qualche correzione nei termini che saranno appresso chiariti, una incompatibilità della disciplina introdotta dalla L. n. 413 del 1991, con i principi costituzionali, nonché una violazione dei parametri Euro-unitari a tutela del diritto di proprietà affermati nella Convenzione Europea per la Salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, art. 6, e nel Protocollo Addizionale n. 1 alla CEDU, art. 1. Sul punto in particolare si è negato il contrasto con l’art. 1 del citato Protocollo Addizionale della disciplina di assoggettamento a tassazione delle plusvalenze conseguenti alla percezione di indennità di esproprio, prevista dalla legge del 1991, evidenziando che il “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e il requisito della salvaguardia del diritto fondamentale di proprietà, enunciato dal citato art. 1, riguarda la disciplina delle ipotesi di ingerenza dell’ente pubblico sulla proprietà privata e del quantum da corrispondere in tali casi al privato spogliato del suo diritto di proprietà, mentre il citato art. 11, attiene al momento successivo dell’esercizio del potere impositivo dello Stato sui propri contribuenti, cioè ad un ambito, quello fiscale, del tutto distinto dagli aspetti sostanziali – indennitari della vicenda espropriativa (cfr. Cass., 30/06/2011, n. 14362; cfr. anche 18/11/2011, n. 24261, secondo cui la disciplina non si pone in contrasto né con l’art. 3 Cost., né con la CEDU, la quale concerne soltanto il profilo della tutela del diritto di proprietà, ma non gli aspetti fiscali della vicenda espropriativa). Il principio è stato ribadito, affermandosi la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della L. n. 413 del 1991, art. 11, in relazione all’art. 117 Cost., con riferimento al Primo Protocollo addizionale alla CEDU, art. 1, in ordine alla previsione della tassazione delle plusvalenze conseguenti alla percezione dell’indennità di esproprio. Ciò non solo perché tale disciplina (come già evidenziato) non incide sul contemperamento, richiesto dal detto art. 1, tra le esigenze di interesse generale della comunità e la tutela del diritto fondamentale di proprietà, ma sul momento successivo di esercizio del potere impositivo dello Stato sui propri contribuenti, ma anche perché, come avvertito dalla stessa Corte Europea dei diritti dell’uomo, l’imposta in questione non costituisce un onere “irragionevole e sproporzionato” a carico del proprietario, in quanto la somma da corrispondere non è tale da rendere il pagamento equiparabile ad una confisca (Cass., 19/10/2018, n. 26417). Nello specifico quest’ultima decisione in motivazione ha chiarito che “…. la stessa Corte di Strasburgo ha stabilito, con due decisioni del 16 gennaio 2018, (ricorsi n. 60633/16 Cacciato v. Italy e n. 50821/06, Guiso and Consiglio v. Italy) che l’imposta del 20% sull’indennità da esproprio non è una violazione del diritto di proprietà garantito dal Protocollo n. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, art. 1. La Corte Europea dei diritti dell’uomo, pur riconoscendo che l’indennità corrisposta dalle amministrazioni dopo un’espropriazione rientra nel diritto di proprietà tutelato dal Protocollo n. 1, ha ribadito il principio secondo cui gli Stati, nelle scelte in materia di politica fiscale, hanno un ampio margine di apprezzamento perché devono adottare decisioni sulla base di valutazioni politiche, economiche e sociali. E in particolare ha affermato che l’imposta fissata non può essere classificata come un onere “irragionevole e sproporzionato” a carico del proprietario anche perché la cifra da versare, non ha una portata tale da rendere il pagamento dell’imposta simile a una confisca, non intaccando l’entità in relazione al valore di mercato dei terreni. Inoltre, sempre secondo le decisioni sopra citate, “le autorità nazionali hanno offerto ai ricorrenti la possibilità di scegliere tra il pagamento della ritenuta del 20% a titolo di imposta o procedere al pagamento della tassazione in base alle entrate dichiarate nella dichiarazione dei redditi. Di qui la conclusione dell’assenza di violazione da parte dell’Italia che ha raggiunto un giusto equilibrio tra tutela dei diritti dell’individuo e interesse pubblico a ottenere entrate fiscali.”.
