Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32010 del 05/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13593/2020 R.G., proposto da:

C.P.R., rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Nebbia, con studio in Campobasso, elettivamente domiciliato presso l’Avv. Lidia Sgotto Ciabattini, con studio in Roma, giusta procura in allegato al ricorso introduttivo del presente procedimento;

– ricorrente –

contro

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;

– controricorrente –

Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Molise il 2 gennaio 2019 n. 3/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata dell’8 luglio 2021 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

RILEVATO

che:

C.P.R. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Molise il 2 gennaio 2019 n. 3/01/2019, che, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per IRPEF relativa all’anno d’imposta 2009, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del medesimo avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso il 22 gennaio 2016 n. 198/03/2016, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha riformato la decisione di prime cure, sul presupposto che il contribuente non avesse provato che una percentuale del 70% (o una percentuale minore) dei soggetti beneficiari della prestazione professionale fossero soci di società personali, la cui contabilità era affidata alle sue cure, in modo che ogni eventuale compenso rientrasse in quello corrisposto dalle società personali stesse. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta formulata dal relatore è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, si deduce nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver deciso il giudice di secondo grado l’accoglimento dell’appello con motivazione meramente apparente, affermando che l’appellato non avesse fornito una prova rigorosa e precisa in risposta alla contestazione di omessa fatturazione.

2. Con il secondo motivo, si denuncia omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver tenuto conto il giudice di secondo grado dei documenti attestanti la mancata riscossione dei compensi o l’inadempienza dei doveri contabili.

Ritenuto che:

1. Il primo motivo è fondato, derivandone l’assorbimento del secondo motivo.

1.1 Invero, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma, (tra le tante: Cass., Sez. 1, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5, 13 aprile 2021, n. 9627).

1.2 Nella specie, al di là dell’ampia citazione di precedenti giurisprudenziali, non si può ritenere che la sentenza impugnata sia sufficiente e coerente sul piano della logica giuridica, contenendo un’inadeguata esposizione delle ragioni sottese all’accoglimento dell’appello (al di là di ogni considerazione sul piano della loro fondatezza in diritto), con particolare riguardo alla mancata giustificazione delle omesse fatturazioni e delle prestazioni gratuite.

Invero, il giudice del gravame si è limitato a richiamare la motivazione di un arresto giurisprudenziale (Cass. Sez. 5, 28 ottobre 2015, n. 21972), secondo cui “la gratuità dell’opera svolta dal professionista, in considerazione “dei rapporti di parentela e di amicizia con gli stessi” clienti, nonché del fatto che “il 70% di tali soggetti risultano soci di società di persone, la cui contabilità è affidata alle cure del contribuente, per cui ogni eventuale compenso rientra in quello già corrisposto dalla società di appartenenza” (e non è contestato che dette società fossero clienti del professionista e che le stesse non rientrassero nell’elenco, individuato dai verificatori, dei soggetti “non paganti”) e della circostanza, accertata oltre che pacifica, che l’attività svolta in loro favore riguardava soltanto l’invio telematico delle dichiarazioni dei redditi ed era finalizzata “all’incremento della clientela”, cosicché la semplicità della prestazione in sé rende verosimile l’assunto del contribuente circa la sua gratuità”, concludendone che “in questo caso specifico non è fornita la prova che “il 70% di tali soggetti risultano soci di società di persone, la cui contabilità è affidata alle cure del contribuente, per cui ogni eventuale compenso rientra in quello già corrisposto dalla società di appartenenza”” e che “l’appellato non abbia dato una prova rigorosa e precisa in risposta alla contestazione di omessa fatturazione sicché le sue argomentazioni vanno respinte”.

In definitiva, senza spiegare a monte l’attinenza di tale arresto alla fattispecie decisa, il giudice del gravame ha omesso di esporre, anche solo concisamente, i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove avesse fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni fosse pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se avesse effettivamente giudicato iuxta alligata et probata (Cass., Sez. 6-5, 1 agosto 2018, n. 20414). Per cui, la motivazione del decisum non raggiunge la soglia del minimo costituzionale.

2. Valutandosi la fondatezza del primo motivo e l’assorbimento del secondo motivo, dunque, il ricorso può essere accolto entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Molise, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo e dichiara l’assorbimento del secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Molise, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 8 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472