Le conclusioni cui da ultimo addiviene la Corte di Strasburgo erano già state espresse dalla giurisprudenza di questa Corte a proposito della sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 7 cit., laddove – si denunciava – imponeva l’aliquota del 20 per cento sull’intero indennizzo corrisposto, e non sulla differenza tra quanto corrisposto ed il valore originario del terreno, in ciò solo dovendosi identificare il conseguimento della plusvalenza. Sul punto infatti il giudice di legittimità ha affermato che con riguardo al regime fiscale delle plusvalenze derivanti dalla percezione di somme a seguito di procedimenti espropriativi, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., di detto art. 11, comma 7, nella parte in cui prevede che la ritenuta del 20 per cento si applichi sull’intera somma percepita e non sulla sola plusvalenza, atteso che la norma stessa attribuisce al contribuente la facoltà di optare, in sede di dichiarazione dei redditi, per la tassazione ordinaria, in base alla quale l’ammontare dell’imposta dovuta è determinato tenendo conto della sola plusvalenza, unitamente alle altre componenti reddituali (Cass., 08/02/2005, n. 2490; 25/11/2011, n. 24908; 17/05/2017, n. 12275).
In particolare significativa è la motivazione della prima delle pronunce citate, secondo cui “…se il contribuente, come nella specie, non chiede di optare per la tassazione ordinaria, vuol dire che la tassazione “secca” realizza un prelievo fiscale inferiore a quello che risulterebbe rispettando il principio della tassazione in base alla capacità contributiva, invocato dal (..). Con la ulteriore conseguenza che, se il prelievo fiscale attuato con il metodo della ritenuta “secca” (accettato dal contribuente) è al di sotto dell’ammontare del prelievo che risulterebbe dovuto tassando soltanto la plusvalenza, allora non si vede come si possa sostenere che il prelievo abbia “eroso” una parte del patrimonio (..). Peraltro, la Corte Costituzionale ha già rilevato come “la facoltà del contribuente di optare per la tassazione ordinaria gli consente di dimostrare la non configurabilità di fatto, di una plusvalenza da esproprio” (Corte Cost. Ord. 395/2002).”.
E’ altrettanto vero che in talune fattispecie l’imponibilità dell’indennizzo (o del risarcimento conseguito) non rispetta i parametri costituzionali né quelli della Convenzione Europea, come la Corte di Strasburgo ha avuto modo di affermare in alcune pronunce, e tra esse in particolare la decisione 16 marzo 2010, ric. 72638/2001 (Belmonte c/ Italia). A tal fine la giurisprudenza ha avvertito che, se ai fini del prelievo fiscale di cui al citato art. 11, è sufficiente che la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge anzidetta, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto precedentemente, ed in particolare prima del 1 gennaio 1989, tuttavia qualora il decreto di esproprio, la cessione volontaria o l’occupazione acquisitiva siano intervenuti prima del 31 dicembre 1988, ma il pagamento sia intervenuto dopo l’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991, la plusvalenza non è imponibile nel caso di ingiustificato ritardo della P.A. nel pagamento della plusvalenza (Cass., 22/01/2013, n. 1429; 12/01/2016, n. 265; 09/02/2017, n. 3503).
Illustrata e perimetrata la disciplina, come interpretata dalla Corte di legittimità alla luce dei parametri costituzionali, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dell’Uomo e delle Libertà fondamentali e della giurisprudenza CEDU, è allora possibile valutare la fattispecie ora al vaglio della Corte.
L’Amministrazione finanziaria insiste nella sua prospettazione difensiva poiché, afferma, i contribuenti, che avevano conseguito l’indennità previa ritenuta secca del 20%, potevano optare per la tassazione ordinaria, la qual cosa richiedeva però la presentazione della dichiarazione dei redditi, nella quale indicare l’indennità medesima e la ritenuta già operata, che assumendo a questo punto il valore di ritenuta d’acconto, avrebbe consentito di ricalcolare la plusvalenza su cui applicare la tassazione separata. Il ragionamento, senz’altro astrattamente corretto, non tiene conto, tuttavia, della peculiarità della fattispecie, ossia della circostanza che i contribuenti avevano già assolto all’imposta sulla plusvalenza mediante la rivalutazione del bene e la corresponsione dell’imposta sostitutiva ai sensi del D.L. n. 203 del 2005, art. 11-quaterdecies. E quell’imposta sostitutiva, atteso l’importo dell’indennità (Euro 1.109.971,00), inferiore alla rideterminazione del valore del bene fondiario (1.212.640,00), portava la plusvalenza a somma zero. Dunque, ancorché ipotizzato che i contribuenti avessero voluto attendere agli obblighi fiscali optando per la tassazione ordinaria previa presentazione della dichiarazione, l’importo ricalcolabile delle imposte sarebbe stato sempre e comunque zero, non emergendo alcuna plusvalenza (ma addirittura una minusvalenza, comunque non richiesta né richiedibile). Mancava in altri termini il presupposto stesso dell’imposta al momento della cessione bonaria, ossia la percezione di una ricchezza da tassare.
Se ciò non escludeva che, secondo quanto prescritto dalla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 7, l’ente erogatore dell’indennità fosse tenuto ad operare la ritenuta del 20%, ancorare il diritto al rimborso di quanto indebitamente pagato – a seguito della ritenuta – alla presentazione di una dichiarazione dei redditi, cui i contribuenti non erano tenuti se non per ricalcolare, secondo i criteri della tassazione ordinaria, una plusvalenza, della quale ne era già certa l’inesistenza, come pretende l’Agenzia delle entrate, significa sottoporre il principio di capacità contributiva ad una adempimento meramente formale. In tal caso imponendo anzi una condotta violativa non solo del principio costituzionale, ma dei parametri Euro-unitari a tutela del diritto di proprietà, affermati nella Convenzione Europea per la Salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, art. 6, e nel Protocollo Addizionale n. 1 alla CEDU, art. 1, così come anche interpretati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e della stessa Corte di legittimità. In conclusione i ricorrenti potevano legittimamente chiedere il rimborso delle ritenute operate nella misura del 20% sulle indennità percepite, dovendo affermarsi il seguente principio di diritto “In tema di tassazione delle plusvalenze conseguite da cessione bonaria di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria nel corso di procedimenti espropriativi, regolata dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, comma 1, lett. b), e qualora in epoca anteriore alla cessione medesima il contribuente abbia provveduto al pagamento dell’imposta sostitutiva, pari al 4 per cento del valore rivalutato del terreno, secondo il procedimento introdotto dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, artt. 5 e 7, e dalle successive disposizioni proroganti tale disciplina, il contribuente medesimo che voglia esercitare il diritto al rimborso delle somme trattenute dall’ente cessionario del terreno a titolo d’imposta, secondo quanto prescritto dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, commi 5, 6 e 7, non è tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi se, con il pagamento dell’imposta sostitutiva sul valore rivalutato del terreno, al momento della sua successiva cessione bonaria non si sia realizzata alcuna plusvalenza”.
La sentenza va dunque cassata, e poiché non sono necessari accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la causa può essere decisa nel merito. A tal fine ai contribuenti spettava il rimborso richiesto, così che trova accoglimento il loro ricorso introduttivo.
La peculiarità, novità e complessità della vicenda e della questione giuridica giustifica la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la decisione e decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo dei contribuenti. Compensa le spese di causa.
Così deciso in Roma, il 22 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021